Fatti, misfatti, lacrime di coccodrillo e responsabilità che tutti dovrebbero conoscere

Ecco la vera storia del gran pasticcio Inpgi

Pierluigi Roesler Franz

ROMA – Proprio in coincidenza con il 28° anniversario del decreto legislativo Berlusconi di privatizzazione degli enti previdenziali del 30 giugno 1994, l’Inpgi 1, Istituto Nazionale di previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, Gestione Sostitutiva dell’Assicurazione Generale Obbligatoria per i lavoratori subordinati, è definitivamente confluito nell’Inps – Fondo pensioni lavoratori dipendenti nel pieno rispetto del “pro-rata”.

La sede Inpgi in via Nizza 35 a Roma

Si chiude, così, ingloriosamente la storia di un istituto benemerito, nato con regio decreto del 1926 che ha assicurato in esclusiva per quasi un secolo la previdenza e l’assistenza dei giornalisti italiani, e che da più di 70 anni in base alla legge Rubinacci era stato riconosciuto ente sostitutivo dell’Inps, anzi era l’ultimo rimasto in Italia.
Resta, invece, in vita la Gestione Separata dell’Inpgi per i giornalisti lavoratori autonomi (meglio noto come Inpgi 2) che gode di ottima salute con le casse piene, un boom di iscritti (circa 46 mila) e un patrimonio che addirittura è oggi superiore a quello dell’ex Inpgi 1, Ciò, però, anche per effetto dei pochi vitalizi sinora corrisposti e in media largamente al di sotto della pensione sociale.
Nonostante l’incorporazione per fusione dell’Inpgi 1 nell’Inps, ideata nell’estate scorsa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e poi attuata dal premier Mario Draghi per garantire il puntuale pagamento delle pensioni in base all’art. 38 della Costituzione, restano irrisolti molti problemi a cominciare dal gran “pasticcio” della delibera n. 27, approvata a maggioranza il 23 giugno 2021 dal Consiglio di amministrazione Inpgi con il voto contrario dei tre consiglieri di opposizione Carlo Parisi, Elena Polidori e Daniela Stigliano che lo hanno spiegato in un comunicato stampa, e convalidata a sorpresa dai ministeri vigilanti pochi giorni prima di Natale proprio a poche ore della definitiva approvazione in Parlamento della legge finanziaria per il 2022.

Carlo Parisi, Elena Polidori e Daniela Stigliano

L’11 gennaio 2022 il Cda dell’ente l’aveva “congelata” con richiesta di sospensione per gravi ragioni al ministero vigilante del Lavoro e delle Politiche Sociali che, proprio per la delicatezza della materia e in considerazione dei particolari profili di complessità tecnico-giuridica sottesi alla tematica sollevata”, aveva richiesto il 31 marzo il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato.
E mentre si attendeva il responso dello storico istituto di via dei Portoghesi a Roma, inopinatamente, lo stesso ministero del Lavoro il 21 giugno scorso cambiava idea e rendeva operativa la delibera con la precisazione, però, che l’Inps (subentrato nel frattempo di diritto nei rapporti all’Inpgi 1) avrebbe potuto poi fare sempre dietro front se l’Avvocatura fosse stata, invece, favorevole alla revoca del provvedimento ministeriale.
Al momento la delibera del 23 giugno 2021, pur approvata sub judice dal ministero del Lavoro a quasi un anno di distanza dal voto del Cda Inpgi, appare di difficile, se non impossibile, applicazione pratica per le numerose anomalie che vi sono state riscontrate. Per alcuni giuristi sarebbe inattuabile perché ormai superata dai fatti e i giornalisti minacciano azioni giudiziarie contro l’Inps se intendesse attuarla. Dal canto suo la Fnsi incredibilmente non ha neppure tenuto conto di ben 500 lettere di diffida che le erano state inviate da altrettanti giornalisti in pensione contrari al taglio dei loro vitalizi ed ha preventivamente accettato la delibera assieme alla Fieg senza alcuna riserva. Ed ora paradossalmente ha dichiarato guerra al ministero del Lavoro perché ha osato convalidare la delibera creando così una sorta di corto circuito.
La Fnsi minaccia, quindi, di chiamare a rispondere “i solerti dirigenti che hanno ideato questo scempio” e invoca l’immediato intervento della politica.

Andrea Orlando

Ma ci si chiede: perché un anno fa la Fnsi non ha avanzato riserve e non ha chiesto al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, l’annullamento di questa delibera subito dopo che il premier Draghi aveva ufficializzato a palazzo Chigi il passaggio dell’Inpgi 1 nell’Inps inserendolo nel disegno di legge finanziaria per il 2022? Forse la Fnsi sperava ancora nel miracolo dei “comunicatori”?
Ecco, passo dopo passo, la cronistoria di questa incredibile vicenda senza precedenti e dagli effetti ancora imprevedibili, come il possibile sciopero della categoria in tutta Italia dei colleghi in attività di servizio senza escludere la presentazione di migliaia di ricorsi individuali davanti ai tribunali di tutta Italia da parte dei giornalisti in pensione, compresi quelli che potrebbero essere pesantemente penalizzati e addirittura con effetto retroattivo di 6 mesi dal divieto di cumulo della pensione di anzianità con redditi derivanti da collaborazioni di lavoro autonomo.
Tutto nasce per effetto di un emendamento predisposto dall’allora sottosegretario Claudio Durigon della Lega e poi inserito nell’art. 16 quinquies, secondo comma, del decreto-legge “Crescita” del 30 aprile 2019 n. 34, emanato dal I Governo Conte e recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019 n. 58.

