Il Consiglio di Stato respinge i due appelli e conferma la correttezza dell’Istituto

Pensioni Inpgi: legittimo il prelievo di solidarietà

ROMA – Il Consiglio di Stato respinge i due appelli di 14 giornalisti in quiescenza contro la sentenza del Tar del Lazio del 20 agosto 2018 e dichiara legittimi gli atti impugnati relativi al prelievo 1° marzo 2017 – 29 febbraio 2020 sulle pensioni di importo superiore ai 38 mila euro lordo l’anno.
Con due sentenze (n. 5288 e n. 5290 del 26 luglio 2019) il Consiglio di Stato, pronunciandosi sul ricorso presentato avverso le sentenze emesse dal Tar del Lazio – che, in primo grado, aveva già ritenuto legittimo il contributo di solidarietà introdotto dal Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi sui trattamenti pensionistici di importo più elevato – ha confermato l’efficacia di questa misura di contenimento della spesa pensionistica.
Nella motivazione si legge, infatti, che «si tratta di far fronte ad uno stato preoccupante di disequilibrio economico dell’Inpgi». Non a caso «il contributo, che viene trattenuto all’interno della propria gestione dall’Inpgi, con specifico scopo solidaristico endo-previdenziale, ha la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale, in un contesto di crisi del sistema stesso particolarmente grave, a cui l’Istituto intende, con un’azione di riforma ben più generale, porre rimedio».
La misura straordinaria si pone «a salvaguardia, in definitiva, della stessa aspettativa di questi pensionati di poter godere in futuro del trattamento pensionistico, pur contemperando tale aspettativa col principio di responsabile redistribuzione delle risorse in funzione equitativa, nell’ottica di un “patto intergenerazionale” che è stato anche alla base della stessa privatizzazione dell’Istituto di previdenza e assistenza dei giornalisti negli anni ’90».
«Il contributo può dirsi “eccezionale”, secondo i parametri dettati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016, e non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio».
«Chiaramente – è scritto ancora – non sarebbe legittima una successiva proroga del termine del prelievo, che si porrebbe evidentemente in contrasto con il carattere “contingente, straordinario e temporalmente circoscritto” della misura».
«Il Collegio giudicante – commenta l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani – ha, così, aderito pienamente alle tesi sostenute dall’Inpgi sia in merito alla potestà di regolamentare la materia con un proprio provvedimento, ritualmente approvato dei ministeri vigilanti, sia per quanto attiene la rispondenza della misura adottata ai parametri definiti dalla Corte Costituzionale in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici in essere (straordinarietà, ragionevolezza, progressività del contributo applicato)».
«Si tratta – afferma l’Inpgi – di una importante conferma della correttezza delle decisioni assunte dall’Istituto che, nell’ambito di un più ampio intervento di riforma del proprio sistema previdenziale, ha introdotto anche una misura ispirata a principi di equità e solidarietà intergenerazionale». (giornalistitalia.it)

Le due sentenze del 26 luglio 2019 n. 5288 e 5290

Pubblicato il 26/07/2019
N. 05288/2019 REG.PROV. COLL.
N. 00114/2019 REG.RIC.

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 114 del 2019, proposto dai signori Demetrio De Stefano, Liliana Madeo e Salvatore Rotondo, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Guglielmi e Alfonso Amoroso, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Freni, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 281;
Adepp – Associazione degli Enti Previdenziali Privati, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Bagnoli, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 8994 del 20.8.2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” e di Adepp – Associazione degli Enti Previdenziali Privati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nelludienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Carlo Guglielmi, Alberto Bagnoli, Federico Freni e l’aavvocato dello Stato Carla Corelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso al Tar per il Lazio, sede di Roma, i ricorrenti in epigrafe, giornalisti titolari di pensioni erogate dall’Istituto Nazionale per la Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (d’ora in poi Inpgi), impugnavano la delibera n. 63 del 28 settembre 2016, adottata dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi, e il provvedimento/nota n.36 /0001945/PG-L-77 del 20 febbraio 2017 col quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha approvato la citata delibera, nonché vari atti presupposti e consequenziali, comprese le trattenute illegittime sulle pensioni.
La delibera n. 63 del 2016 impugnata ha, infatti, previsto a carico delle pensioni in essere dei giornalisti, di importo pari o superiore a 38.000 euro annuali, un contributo di solidarietà con scaglioni progressivi e durata di 3 anni (2017/2020), allo scopo di perseguire il riequilibrio della gestione finanziaria dell’Ente previdenziale.
