La sfida delle testate Usa: bisogna innanzitutto investire sulla qualità delle notizie

Dean Baquet: “È l’epoca d’oro dell’informazione”

Dean Baquet

Dean Baquet

BORGO LA BAGNAIA (Siena) – Il business basato sul mix di abbonamenti sull’online e pubblicità del New York Times; le innovazioni del Wall Street Journal per tentare di rilanciare i ricavi; il nuovo corso del Washington Post dopo l’arrivo di Jeff Bezos di Amazon; l’uso dei “robot” nella scrittura delle notizie da parte del Los Angeles Times. Del futuro dell’editoria, attraverso i modelli sperimentati delle grandi testate americane, si è discusso nella prima giornata del convegno “Crescere tra le righe” a Borgo La Bagnaia.
Il mantra ripetuto da editori, giornalisti e manager per uscire da una crisi, che ancora morde anche Oltreoceano, è investire sulla qualità delle notizie. “Contiamo – ha annunciato Mark Thompson, presidente e ad del New York Times – di superare il milione di abbonati digitali entro pochi mesi. Crescono gli abbonamenti nazionali, ma anche quelli internazionali e poche altre testate hanno avuto il successo che abbiamo avuto noi. Quello che abbiamo capito è che il pubblico paga solo se c’è qualità. Essersi rifiutati di fare tagli non è stato solo nobile, ma anche intelligente in termini di business”.
Thompson ha spiegato che “l’abbinamento abbonamenti-pubblicità non è l’unica strada per il successo, perché cresce anche il modello che si basa solo sulla pubblicità”. Il quotidiano di New York ha recentemente spostato il suo baricentro verso l’online, decidendo di dare minor rilevanza alla riunione in cui si decide la prima pagina del giorno dopo e concentrandosi sulla copertura costante delle notizie.
“In passato – – ha spiegato il direttore Dean Baquet – la mattina cominciavamo a pensare a come seguire una particolare notizia, decidevamo chi l’avrebbe scritta, ora ragioniamo su qual è il modo migliore di dare una notizia. Questa è l’epoca d’oro dell’informazione, non c’è limite alle fonti. Le grandi testate sono, però, vitali oggi più che mai, perché sono ad esempio in grado di proteggere i giornalisti in guerra e sono abbastanza ferme da opporsi ai governi”.
Baquet è stato protagonista di un faccia a faccia con il direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker. “Uno dei dati più preoccupanti che abbiamo diffuso recentemente – ha detto quest’ultimo – è che negli Usa ci sono cinque volte più addetti degli uffici stampa che giornalisti. L’importante è che il lettore capisca che le informazioni fornite direttamente da governi o aziende non sono filtrate. Per questo servono i giornalisti, per filtrare le informazioni e cercare notizie nascoste”.
Delle trasformazioni seguite all’acquisto del Washington Post da parte del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, ha parlato il direttore della testata, Martin Baron. “Bezos – ha affermato – non è coinvolto nelle scelte giornalistiche. Si occupa della strategia, finanzia molti esperimenti che stanno avendo buoni risultati”.
Baron ha spiegato che la redazione comprende 700 giornalisti e 47 ingegneri che sviluppano app (una anche per Apple Watch) e nuovi prodotti. “Abbiamo – ha detto – un team che lavora di notte, cercando le storie sul web per fornire qualcosa di nuovo a chi si collega al mattino; un pool di esperti che studia come far crescere gli introiti pubblicitari; 40 persone che lavorano sui video, settore che tra uno, due anni, potremmo implementare”.
Tra gli ospiti anche il direttore del Los Angeles Times, Davan Maharaj, che, pur sostenendo la necessità di innovare, ha difeso la carta stampata. “Sarebbe bello – ha sottolineato – occuparsi solo del sito ma è un lusso che non possiamo permetterci, perché l’80% dei ricavi viene ancora dalla carta: durante la settimana vendiamo 700mila copie, la domenica arriviamo a circa un milione”.
Il quotidiano non ha però mancato sperimentare, stupendo il mondo con la notizia di un forte sisma in California data prima di tutti attraverso un algoritmo, in grado di pubblicare automaticamente informazioni sui terremoti oltre una certa soglia. “Ci piace molto il nostro robot – ha affermato Maharaj – e vorremmo fare una gara per dargli un nome. Finora ha sempre avuto ragione”. (Ansa)

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