Claudio Durigon

Questa norma si prefiggeva il salvataggio dell’Inpgi 1 evitandone il possibile commissariamento con l’ingresso nell’ente di via Nizza a partire dal 2023 di circa 14 mila 500 “comunicatori” pubblici e privati con conseguente accantonamento nel bilancio dello Stato – ora per allora – di circa un miliardo e 500 milioni di euro dal 2023 al 2031.
Con successivo art. 1, comma 31, della legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (finanziaria per il 2021 del II Governo Conte), la sospensiva dal commissariamento veniva prorogata al 30 giugno 2021. In vista di questa importante scadenza nel gennaio dello scorso anno il Governo chiese all’Inpgi 1 dei sacrifici, o meglio, delle misure economiche per contenere le spese ed implementare le entrate al fine di ridurre al massimo l’enorme squilibrio di bilancio dell’ente che si chiudeva in media in rosso per circa 200 milioni di euro l’anno con una perdita giornaliera di oltre mezzo milione di euro al giorno. Un disequilibrio dovuto, però, in gran parte alla crisi strutturale dell’editoria che, nel giro di appena 12 anni dal 2009 in poi, aveva comportato una drastica riduzione del patrimonio dell’Inpgi 1 di ben un miliardo e mezzo di euro (circa 3 mila miliardi di vecchie lire).

Giuseppe Conte

Da questa manovra l’ente di via Nizza, secondo le stime, avrebbe ricavato dai giornalisti attivi 10 milioni di euro l’anno e dai pensionati 7 milioni l’anno, cioè complessivamente 17 milioni di euro l’anno per 5 anni (cifra che non avrebbe potuto certamente riequilibrare i conti dell’Istituto, visto che il bilancio in profondo rosso del 2020 presentava un disavanzo di 242 milioni di euro). L’Inpgi 1 era, quindi, a serio rischio di commissariamento a partire dal 1° luglio 2021.
Cerchiamo ora di spiegare in dettaglio perché fa acqua da tutte le parti la delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi n. 27, approvata a maggioranza il 23 giugno 2021, dopo aver acquisito il preventivo parere favorevole delle Parti Sociali Fnsi e Fieg, che introduceva per 5 anni un contributo straordinario dell’1% sia sulle retribuzioni imponibili dei giornalisti in attività, sia dell’1% dell’ammontare lordo delle pensioni dei giornalisti e parallelamente riduceva in modo drastico da circa 22 mila 524 euro lordi l’anno (poi elevati dal 1° gennaio 2022 a 22 mila 907,04 euro lordi l’anno, ndr) ad appena 5 mila euro lordi l’anno la franchigia consentita per non vedersi decurtata la pensione di anzianità in caso di cumulo con reddito da collaborazioni giornalistiche di lavoro autonomo.
Il Cda Inpgi inviava, poi, il provvedimento per la sua approvazione ai Ministeri vigilanti del Lavoro e delle Politiche Sociale e del Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze). Nel merito, comunque, la discutibile delibera n. 27 suscitò fin da subito molte perplessità di natura legale.
Per quanto riguarda i giornalisti in attività di servizio non era stato, infatti, indicato che già da anni essi erano soggetti ad una trattenuta di 5 euro mensili che finiva in un Fondo gestito dall’Inpgi 1 il cui ricavato consentiva un’elargizione natalizia di circa 1.500/2.000 euro a testa in favore dei pensionati a basso reddito. I giornalisti in attività venivano, quindi, a subire un contributo dell’1% che si aggiungeva ai 5 euro mensili e che complessivamente avrebbe fatto lievitare la quota del lavoratore ad una percentuale superiore rispetto persino a quella versata all’Inps da tutti gli altri lavoratori subordinati. Ciò sembra violare l’art. 3 della Costituzione perché si creerebbe una disparità di trattamento a danno dei lavoratori subordinati iscritti all’Inpgi 1.

La Camera dei Deputati

Sembrerebbe, inoltre, violato anche l’art. 1, comma 29, della legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (Finanziaria del II Governo Conte per il 2021), secondo cui: «Per le assunzioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2021, al fine di garantire ai lavoratori assicurati a fini previdenziali presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (Inpgi) piena ed effettiva parità di trattamento rispetto agli altri lavoratori dipendenti, le disposizioni legislative statali recanti incentivi alla salvaguardia o all’incremento dell’occupazione riconosciuti in favore dei datori di lavoro per la generalità dei settori economici sotto forma di sgravi o esoneri contributivi si applicano, salvo diversa previsione di legge, ai dipendenti iscritti alla gestione sostitutiva dell’Inpgi con riferimento alla contribuzione per essi dovuta».
Per quanto riguarda i pensionati Inpgi 1 appariva, poi, poco comprensibile colpirli tutti indistintamente senza neppure esonerare i giornalisti a basso reddito anche perché tagliando dell’1% tutte le pensioni, comprese quelle di reddito non elevato, sarebbe potuto accadere l’assurdo che gli stessi titolari dei vitalizi avrebbero avuto comunque diritto di ottenere ogni anno a Natale un assegno variabile dai 1500 ai 2000 euro a testa grazie all’utilizzo dei 5 euro mensili versati dai giornalisti in attività di servizio affluiti, come detto, in un apposito Fondo gestito dall’Inpgi 1.