I ricorrenti deducevano che tale prelievo è stato illegittimamente imposto senza che l’Inpgi ne abbia il relativo potere normativo e che il contributo straordinario si aggiunge illegittimamente al contributo di solidarietà disposto ex art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, cd. Legge di stabilità per il 2014 (applicato alle pensioni superiori ad euro 91.250,32 annue lorde dal 1° dicembre 2014 al 31 dicembre 2016), senza che siano rispettati i limiti di costituzionalità individuati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 173 del 5/13.7.2016.
2.- Con la sentenza in epigrafe, il Tar ha rigettato il ricorso affermando che la materia è delegificata e che non sono stati violati nè le norme, nè i principi richiamati dai ricorrenti.
3.- Con l’appello in esame, i ricorrenti denunciano l’erroneità ed ingiustizia della sentenza, di cui chiedono la riforma, riproponendo i motivi disattesi.
I ricorrenti affermano, con il primo motivo di appello, che il contributo di solidarietà in questione è stato introdotto non con legge, ma con provvedimenti amministrativi, nonostante la “riserva di legge” ex art. 23 Cost. in siffatta materia.
Denunciano, quindi, la violazione dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335/1995 e rammentano il parere negativo espresso dal Ministero del lavoro in sede di approvazione della precedente delibera n. 24 del 2015, che aveva introdotto analogo contributo straordinario, non approvata in parte qua proprio per difetto di potere normativo in capo all’Istituto.
I ricorrenti citano, a sostegno della propria tesi, copiosa e recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che dichiara illegittimi analoghi atti impositivi adottati da altre Casse previdenziali privatizzate, per difetto di “delegificazione” nella materia.
Con il secondo motivo di appello, i ricorrenti denunciano la violazione di norme costituzionali (artt. 2, 3, 36 e 38 della Cost.) e la violazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale a proposito del “contributo straordinario” finalizzato a risanare le Casse degli enti previdenziali del sistema previdenziale obbligatorio.
Secondo gli appellanti, erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che il denunciato prelievo non rappresenti una reiterazione del contributo di solidarietà già imposto con la finanziaria del 2014 e che le due misure non abbiano inciso, sovrapponendosi, sui pensionati Inpgi.
Erroneamente il Tar avrebbe ignorato che il prelievo non ha carattere contingente e temporaneo, né può definirsi sostenibile, avendo un ammontare del 20% che si aggiunge ad un prelievo fiscale di quasi il 50%, con grave lesione del principio di uguaglianza.
4.- Si sono costituiti in giudizio l’Inpgi, l’Adepp e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, chiedendo il rigetto dell’appello per inammissibilità e infondatezza.
5.- All’udienza del 20 giugno 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.
2.- Infondato è il motivo col quale i ricorrenti denunciano, sotto un primo profilo, la mancanza di potere in capo all’Inpgi di deliberare il contributo straordinario per cui è causa, vigendo la riserva di legge ex art. 23 della Costituzione.
Infondato è anche il secondo motivo di appello con cui i ricorrenti lamentano che il contributo avrebbe reiterato l’altro contributo straordinario, imposto dalla legge finanziaria del 2014 fino a tutto il 2016, e con grave violazione del principio di uguaglianza.
In particolare, gli appellanti sostengono che il contributo straordinario, di cui alla delibera n. 63 del 2016 impugnata, si sarebbe parzialmente sovrapposto al pregresso contributo straordinario generalizzato di cui alla legge finanziaria del 2014, con le medesime finalità di riequilibrio della gestione degli enti previdenziali, in violazione del limite di costituzionalità individuato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 173 del 5/13.7.2016, ovvero in spregio alla logica di imporre ai pensionati delle gestioni previdenziali obbligatorie la partecipazione al sacrificio economico destinato a risolvere la crisi finanziaria degli enti, mediante un’operazione però di durata limitata nel tempo ed eccezionale, incidente solo sugli importi più elevati, secondo un criterio di progressività e in base ad aliquote ragionevoli.
2.1.- Osserva il Collegio che con la delibera n. 63 del 2016 impugnata, il Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi ha introdotto “un contributo straordinario di partecipazione al riequilibrio finanziario della gestione previdenziale” per tre anni a decorrere dall’1.1.2017, a carico di trattamenti pensionistici di importo pari o superiore a 38.000 euro lordi annui, che devono però considerarsi particolarmente elevati perché calcolati con criteri diversi dagli attuali.
La misura del contributo è stata determinata applicando aliquote crescenti su scaglioni, il che ne garantisce la razionalità e proporzionalità.
La delibera è stata adottata in forza dell’art. 2 del D.lgs. n. 509 del 1994, che ha sancito il principio di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile delle Casse previdenziali di professionisti, nell’ambito di un processo di privatizzazione iniziato con la legge n. 537 del 1993, con lo scopo di consentire alle Casse dei professionisti di salvaguardare l’equilibrio dei propri bilanci.