Franco Frattini

Ma in generale suscitava seri dubbi di legittimità per vari motivi anche il taglio dell’1% di tutte le altre pensioni Inpgi 1. Sarebbe stato, infatti, il quarto taglio consecutivo delle pensioni Inpgi 1 in ordine di tempo. Inoltre, la sezione Terza del Consiglio di Stato, presieduta dall’ex ministro degli Esteri Franco Frattini (poi eletto Presidente dei supremi giudici amministrativi di palazzo Spada) con le due sentenze parallele n. 5288 e 5290 del 26 luglio 2019, scaricabili dal nostro quotidiano Giornalisti Italia nel respingere i ricorsi di un gruppo di giornalisti in pensione contro il precedente verdetto del Tar del Lazio e convalidando quindi il taglio triennale delle pensioni Inpgi 1 superiori a 38 mila euro lordi l’anno dal 1° marzo 2017 al 29 febbraio 2020 aveva, tuttavia, affermato che: «non sarebbe legittima una successiva proroga del termine del prelievo, che si porrebbe evidentemente in contrasto con il carattere “contingente, straordinario e temporalmente circoscritto” della misura».
Insomma, non potevano essere reiterati in futuro altri tagli dei vitalizi, tenendo conto che l’Inpgi 1, che nell’occasione era difeso dal professor Federico Freni (dal settembre 2022 sottosegretario al Mef nel governo Draghi proprio in sostituzione del leghista Claudio Durigon), grazie a questa misura di contenimento della spesa aveva, comunque, potuto mantenere in cassa circa 21 milioni di euro (al professor Freni è stata poi liquidata dall’Inpgi 1 una parcella di 80 mila euro).

Federico Freni

A rigor di logica si sarebbero potute tagliare le pensioni Inpgi 1 solo di quei giornalisti che avevano lasciato il lavoro dopo il 1° marzo 2020. Ma tutti gli altri pensionati ne dovevano, invece, essere esentati proprio perché avevano fatto la loro parte ed avevano consentito all’ente di usufruire di un notevole risparmio di denaro.
Per di più la delibera del Cda che introduceva il taglio dell’1% su tutte le pensioni Inpgi 1 senza limiti minimi di reddito, e che avrebbe consentito all’ente di risparmiare 5 milioni e mezzo di euro l’anno, presentava un’altra anomalia, prevedendo una durata molto discutibile di 5 anni, visto che la Corte Costituzionale con sentenza n. 234 del 9 novembre 2020, aveva ridotto da 5 anni a 3 anni il taglio su tutte le pensioni Inps superiori ai 100 mila euro lordi l’anno.
Ci si è poi, comunque, dimenticati di ricordare che i giornalisti titolari di pensioni Inpgi 1 avevano ampiamente rispettato il cosiddetto “patto intergenerazionale” con i giovani, facendo risparmiare all’ente di via Nizza altri 65 milioni di euro circa per effetto sia del blocco per legge della perequazione per quasi 10 anni, sia per i precedenti altri 3 tagli già in vigore fino al 2020. Purtroppo, questo consistente “tesoretto” è stato già utilizzato dall’Inpgi 1 per pagare le pensioni, ma non spiegandolo ai giovani, né ringraziare minimamente come sarebbe stato, invece, doveroso i giornalisti pensionati per il loro rilevante contributo economico di “solidarietà”.
Ha poi fatto discutere che le due Parti Sociali – Fieg e Fnsi – abbiano dato preventivamente il loro assenso al taglio delle pensioni dei giornalisti senza tener conto che si sarebbero dovute esprimere esclusivamente semmai su questioni connesse con il rapporto di lavoro subordinato dei giornalisti, ma non con le loro pensioni, frutto del lavoro dei colleghi. Ed è apparso addirittura incredibile il preventivo parere della Fieg a favore del taglio delle pensioni quando proprio la Fieg ha, da un lato, sfruttato l’Inpgi 1 per decenni ottenendo dai vari Governi prepensionamenti a catena di centinaia di giornalisti, svuotando così le redazioni di agenzie di stampa, quotidiani e periodici, e, dall’altro, non ha rispettato gli accordi sull’ex Fissa creando un “buco” di circa 140 milioni di euro. A tanto ammonta il credito complessivo vantato da circa 2.400 giornalisti in pensione, il primo dei quali attende di essere pagato dal settembre 2010, cioé da quasi 12 anni! E anche lo Stato è a sua volta creditore perché dall’Ex Fissa si attende di incassare circa 50/60 milioni di euro di imposta Irpef, come ha ricordato qualche mese fa l’onorevole Emilio Carelli (vice presidente del Gruppo Coraggio Italia) in un’interrogazione alla Camera cui ha risposto al question time il ministro del Lavoro Andrea Orlando.
Ma soprattutto il Cda Inpgi non avrebbe dovuto mai adottare un nuovo ed illegale taglio dell’1% per 5 anni su tutte le pensioni Inpgi 1 sia perché la Sezione lavoro e la Sesta Sezione Civile della Cassazione avevano definitivamente respinto con ben 53 decisioni uniformi altrettanti ricorsi presentati per la maggior parte dalla Cassa Nazionale di Previdenza dei Dottori Commercialisti e per la restante parte dalla Cassa Nazionale di Previdenza dei Ragionieri e Periti Commerciali. Motivo: mancava obbligatoriamente un’apposita norma di legge da parte del Parlamento, in applicazione dell’art. 23 della Costituzione.
Pertanto, poiché questo stesso principio giuridico valeva anche per tutte le altre Casse previdenziali privatizzate, come l’Inpgi 1, il suo Cda non si sarebbe potuto sostituire al legislatore, in quanto, essendo la quarta volta che le pensioni dei giornalisti venivano tagliate, non poteva essere più considerata questa una misura eccezionale “una tantum” e non ripetibile, ma, al contrario, “una semper”.

La Corte di Cassazione al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma (Foto Giornalisti Italia)

Sarebbe stato, inoltre, impedito ai singoli giornalisti pensionati iscritti all’Inpgi 1 di poter ricorrere alla magistratura sollevando eccezioni di presunta incostituzionalità del cosiddetto “contributo straordinario di solidarietà” (secondo alcuni) o del cosiddetto “prelievo forzoso” (secondo altri), in quanto davanti ai giudici della Consulta possono essere impugnate solo norme di legge approvate dalla Camera e dal Senato, ma non quelle contenute in un Regolamento interno di un ente previdenziale.
Ecco il testo integrale dei principali passaggi con cui la Suprema Corte ha bocciato tutte le tesi non solo delle Casse previdenziali dei dottori commercialisti e dei ragionieri e periti commerciali, ma sostanzialmente di tutte le altre Casse privatizzate in tema di introduzione di un contributo di solidarietà sulle pensioni. Insomma, la Suprema Corte ha chiuso ormai il discorso “contributo di solidarietà” imposto da alcune Casse previdenziali privatizzate, come l’Inpgi 1, ritenendolo illegale proprio perché le 53 sentenze che erano state emesse nel “Palazzaccio” di piazza Cavour fino al 23 giugno 2021 (data della delibera del Cda Inpgi) costituiscono “diritto vivente” ed hanno praticamente lo stesso valore di una legge.
In proposito è opportuno ricordare quali siano i principi fissati in materia dalla Suprema Corte Sezione lavoro e 6ª Sezione civile che vanno ormai considerati “diritto vivente” proprio per la loro univocità (vedere decisioni con decisioni n. 28055 e n. 28054 del 9 dicembre 2020, n. 27340 del 30 novembre 2020, n. 29292 del 12 novembre 2019, n. 19561 del 19 luglio 2019, n. 16814 e n. 16813 del 24 giugno 2019, n. 9864 del 9 aprile 2019, n. 2018 del 24 gennaio 2019, n. 982 del 16 gennaio 2019, n. 603 del 14 gennaio 2019, n. 423 dell’8 gennaio 2019, n. 180 dell’8 gennaio 2019, n. 20 del 3 gennaio 2019, n. 32595 del 17 dicembre 2018, n. 32508 del 14 dicembre 2018, n. 31875 del 10 dicembre 2018, n. 27028 del 24 ottobre 2018, n. 24616 del 5 ottobre 2018, n. 27150 del 15 novembre 2017, n. 19711 dell’8 agosto 2017,  n. 15203 del 20 giugno 2017, n. 12073 del 16 maggio 2017, n. 7915 del 28 marzo 2017, n. 7568 del 23 marzo 2017, n. 7516 del 23 marzo 2017 (vedere punto 13 della motivazione), n. 12338 del 15 giugno 2016, n. 8064 del 21 aprile 2016, n. 6702 e n. 6701 del 6 aprile 2016. Ed ancora: n. 18136/2015, n. 17742/2015, n. 53/2015, n. 26943/2014, n. 26303/2014, n. 26229/2014, n. 26102/2014, n. 26032/2014, n. 25895/2014, n. 1314/2014, n.  2750/2013, n. 2749/2013, n. 18556/2012, n. 13067/2012, n. 10280/2012, n. 8847/2011, n. 20235/2010, n. 25212/2009, n. 25030/2009, n. 25029/2009, n. 24202/2009, n. 11792/2005 e n. 7010/2005):
1) «In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 della Costituzione, la cui imposizione è riservata al legislatore».
2) «L’autonomia degli stessi enti incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dall’art. 2 del predetto decreto legislativo n. 509/1994), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto (“variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del “pro rata” in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti»).
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di “numerus clausus”) degli stessi provvedimenti – e risulta incompatibile, peraltro, con il «rispetto del principio del “pro rata” (…)» – qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca – a prescindere dal «criterio di determinazione del trattamento pensionistico» – la previsione di una trattenuta a titolo di “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti. Ed invero sul punto deve evidenziarsi che l’imposizione di un “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una “variazione delle aliquote contributive”, né una “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”.
3) Ma alla stessa conclusione si giunge con riferimento ad «ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico». La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che – al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di “variazione delle aliquote contributive”, appunto, e di “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”) – incidano su «ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico».
4) Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del “pro rata”, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3 , comma 12, legge n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge – imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura.
5) Non si può giungere a diverse conclusioni – e dunque alla legittimità della trattenuta sulla pensione – «attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, in quanto detta norma incide sul sistema del “pro rata” che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà. La citata sopravvenuta normativa non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà».