L’ambito di autonomia, sottesa alla privatizzazione degli enti dei quali si tratta, anche sotto il profilo della potestà normativa che il legislatore ha loro conferito e che delimita l’operazione di delegificazione, non è privo di limiti.
Ogni potere esercitato dall’ente previdenziale privatizzato deve, infatti, rispettare i numerosi limiti che derivano non solo dalla “cornice” dei principi costituzionali, ma anche da quella ricavabile dai vincoli espressamente imposti dalle stesse leggi ordinarie, le quali prevedono regole sia di carattere formale e procedurale (cfr. art. 3, D.lgs. n. 509 del 1994, sulla necessaria approvazione da parte dei Ministeri vigilanti), sia di carattere sostanziale (cfr. ancora art. 2, D.lgs. n. 509, e art. 3, comma 12°, l. n. 335 dell’8.8.1995, in ordine ai vincoli di bilancio), oltre che specifici limiti di contenuto.
Oggetto di potestà normativa, ex art. 3, comma 12, l. n. 335, nell’ambito della suddetta delegificazione, sono tutti gli aspetti delle discipline dei contributi e delle prestazioni, con la sola esclusione di quanto attinente a quelle specifiche materie che – in ragione della loro natura di discipline di ordine pubblico, o comunque sulla base di valutazioni di vario genere, anche di natura politica – il legislatore abbia comunque inteso riservare a sé (l’esempio tipico è quello della prescrizione: cfr. art. 3, comma 9°, l. n. 335 del 1995).
L’art. 3, comma 12, della l. n. 335 si riferisce “agli interventi di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico” (cfr. Cassazione civile sez. lav., 22/02/2019, n.5375).
Il contributo straordinario imposto con la delibera n. 63 del 2016 impugnata rientra nel concetto di “determinazione del trattamento pensionistico” di cui all’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 e, quindi, rientra nei limiti della delegificazione operata da tale ultima disposizione in favore dell’autonomia regolamentare degli enti previdenziali privatizzati.
2.2.- Quanto ai limiti di contenuto, deve osservarsi che la norma di cui all’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, come modificata dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 27.12.2006 ha previsto che, in esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, D.lgs. n. 509 del 1994, gli enti adottano i “provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”.
Il principio del “pro rata” che attiene all’affidamento degli assicurati in ordine alle loro aspettative sulle prestazioni pensionistiche teoricamente maturate in relazione alla quantità di contributi versati, di cui i ricorrenti denunciano la violazione, è stato sostituito con un concetto meno rigido dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006.
Tale norma ha introdotto una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al rispetto del principio del “pro rata” (vecchia formulazione), ma a tenere presente il principio del “pro rata” contemperato con “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della Legge n. 296.
Con ciò il criterio del “pro rata” è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni, consentendo alla Cassa, dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare delibere in cui il principio del “pro rata” venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla l. n. 335 del 1995 (Cassazione civile, sez. lav., 07/01/2019, n.133).
Dalla lettura delle premesse della delibera n. 63 del 2016 impugnata, emerge chiaramente che l’Inpgi ha voluto ripartire gli oneri conseguenti alle misure volte al contenimento della spesa previdenziale, completando la riforma regolamentare avviata con la delibera del C.d.A. n. 62 adottata in pari data, mediante l’applicazione del criterio di equità tra diverse generazioni di iscritti in contemperamento col principio del pro rata, ovvero tenendo conto legittimamente, in applicazione dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, della improponibilità di porre esclusivamente a carico delle generazioni di futuri pensionati il peso economico delle necessarie riforme.
2.3. – Quanto al secondo profilo denunciato dai ricorrenti, concernente la sovrapposizione di prelievi a carico dei giornalisti pensionati, il Collegio è dell’avviso che il contributo di cui alla delibera impugnata non si sovrapponga a quello di cui di cui all’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Infatti, in primo luogo, il “contributo di solidarietà” di cui qui si discute non colpisce le pensioni erogate negli anni 2014-2016, incise dal precedente contributo; colpisce, invece, pensioni, di più basso importo nominale (pari o superiore a 38.000 euro annui), nel successivo periodo di tre anni, a partire dall’1.1.2017, e comporta un sacrificio temporaneo e quantitativamente modesto a carico dei pensionati, con aliquote percentuali crescenti secondo il principio di proporzionalità.
Non può parlarsi di sovrapposizione, dunque, neppure rispetto a quella fascia di pensionati che (godendo di pensione di importo superiore ai 91.250,32 euro) fu assoggettata al contributo straordinario di solidarietà, di cui alla legge finanziaria del 2014, fino al 31.12.2016.