6) Quanto alla disposizione di cui all’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, qualificata come di interpretazione autentica, – secondo cui: «L’ultimo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine», va rilevato che la Suprema Corte ha già ripetutamente affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo».
7) Va ulteriormente considerato che, comunque, non può prescindersi dalla considerazione che «la norma di cui all’ultimo periodo dell’art. 1, comma 763, legge 27 dicembre 2006, n. 296, non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa, e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame».
8) Infine «appare utile, al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del “pro rata”, richiamare, altresì, la sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art . 1, comma 486, legge n. 147/2013, ha affermato che si è in presenza di un “prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Costituzione, avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”».
9) In base a queste considerazioni la Cassazione é giunta alla conclusione che «esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un “criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore».
Le ragioni che hanno indotto i supremi giudici a ritenere che tra i poteri della Cassa non vi sia anche quello di applicare ai pensionati un contributo di solidarietà consente di escludere che la sentenza della Consulta n. 173/2016, che ha concluso per la legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 486 della legge finanziaria del 2014 (ritenendo sussistere “sia pur al limite”, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame «le condizioni dalla Corte enunciate per la legittimità dell’intervento quali: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate – in rapporto alle pensioni minime –; presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum) possa incidere sulle conclusioni qui assunte». Ma non è finita perché c’é dell’altro.
Nuovo contributo a fondo perduto per i pensionati, mentre per gli attivi è sì un sacrificio, ma si traduce di fatto in un risparmio per il futuro per il lavoratore dipendente perché non è a fondo perduto in quanto va ad incrementare, comunque, la futura pensione del lavoratore.
Il 21 giugno 2022 il direttore generale del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dottor Angelo Marano nel dare via libera al taglio dell’1 per cento sulle pensioni Inpgi 1 di qualsiasi importo ha ignorato anche ulteriori 7 ordinanze della Cassazione Sezione lavoro e 6ª Sezione civile, depositate dopo la delibera del 23 giugno 2021 del Cda Inpgi, che in modo univoco hanno anch’esse ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà sulle pensioni dei dottori commercialisti e dei ragionieri e periti commerciali. E precisamente: la n. 23363 del 24 agosto 2021, n. 32385 dell’8 novembre 2021, n. 35469 del 19 novembre 2021, n. 36618 del 25 novembre 2021, n. 5249 del 17 febbraio 2022, n. 6160 del 24 febbraio 2022 e, da ultimo, la n. 6301 del 25 febbraio 2022.
Pertanto, ad oggi sono complessivamente ben 60 le sentenze e ordinanze della Suprema Corte che hanno bocciato le tesi del Cda Inpgi di un anno fa e quelle ministeriali. Ma non ve ne è neppure una a loro favore. Ciò non dovrebbe forse bastare per annullare la delibera o revocare il via libera del ministero del Lavoro? E che parere dovrebbe esprimere su di esse l’Avvocatura Generale dello Stato?
Peraltro, un simile provvedimento rappresenterebbe per i giornalisti in pensione un illegittimo balzello, cioè una sorta di contributo a fondo perduto, mentre per gli attivi costituirebbe sì un sacrificio, ma si tradurrebbe di fatto in un risparmio per il futuro per il lavoratore dipendente perché non sarebbe mai a fondo perduto, in quanto andrebbe comunque ad incrementare la futura pensione Inps del giornalista.
Una situazione del tutto simile riguarda anche il divieto di cumulo tra la pensione di anzianità Inpgi 1 e i redditi di lavoro autonomo.
Ad oggi sono, infatti, diventate ben nove le decisioni (delle quali otto univoche negli ultimi tre anni) della sezione Lavoro della Cassazione che hanno sinora disapplicato l’art. 15 del Regolamento dell’Inpgi del 24 luglio 1995 e successive modifiche che prevede la decurtazione della pensione di anzianità di un giornalista nel caso in cui il titolare svolga attività lavorativa e percepisca redditi da lavoro (per il 2022 il “tetto”, cioè l’importo massimo delle collaborazioni consentite, non avrebbe dovuto superare i 22 mila 907,04 euro l’anno, mentre per il 2021 il “tetto” era di 22 mila 524 euro lordi l’anno). Si tratta, quindi, di un orientamento ormai decisamente consolidato da parte della Suprema Corte che ha di fatto uniformato la normativa Inpgi 1 a quella dell’Inps, che per legge consente la piena libertà di cumulo tra la pensione di anzianità e l’attività lavorativa senza alcuna limitazione.

Angelo Marano

Addirittura, tre decisioni sono state depositate nella cancelleria del “Palazzaccio” di piazza Cavour pochi giorni dopo il via libera del 21 giugno 2022 da parte del direttore generale ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dott. Angelo Marano all’inasprimento del divieto di cumulo con effetto retroattivo al 1° gennaio 2022.
Si verificherebbe, pertanto, una situazione davvero paradossale perché molti colleghi rischierebbero ingiustamente e illegalmente di pagare all’Inps decine di migliaia di euro di trattenuta sulla loro pensione ex Inpgi 1 mentre la Cassazione ha bocciato definitivamente il divieto di cumulo!
Si tratta di tre decisioni depositate nel “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma, rispettivamente il 27, 28 e 30 giugno 2022 e riguardanti tre noti direttori di giornali e precisamente i giornalisti Vittorio Borelli, Ettore Mazzotti e Sandro Mayer (quest’ultimo, purtroppo, non ha, però, potuto apprendere di aver vinto dopo anni la sua battaglia giudiziaria, essendo deceduto il 30 novembre 2018). Sono le ordinanze n. 20522, n. 20690 e n. 20826.

Il Tribunale di Milano

Sono state quindi definitivamente confermate le precedenti sentenze emesse dalla Corte d’Appello di Milano che avevano dichiarato la illegittimità delle trattenute effettuate dall’Inpgi 1 ai citati tre giornalisti, titolari di pensione di anzianità, i quali avevano percepito redditi di lavoro autonomo eccedenti i limiti ammessi dall’art. 15 del Regolamento Inpgi 1. Per la Cassazione, che ha integralmente accolto le tesi del professor Ugo Minneci e dell’avvocato Sabina Mantovani di Milano, dello studio legale Rocco di Torrepadula d Milano e dell’avvocato Nicola Pagnotta di Roma, il divieto di cumulo per i giornalisti in pensione è quindi del tutto illegittimo.
I supremi giudici hanno, così, dato continuità a quanto già affermato nelle loro precedenti pronunzie n. 1098 del 2012, n. 19573 del 2019, n. 20677 del 2020 (punto 8.2 a pag. 4 della motivazione), n. 21470 del 2020, n. 22170 del 2020 e n. 33144 del 2021.
Innanzitutto la Suprema Corte ha bocciato la richiesta dell’Inpgi di trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché ne valutasse l’eventuale invio alle Sezioni Unite Civili perché nel 2016 gli “ermellini” con due decisioni (la n. 8067 e la n. 12671) avevano, invece, convalidato la normativa dell’Inpgi 1 sul divieto di cumulo.
Ma ormai tale contrasto è stato ampiamente superato tenendo anche conto del fatto che l’autonomia finanziaria dell’Inpgi, come ente previdenziale privatizzato, non è neppure integrale perché con due leggine del 2009 lo Stato è venuto incontro all’Istituto con 20 milioni di euro annui posti a carico dell’Erario con conseguente facoltà dell’Istituto di «ottenere il rimborso degli oneri fiscalizzati, previa presentazione di idonea documentazione».
La Cassazione ha, poi, sottolineato che «a tale misura di sostegno finanziario va aggiunto il radicale intervento di cui all’art. 1 comma 103 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 con il quale, tra l’altro, «Al fine di garantire la tutela delle prestazioni previdenziali in favore dei giornalisti, con effetto dal 1° luglio 2022, la funzione previdenziale svolta dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (Inpgi), ai sensi dell’articolo 1 della legge 20 dicembre 1951 n. 1564 (è la cosiddetta “legge Rubinacci”, ndr) in regime sostitutivo delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, è trasferita, limitatamente alla gestione sostitutiva, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) che succede nei relativi rapporti attivi e passivi…».

La sede Inpgi in via Nizza 35 a Roma

Chiosa finale: nell’occasione anche la Suprema Corte non è stata comunque infallibile, avendo commesso almeno un paio di errori, determinati soprattutto dalla complessità e varietà della normativa vigente in Italia. Nella motivazione delle tre ordinanze n. 20522, 20690 e 20826 del 2022 è stata, infatti, indicata solo la prima delle due leggine con cui nel 2009 lo Stato è venuto incontro all’Istituto previdenziale di via Nizza con 10 milioni di euro annui ciascuna, cioè l’art. 19, comma 18-ter, lett. a), punto 2, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito con legge n. 2 del 28 gennaio 2009. Ma i supremi giudici si sono totalmente dimenticati dell’art. 41-bis della legge n. 14 del 27 febbraio 2009 con cui, appunto, lo Stato ha rimborsato ogni anno all’Inpgi 1 altri 10 milioni di euro a titolo di fiscalizzazione degli oneri sociali sui prepensionamenti dei giornalisti concessi in base alla legge sull’editoria n. 416 del 1981 ed autorizzati di volta in volta dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
In proposito è bene, tuttavia, ricordare che per decenni fino al 31 dicembre 2008 l’Inpgi 1 si é, invece, accollato per intero il rilevantissimo costo di centinaia e centinaia di giornalisti prepensionati ancora giovani, tra i 55 e i 62 anni di età, e dipendenti da aziende in crisi, mentre dal 2009 non ha comunque mai ottenuto il rimborso per intero dell’onere degli ammortizzatori sociali, compresi i contributi figurativi sui prepensionamenti.
La Cassazione ha anche trascurato il comma 30 dell’art. 1 della legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (Finanziaria del II Governo Conte per il 2021) che in via del tutto eccezionale prevedeva che «Al fine di fronteggiare i maggiori oneri di assistenza derivanti dalla crisi economica e occupazionale conseguente alla diffusione dell’epidemia di Covid-19 e di favorire il riequilibrio della gestione previdenziale sostitutiva dell’Inpgi, fino al 31 dicembre 2021 è posto a carico del bilancio dello Stato, a titolo di fiscalizzazione, l’onere, comprensivo delle  quote di contribuzione figurativa accreditate, sostenuto dall’Inpgi per i trattamenti di cassa integrazione, solidarietà e disoccupazione erogati in favore degli iscritti nei limiti e con le modalità previsti dalla legge ovvero dai regolamenti dell’Istituto vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. L’Inpgi invia al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con cadenza semestrale, un rendiconto sulla base del quale è disposto il rimborso dei relativi oneri, al netto del gettito contributivo derivante dalle corrispondenti aliquote contributive versato all’Inpgi dai soggetti obbligati, che resta acquisito dal predetto Istituto a titolo di compensazione. Qualora l’ammontare del predetto gettito risulti superiore all’onere sostenuto dall’Inpgi, la differenza resta acquisita presso il medesimo Istituto a titolo di acconto in compensazione a valere sul semestre successivo, fermo restando l’obbligo di conguaglio a saldo finale, a credito o a debito, alla data del 31 dicembre 2021».
A completare il quadro va comunque aggiunta la recentissima sentenza n. 162 della Corte Costituzionale del 30 giugno 2022, che ha introdotto un limite alle decurtazioni di tutte le pensioni di reversibilità Inps, comprese quelle ex Inpgi 1, in caso di cumulo con ulteriori redditi del beneficiario, di un importo che superasse l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi. È stata, così, accolta un’eccezione sollevata dalla Corte dei Conti del Lazio sull’articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, sul cumulo tra pensione di reversibilità e redditi aggiuntivi del beneficiario.
Nella fattispecie, la titolare di una pensione di reversibilità, che per due annualità aveva beneficiato di propri redditi aggiuntivi, si era vista decurtare il trattamento pensionistico di una somma superiore all’importo di questi redditi. Ma ciò è stato ritenuto irragionevole dai giudici di palazzo della Consulta perché si pone in contrasto con la finalità solidaristica sottesa all’istituto della reversibilità, volta a valorizzare il legame familiare che univa, in vita, il titolare della pensione con chi, alla sua morte, ha beneficiato del trattamento di reversibilità. Quel legame familiare, anziché favorire il superstite, finisce paradossalmente per nuocergli, privandolo di una somma che travalica i propri redditi personali. Pertanto, nel ribadire che il cumulo tra pensione e reddito deve sottostare a determinati limiti (dovendosi bilanciare i diversi valori coinvolti), l’Alta Corte ha precisato che, in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.