D’altra parte, onde ulteriormente respingere la censura di violazione del principio di uguaglianza e di “vessatorietà” della misura per alcune categorie di pensionati, va sottolineata la finalità del contributo straordinario in esame.
Il contributo, che viene trattenuto all’interno della propria gestione dall’Inpgi, con specifico scopo solidaristico endo-previdenziale, ha la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale, in un contesto di crisi del sistema stesso particolarmente grave, a cui l’Istituto intende, con un’azione di riforma ben più generale, porre rimedio.
La misura straordinaria, sebbene imponga indubbiamente un sacrificio economico ai pensionati incisi (ed un sacrifico ulteriore a quelle pensioni di importo superiore a 91.250,32 euro già incise dal contributo straordinario imposto con la legge di stabilità del 2014) si pone a salvaguardia, in definitiva, della stessa aspettativa di questi pensionati di poter godere in futuro del trattamento pensionistico, pur contemperando tale aspettativa col principio di responsabile redistribuzione delle risorse in funzione equitativa, nell’ottica di un “patto intergenerazionale” che è stato anche alla base della stessa privatizzazione dell’Istituto di previdenza e assistenza dei giornalisti negli anni 90.
In questo senso, come si legge nell’atto ministeriale di controllo, la misura in questione si pone in discontinuità col contributo di solidarietà applicato anche dall’Inpgi in forza della legge finanziaria del 2014, in quanto va inquadrato nella più ampia riforma che l’Istituto ha messo in atto con la citata delibera n. 62 adottata nella medesima data.
Il contributo straordinario, così si legge nell’atto di controllo, intende “stemperare le oggettive dismetrie di trattamento fra diverse platee ammesse a diritto a pensione. I giornalisti più giovani, infatti, in periodo di crisi economica e lavorativa che coinvolge pesantemente gli iscritti all’Inpgi concorrono fortemente all’effettiva erogazione delle attuali prestazioni previdenziali, subendo peraltro in prima persona gli effetti di una riforma per loro necessariamente meno vantaggiosa ( a seguito ad es. dell’innalzamento delle aliquote contributive e dei requisiti pensionistici), mentre i giornalisti già pensionati, le cui prestazioni sono invero scollegate da una diretta correlazione con la contribuzione a suo tempo versata contribuiscono secondo equità in modo straordinario e temporaneo”.
In ragione della sua temporaneità (2017/2020) e straordinarietà (trovando giustificazione nel periodo di grave crisi economica e del mercato del lavoro con ripercussioni sulla complessiva stabilità finanziaria del sistema pensionistico dell’istituto) il contributo può dirsi “eccezionale”, secondo i parametri dettati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016, e non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio.
Il contributo viene, in buona sostanza, utilizzato come misura una tantum, imposto in un’ottica di mutualità intergenerazionale, in un momento di grave crisi contingente del sistema; il che giustifica l’accettabilità della deroga al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato, in armonia con la ratio dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, come modificata dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 27.12.2006.
Chiaramente, per inciso, non sarebbe legittima una successiva proroga del termine del prelievo, che si porrebbe evidentemente in contrasto con il carattere “contingente, straordinario e temporalmente circoscritto” della misura.
3.- In conclusione, l’appello va respinto.
4.- Le spese di giudizio si compensano tra le parti, considerata la novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, dichiara legittimi gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere

       L’ESTENSORE                                                                                                                IL PRESIDENTE
Paola Alba Aurora Puliatti                                                                                                        Franco Frattini

***

Pubblicato il 26/07/2019

N. 05290/2019 REG.PROV.COLL
N. 01707/2019 REG.RIC.

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1707 del 2019, proposto dai Sig.ri Marcello Sorgi, Guido Paglia, Marco Benedetto, Maria Milani, Antonella Amendola, Marco Tosatti, Vincenzo Lucrezi, Fernando Ceccarini, Francesco Albanese, Battista Notarianni e Ida Spadaro, rappresentati e difesi dagli avvocati Umberto Ilardo e Vincenzo Greco, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Freni, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 281;
Adepp – Associazione degli Enti Previdenziali Privati, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alberto Bagnoli, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 8995 del 2018.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” e di Adepp – Associazione degli Enti Previdenziali Privati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Umberto Ilardo, Alberto Bagnoli, Federico Freni e l’avvocato dello Stato Carla Corelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.-Con ricorso al Tar per il Lazio, sede di Roma, i ricorrenti in epigrafe, giornalisti titolari di pensioni erogate dall’Istituto Nazionale per la Previdenza dei giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (d’ora in poi Inpgi) o loro eredi, impugnavano la delibera n. 63 del 28 settembre 2016 adottata dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi e il provvedimento/nota n.36 /0001945/PG-L-77 del 20 febbraio 2017 col quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha approvato la citata delibera, nonché vari atti presupposti.