Mario Draghi

Come si è visto nel merito del provvedimento la delibera del Cda Inpgi n. 27 del 23 giugno 2021 fa acqua da tutte le parti e non è supportata dalla giurisprudenza della Cassazione che è, invece, tutta dalla parte dei giornalisti pensionati.
In ogni caso si ricorda che anche i suoi presupposti sono totalmente svaniti con l’approvazione dell’art. 1, commi da 103 a 118 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 (Finanziaria del Governo Draghi per il 2022).
L’asse portante della delibera poggiava, infatti, tutta (basta leggerla) sulla “norma Durigon”, cioè sull’art. 16 quinquies, comma 2, della legge n. 58 del 28 giugno 2019, che prevedeva appunto il salvataggio dell’Inpgi 1 con l’ingresso tra i suoi iscritti di circa 14.500 “comunicatori” pubblici e privati, cioè con l’allargamento della platea dei contribuenti Inpgi 1. Per questo motivo il Governo aveva preteso che alla delibera fosse allegato il bilancio tecnico-attuariale al 31 dicembre 2020 poi redatto dal professor Marco Micocci.

Marco Micocci

Le misure di contenimento della spesa erano di contorno a questo progetto, ma visti i conti in rosso dell’Inpgi 1, pur se fossero state approvate, non sarebbero in pratica servite a nulla di fronte all’enorme disavanzo tra entrate ed uscite.
Ma quelle entrate ipotizzate dalla delibera n. 27 del Cda Inpgi 1 del 23 giugno 2021 sotto forma di risparmi di spesa sarebbero state mai incassate? Probabilmente no, sia per quanto prima spiegato sulla base della giurisprudenza univoca della Cassazione, sia anche della dottrina come dimostra l’articolato parere di 43 pagine sulla legittimità o meno della delibera n. 27 che il 7 ottobre 2021 l’Associazione Stampa Romana aveva chiesto e ottenuto dal prof. avv. Pietro Boria, professore ordinario di Diritto Tributario nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma. Dalle ben argomentate considerazioni giuridiche del professor Boria emerge che la delibera del Cda Inpgi del 23 giugno 2021 sarebbe stata dichiarata illegittima per la presunta violazione degli articoli 23 e 38 della Costituzione.

Filippo Sensi

Parallelamente un anno fa, proprio all’inizio di luglio i deputati giornalisti Filippo Sensi, Nicola Pellicani e Andrea Frailis del Pd e Massimiliano Capitanio della Lega hanno sottoscritto un emendamento poi riformulato e votato in Commissione che prorogava di ulteriori sei mesi lo scudo anti commissariamento dell’Inpgi 1.

Nicola Pellicani

A quel punto era chiaro a tutti che non si trattava di un semplice rinvio, ma di una proroga per consentire ad una Commissione tecnica, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria e composta da rappresentanti del medesimo Dipartimento, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’Inps e dell’Inpgi che entro il 20 ottobre 2021 avrebbe dovuto risolvere il nodo della crisi strutturale dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani.

Massimiliano Capitanio

La norma era contenuta nell’articolo 67, comma 9-quinquies, del cosiddetto decreto-legge “Sostegni bis” del Governo Draghi n. 73 del 25 maggio 2021, contenente “Misure urgenti connesse all’emergenza Covid-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 25 maggio 2021, convertito con modificazioni dalla Legge 23 luglio 2021 n. 106 (in Supplemento Ordinario n. 25 alla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 24 luglio 2021, n. 176).
I tempi sono stati rispettati tanto è vero che a Palazzo Chigi il 28 ottobre 2021, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e il bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024 e li ha inviati in Parlamento. Quindi la notizia della imminente fusione dell’Inpgi 1 nell’Inps era di dominio pubblico e il ministero del Lavoro era perfettamente a conoscenza giorno per giorno dell’evolversi della situazione perché i suoi rappresentanti facevano parte di questo Comitato.
Come si spiega allora che il 22 dicembre 2021 con protocollo n. 0013914 il direttore generale del Ministero del Lavoro, dott. Concetta Ferrari, come se nulla fosse firmava dopo 6 mesi il via libera alla delibera n. 27 del Cda Inpgi 1 del 23 giugno 2021 senza neppure tener minimamente conto di ben 60 decisioni univoche della Cassazione, né delle due sentenze del Consiglio di Stato del 2019?
E non è una strana coincidenza che proprio il 22 dicembre 2021 il Governo Draghi ha posto la questione di fiducia – poi ottenuta anche alla Camera – sulla finanziaria per il 2022, che formalizzava il passaggio dell’Inpgi 1 nell’Inps dal 1° luglio 2022?

Concetta Ferrari

Pochi giorni dopo la dottoressa Ferrari veniva nominata Presidente del Collegio sindacale dell’Inps e al suo posto di Direttore generale della Previdenza del ministero del Lavoro veniva nominato il dott. Angelo Marano. Sempre a inizio anno l’Inpgi convocava d’urgenza il Cda per l’11 gennaio 2022 per deliberare su questa inattesa novità.
In vista di questa riunione veniva richiesto dall’Inpgi un parere scritto all’avv. Evaristo Maria Fabrizio dello Studio legale e Tributario Associato “Quorum” di Roma sull’efficacia delle misure adottate con la delibera del Cda Inpgi n. 27 del 23 giugno 2021 a seguito dell’abrogazione della norma “Durigon” (art. 16 quinquies, secondo comma, della legge 28 giugno 2019 n. 58 e successive modifiche) per effetto dell’art. 1, comma 118, della legge 30 dicembre 2021 n. 234 – Finanziaria del Governo Draghi per il 2022.

Palazzo Chigi

L’intero testo di 7 pagine dell’avv. Fabrizio è stato poi accluso in allegato a supporto della successiva delibera del Cda Inpgi n. 2 dell’11 gennaio 2022 che ha “congelato” la delibera n. 27 del 2021 con richiesta di sospensione per gravi ragioni al ministero vigilante del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Con lettera n. 0003442 del 31 marzo 2022 il neo Direttore generale della Previdenza del ministero del Lavoro, dott. Angelo Marano, comunicava all’Inpgi che, proprio per la delicatezza della materia e in considerazione dei particolari profili di complessità tecnico-giuridica sottesi alla tematica sollevata era stato ritenuto opportuno richiedere il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato attualmente retta per la prima volta nella sua storia da una donna, Gabriella Palmieri Sandulli, legale di notevole professionalità e alta preparazione giuridica che per anni ha difeso lo Stato davanti alla Corte Costituzionale.

Gabriella Palmieri Sandulli

A sorpresa, però, è arrivata il 21 giugno 2022 una doccia fredda perché il ministero, senza attendere il responso dell’Avvocatura generale dello Stato, dallo stesso richiesto ha scelto inopinatamente e immotivatamente la via dello scontro burocratico perché con lettera n. 006169 dello stesso dott. Marano si è resa operativa la delibera n. 27 del 23 giugno 2021, precisando, però, all’Inps (che nel frattempo il 1° luglio 2022 è subentrato di diritto nei rapporti all’Inpgi 1) potrà sempre non ottemperare alla delibera n. 27 e revocarla se l’Avvocatura esprimesse parere favorevole all’annullamento del provvedimento ministeriale.
Ora che succederà, si chiedono tutti i giornalisti? Le soluzioni sono due: o la delibera n. 27 del 2021 verrà al più presto definitivamente cancellata, magari dallo stesso ministro del Lavoro Andrea Orlando in persona, o inizieranno in tutta Italia migliaia di cause individuali davanti ai tribunali del lavoro da parte di migliaia di giornalisti in attività di servizio e pensionati per ottenere giustizia.

Sergio Mattarella

Lo Stato rischia grosso perché, oltre alla sua credibilità, c’è in ballo una probabile condanna a rifondere le spese legali di tutti questi giudizi e la Corte dei Conti potrebbe poi rivalersi sui suoi dipendenti dell’eventuale risarcimento delle spese legali da parte dello Stato in favore dei giornalisti. Insomma, una specie di boomerang per chi ha voluto incautamente forzare la mano forse con poca intelligenza o sottovalutandone gli effetti con troppa leggerezza.
Ecco perché non si può affatto escludere l’intervento diretto del Capo dello Stato Sergio Mattarella e/o del Presidente del Consiglio Mario Draghi che con saggezza, equilibrio e buon senso sapranno certamente, come al solito, trovare in tempi rapidi la soluzione migliore per tutti, rasserenando gli animi. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

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Un commento

  1. Il lungo articolo di Franz mi sembra chiaro e completo. Siamo di fronte a un pasticcio. Spero che presto sia trovata una soluzione. Diversamente i pensionati saranno costretti ad organizzarsi per far valere i loro diritti.

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