I ricorrenti chiedevano anche la condanna dell’Inpgi al risarcimento dei danni subiti e subendi a causa dei provvedimenti illegittimi adottati e/o della loro attuazione, oltre rivalutazione ed interessi come per legge, nella misura quanto meno pari alle illegittime ed indebite trattenute che, a partire dal 1° maggio 2017, i ricorrenti hanno già incominciato a subire a titolo di contributo straordinario di solidarietà.
La delibera n. 63 del 2016 impugnata ha, infatti, previsto a carico delle pensioni in essere dei giornalisti, di importo pari o superiore a 38.000 euro annuali, un contributo di solidarietà con scaglioni progressivi e durata di 3 anni (2017/2020), allo scopo di perseguire il riequilibrio della gestione finanziaria dell’Ente previdenziale.
I ricorrenti deducevano che tale prelievo si aggiunge illegittimamente al blocco della rivalutazione monetaria delle pensioni in atto da 9 anni ed al contributo di solidarietà disposto ex art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, cd. Legge di stabilità per il 2014, applicato alle pensioni superiori ad euro 91.250,32 annue lorde dal 1° dicembre 2014 al 31 dicembre 2016.
I ricorrenti affermavano, con il primo motivo di ricorso, che il contributo di solidarietà in questione è stato introdotto non con legge, ma con provvedimenti amministrativi, nonostante la “riserva di legge”, in violazione di norme di legge (del D.lgs. n. 509/1994, della l. n. 335/1995), di norme costituzionali (artt. 3 e 23, 36 e 38 in relazione all’art. 81 della Costituzione), in violazione dell’art. 3 dello Statuto Inpgi, approvato con D.I. del 13 settembre 2007, e in violazione di principi affermati dalla Corte Costituzionale, come il “principio di non ripetitività”, il principio del “legittimo affidamento”, il principio del c.d. “pro-rata”. L’art. 3, comma 12, della l. 335/1995 è norma non derogabile con regolamento della Cassa e non può, dunque, consentire l’imposizione di un contributo che riduce con atto unilaterale l’importo della pensione di anzianità, ledendo l’affidamento del pensionato (Cassazione n. 13607 del 2002 e n. 13141 del 2014). Neppure il fondamento normativo della delibera impugnata potrebbe trovarsi negli artt. 2 e 3 della l. 509 del 1994.
Con altro motivo, i ricorrenti denunciavano la violazione delle stesse norme sotto altro profilo, l’eccesso di potere, l’errore nei presupposti di fatto e di diritto, il travisamento, il difetto di istruttoria, la carenza di motivazione. Il parere negativo espresso dal Mef lascia escludere che il Ministero del Lavoro abbia agito effettivamente di concerto con esso ed, inoltre, i ricorrenti ritenevano illegittima l’acquisizione dei pareri della Federazione nazionale della Stampa Italiana e della Federazione Italiana Editori Giornali, non aventi titolo rispetto a provvedimenti che incidono su pensionati e non su lavoratori in servizio.
2.- Con la sentenza in epigrafe, il Tar ha rigettato il ricorso affermando che la materia è delegificata e che non sono stati violati nè le norme, nè i principi richiamati dai ricorrenti.
3.- Con l’appello in esame, i ricorrenti denunciano l’erroneità ed ingiustizia della sentenza, di cui chiedono la riforma, riproponendo i motivi disattesi.
Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che il denunciato prelievo non rappresenti una reiterazione del contributo di solidarietà già imposto con la finanziaria del 2014 e che le due misure, che pure hanno un ambito di intervento diverso, non abbiano inciso, sovrapponendosi, sui pensionati Inpgi.
Erroneamente il Tar avrebbe ignorato che l’ente previdenziale, se non autorizzato da specifica norma di legge, non può ridurre l’importo del trattamento pensionistico maturato con atto unilaterale, dovendosi tale atto ritenere incompatibile sia con la riserva di legge dettata dall’art. 23 della Costituzione, sia con il rispetto del principio “pro-rata” in relazione alle anzianità maturate, a tutela dell’affidamento dell’assicurato a conseguire una pensione di consistenza proporzionale alla quantità dei contributi versati.
Gli appellanti affermano che la materia non è delegificata, come asserito dal giudice di primo grado, e che il fondamento normativo del potere esercitato non può trovarsi né negli artt. 2 e 3 del D.lgs. n. 509 del 1994, né nell’art. 3, comma 12, della legge 335/1995, come novellato dall’art. 1, comma 763, della l. 296 del 2006.
Essi richiamano, quindi, la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione, in tema ad es. di analoghi contributi straordinari imposti dalla Cassa nazionale di previdenza dei Ragionieri e Periti commerciali.
Ancora gli appellanti lamentano l’omessa pronuncia del Tar sul motivo di ricorso con cui deducevano varie illegittimità procedurali, in particolare, il mancato concerto del Ministero del lavoro con il Mef, e l’acquisizione del parere di Fnsi e Fieg, sindacati che invece non hanno titolo ad esprimere il loro parere sul trattamento pensionistico.
4.- Si sono costituiti in giudizio l’Inpgi, l’Adepp e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, chiedendo il rigetto dell’appello per inammissibilità e infondatezza.
5.- All’udienza del 20 giugno 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.
2.- Infondato è il motivo col quale i ricorrenti denunciano, sotto un primo profilo, la mancanza di potere in capo all’Inpgi di deliberare il contributo straordinario per cui è causa, vigendo la riserva di legge ex art. 23 della Costituzione.
Sotto altro profilo, i ricorrenti lamentano che il contributo avrebbe reiterato l’altro contributo straordinario imposto dalla legge finanziaria del 2014 fino a tutto il 2016.
In particolare, essi sostengono che il contributo straordinario, di cui alla delibera n. 63 del 2016 impugnata, si sarebbe parzialmente sovrapposto al pregresso contributo straordinario generalizzato di cui alla legge finanziaria del 2014, con le medesime finalità di riequilibrio della gestione degli enti previdenziali, in violazione del limite di costituzionalità individuato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 173 del 13.7.2016, ovvero in spregio alla logica di imporre ai pensionati delle gestioni previdenziali obbligatorie la partecipazione al sacrificio economico destinato a risolvere la crisi finanziaria degli enti, mediante un’operazione però di durata limitata nel tempo ed eccezionale, incidente solo sugli importi più elevati, secondo un criterio di progressività e in base ad aliquote ragionevoli.
2.1.- Osserva il Collegio che con la delibera n. 63 del 2016 impugnata, il Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi ha introdotto “un contributo straordinario di partecipazione al riequilibrio finanziario della gestione previdenziale” per tre anni a decorrere dall’1.1.2017, a carico di trattamenti pensionistici di importo pari o superiore a 38.000 euro lordi annui, da considerarsi particolarmente elevati perché calcolati con criteri diversi dagli attuali.
La misura del contributo è stata determinata applicando aliquote crescenti su scaglioni.
La delibera è stata adottata in forza dell’art. 2 del D.lgs. n. 509 del 1994, che ha sancito il principio di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile delle Casse previdenziali di professionisti, nell’ambito di un processo di privatizzazione iniziato con la legge n. 537 del 1993, con lo scopo di consentire alle Casse dei professionisti di salvaguardare l’equilibrio dei propri bilanci.
L’ambito di autonomia, sottesa alla privatizzazione degli enti dei quali si tratta, anche sotto il profilo della potestà normativa che il legislatore ha loro conferito e che delimita l’operazione di delegificazione, non è privo di limiti.
Ogni potere esercitato dall’ente previdenziale privatizzato deve, infatti, rispettare i numerosi limiti che derivano non solo dalla “cornice” dei principi costituzionali, ma anche da quella ricavabile dai vincoli espressamente imposti dalle stesse leggi ordinarie, le quali prevedono regole sia di carattere formale e procedurale (cfr. art. 3, D.lgs. n. 509 del 1994, sulla necessaria approvazione da parte dei Ministeri vigilanti), sia di carattere sostanziale (cfr. ancora art. 2, D.lgs. n. 509, e art. 3, comma 12°, l. n. 335 dell’8.8.1995, in ordine ai vincoli di bilancio), oltre che specifici limiti di contenuto.
Oggetto di potestà normativa, ex art. 3, comma 12, l. n. 335, nell’ambito della suddetta delegificazione, sono tutti gli aspetti delle discipline dei contributi e delle prestazioni, con la sola esclusione di quanto attinente a quelle specifiche materie che – in ragione della loro natura di discipline di ordine pubblico, o comunque sulla base di valutazioni di vario genere, anche di natura politica – il legislatore abbia comunque inteso riservare a sé (l’esempio tipico è quello della prescrizione: cfr. art. 3, comma 9°, l. n. 335 del 1995).
L’art. 3, comma 12, della l. n. 335 si riferisce “agli interventi di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico” (cfr. Cassazione civile sez. lav., 22/02/2019, n.5375).
Il contributo straordinario imposto con la delibera n. 63 del 2016 impugnata rientra nel concetto di “determinazione del trattamento pensionistico” di cui all’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 e, quindi, rientra nei limiti della delegificazione operata da tale ultima disposizione in favore dell’autonomia regolamentare degli enti previdenziali privatizzati.
2.2.- Quanto ai limiti di contenuto, deve osservarsi che la norma di cui all’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, come modificata dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 27.12.2006 ha previsto che, in esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, D.lgs. n. 509 del 1994, gli enti adottano i “provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”.
Il principio del “pro rata” che attiene all’affidamento degli assicurati in ordine alle loro aspettative sulle prestazioni pensionistiche teoricamente maturate in relazione alla quantità di contributi versati, di cui i ricorrenti denunciano la violazione, è stato sostituito con un concetto meno rigido dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006.
Tale norma ha introdotto una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al rispetto del principio del “pro rata” (vecchia formulazione), ma a tenere presente il principio del “pro rata” contemperato con “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della Legge n. 296.
Con ciò il criterio del “pro rata” è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni, consentendo alla Cassa, dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare delibere in cui il principio del “pro rata” venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla l. n. 335 del 1995 (Cassazione civile, sez. lav., 07/01/2019, n.133).
Dalla lettura delle premesse della delibera n. 63 del 2016 impugnata, emerge chiaramente che l’Inpgi ha voluto ripartire gli oneri conseguenti alle misure volte al contenimento della spesa previdenziale, completando la riforma regolamentare avviata con la delibera del C.d.A. n. 62 adottata in pari data, mediante l’applicazione del criterio di equità tra diverse generazioni di iscritti in contemperamento col principio del pro rata, ovvero tenendo conto legittimamente, in applicazione dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, della improponibilità di porre esclusivamente a carico delle generazioni di futuri pensionati il peso economico delle necessarie riforme.
2.3. – Quanto al secondo profilo denunciato dai ricorrenti, concernente la sovrapposizione di prelievi a carico dei giornalisti pensionati, il Collegio è dell’avviso che il contributo di cui alla delibera impugnata non si sovrapponga a quello di cui di cui all’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Infatti, in primo luogo, il “contributo di solidarietà” di cui qui si discute non colpisce le pensioni erogate negli anni 2014-2016, incise dal precedente contributo; colpisce, invece, pensioni, di più basso importo (pari o superiore a 38.000 euro annui), nel successivo periodo di tre anni, a partire dall’1.1.2017, e comporta un sacrificio temporaneo e quantitativamente modesto a carico dei pensionati, con aliquote percentuali crescenti secondo il principio di proporzionalità.
Non può parlarsi di sovrapposizione, dunque, neppure rispetto a quella fascia di pensionati che (godendo di pensione di importo superiore ai 91.250,32 euro) fu assoggettata al contributo straordinario di solidarietà, di cui alla legge finanziaria del 2014, fino al 31.12.2016.
D’altra parte, va sottolineata la finalità del contributo straordinario in esame.
Il contributo, che viene trattenuto all’interno della propria gestione dall’Inpgi, con specifico scopo solidaristico endo-previdenziale, ha la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale, in un contesto di crisi del sistema stesso particolarmente grave, a cui l’Istituto intende, con un’azione di riforma ben più generale, porre rimedio.
La misura straordinaria, sebbene imponga indubbiamente un sacrificio economico ai pensionati incisi (ed un sacrifico ulteriore a quelle pensioni di importo superiore a 91.250,32 euro già incise dal contributo straordinario imposto con la legge di stabilità del 2014) si pone a salvaguardia, in definitiva, della stessa aspettativa di questi pensionati di poter godere in futuro del trattamento pensionistico, pur contemperando tale aspettativa col principio di responsabile redistribuzione delle risorse in funzione equitativa, nell’ottica di un “patto intergenerazionale” che è stato anche alla base della stessa privatizzazione dell’Istituto di previdenza e assistenza dei giornalisti negli anni 90.
In questo senso, come si legge nell’atto ministeriale di controllo, la misura in questione si pone in discontinuità col contributo di solidarietà applicato anche dall’Inpgi in forza della legge finanziaria del 2014, in quanto va inquadrato nella più ampia riforma che l’Istituto ha messo in atto con la citata delibera n. 62 adottata nella medesima data.
Il contributo straordinario, così si legge nell’atto di controllo, intende “stemperare le oggettive dismetrie di trattamento fra diverse platee ammesse a diritto a pensione. I giornalisti più giovani, infatti, in periodo di crisi economica e lavorativa che coinvolge pesantemente gli iscritti all’Inpgi concorrono fortemente all’effettiva erogazione delle attuali prestazioni previdenziali, subendo peraltro in prima persona gli effetti di una riforma per loro necessariamente meno vantaggiosa ( a seguito ad es. dell’innalzamento delle aliquote contributive e dei requisiti pensionistici), mentre i giornalisti già pensionati, le cui prestazioni sono invero scollegate da una diretta correlazione con la contribuzione a suo tempo versata contribuiscono secondo equità in modo straordinario e temporaneo”.
In ragione della sua temporaneità (2017/2020) e straordinarietà (trovando giustificazione nel periodo di grave crisi economica e del mercato del lavoro con ripercussioni sulla complessiva stabilità finanziaria del sistema pensionistico dell’istituto) il contributo può dirsi “eccezionale”, secondo i parametri dettati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016, e non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio.
Il contributo viene, in buona sostanza, utilizzato come misura una tantum, imposto in un’ottica di mutualità intergenerazionale, in un momento di grave crisi contingente del sistema; il che giustifica l’accettabilità della deroga al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato, in armonia con la ratio dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, come modificata dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 27.12.2006.
Chiaramente, per inciso, non sarebbe legittima una successiva proroga del termine del prelievo, che si porrebbe evidentemente in contrasto con il carattere “contingente, straordinario e temporalmente circoscritto” della misura.
3.- Infondato è anche il secondo motivo del ricorso introduttivo riproposto in questa sede.
Il controllo sulla delibera è stato esercitato dal Ministero del lavoro con atto n. 1945 del 20.2.2017, nel quale si dà atto sia dell’istruttoria svolta d’intesa col Mef sul complesso della riforma, che del concerto in fase di approvazione, di cui al parere reso dal Ragioniere Generale dello Stato con nota Rgs-Igespes n. 15917 del 27 gennaio 2017.
Tale parere del Mef effettivamente rinvia alle valutazioni critiche già espresse per l’analoga contribuzione istituita con la delibera n. 24 del 2015 con nota 1379 del 2.2. 2016, indirizzata all’Inpgi; ma non esprime un avviso contrario all’approvazione della delibera.
Il Ministro del lavoro, sul punto, tiene conto che la complessiva riforma avviata dall’Inpgi con la delibera n. 24 del 2015 (parzialmente approvata in data 2.2.2016) è proseguita con la delibera n. 62 e supportata dagli effetti della delibera 63, che introduce il contributo straordinario, sulla cui legittimità, per i profili di equità e ragionevolezza esaminati alla luce della giurisprudenza costituzionale, ha dato ampia motivazione, rilevando tra l’altro, che si tratta di far fronte ad uno “stato preoccupante di disequilibrio economico dell’Inpgi”.
Il “concerto” tra Ministeri, ai fini dell’adozione di un atto di competenza di uno dei Ministeri, è atto con cui la scelta è concordata; in quanto atto consensuale tra parti in posizione paritaria, rientra nella categoria dell’accordo, cui trovano applicazione, quale “punto di riferimento sistematico”, i criteri sull’interpretazione del contratto dettati dal codice civile, notoriamente utilizzabili anche in diritto pubblico e tra questi il principio dell’intenzione reale delle parti (art. 1362 c.c.), il principio dell’effettivo oggetto dell’accordo (art. 1363 c.c.), il canone di conservazione degli atti giuridici (art. 1367 c.c.).
Avendo riguardo alla reale intenzione dei soggetti dell’intesa, è palese che ove il Mef avesse dissentito dall’approvazione, si sarebbe chiaramente espresso in tal senso; al contrario, l’avviso del Mef ha un contenuto positivo.
Quanto alla segnalazione del Mef circa ogni diversa destinazione delle risorse acquisite con il contributo straordinario, eventualmente deliberata in futuro, che dovrà essere oggetto di valutazione dei Dicasteri vigilanti, va rilevato che analoga prescrizione risulta ribadita nell’atto di approvazione del Ministero del lavoro, che l’ha fatta propria.
3.1.- Per quanto concerne la contestazione dell’avvenuta acquisizione delle determinazioni delle parti sociali, Fnsi e Fieg, che hanno espresso il proprio avviso rispettivamente con note del 27 e 28 settembre 2016, si osserva che le organizzazioni dovevano essere sentite, ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. b) del D.Lgs. 509 del 1994.
Inoltre, deve ritenersi che gli organismi sindacali consultati sono titolati ad intervenire su tutte le questioni che riguardano gli interessi degli iscritti, sia concernenti il rapporto di lavoro che il trattamento pensionistico.
4.- In conclusione, l’appello va respinto.
5.- Le spese di giudizio si compensano tra le parti, considerata la novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, dichiara legittimi gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere

        L’ESTENSORE                                                                                                            IL PRESIDENTE
Paola Alba Aurora Puliatti                                                                                                      Franco Frattini

 

 

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