Se ne parla da mesi, ma a che punto siamo? Nostra intervista al prof. Francesco Ramella

Viaggio nell’Italia di domani: Missione 3 del Pnrr

ROMA – Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è forse il più grande progetto politico economico degli ultimi anni. Se ne parla da mesi e, almeno su carta, si dovrebbero raggiungere gli obiettivi delle 6 Missioni, di cui si compone il Piano, entro il 2026.

Roberta Spinelli

A che punto siamo? E soprattutto ogni Missione è realmente coerente con ciò che si propone? Con Francesco Ramella, docente di Trasporti all’Università di Torino e direttore esecutivo di Bridges Research abbiamo posto sotto la lente di ingrandimento la Missione 3, che ha l’obiettivo di rendere, entro il 2026, il sistema infrastrutturale più moderno, digitale e sostenibile, in grado di rispondere alla sfida della decarbonizzazione e di ridurre i divari presenti sul territorio nazionale.

– Cura del ferro equivale a curare l’ambiente e abbattere CO2?
«Questo è quanto ripetono, da decenni, l’Unione Europea e i governi nazionali. Ma non è così. È vero che i treni inquinano meno di auto e aerei, ma per abbattere in misura significativa la CO2 occorrerebbe spostare su ferrovia quote rilevanti di traffico.

Francesco Ramella

Cosa che non è possibile fare. Nonostante ingenti trasferimenti di risorse alle ferrovie europee – più di mille miliardi negli ultimi venti anni – la mobilità in aereo è cresciuta tre volte di più e quella in auto otto volte di più rispetto a quella in treno.
Il caso forse più interessante è quello della Svizzera, il Paese che più e meglio di ogni altro ha investito nel trasporto ferroviario. Eppure, anche lì l’auto la fa da padrona: dal 1950 a oggi i chilometri percorsi su strada si sono moltiplicati per dieci volte, quelli in treno poco più di due.
Nel caso delle merci il predominio del trasporto su gomma è ancora più netto. Se si considera il fatturato o i flussi di traffico, la quota di mercato della ferrovia in Italia è pari a circa il 2% e poco di più negli altri Paesi. Gran parte degli spostamenti di merci avvengono su distanze medio-brevi (all’interno delle singole regioni) dove il treno non può competere con il camion. Nel nostro Paese un raddoppio del traffico su ferrovia, che è grosso modo invariato da venti anni, farebbe ridurre le emissioni complessive del trasporto merci di circa il 5% (l’1% di quelle nazionali).
Se vogliamo azzerare le emissioni di CO2 non vi è altra strada che l’innovazione tecnologica. È quanto già accaduto per gli inquinanti locali che sono stati radicalmente ridotti rispetto ai decenni passati pur in presenza di un aumento della mobilità. Non dobbiamo dimenticare che nel caso della CO2 il problema è a scala mondiale e che nei prossimi decenni gli spostamenti di persone e merci continueranno a crescere soprattutto fuori dall’Europa. Ridurre di pochi punti percentuali i chilometri percorsi da auto e camion nella UE è sostanzialmente irrilevante per il clima».


– L’inganno della missione 3: si raggiungono realmente gli obiettivi?
«No. Gli obiettivi fissati dal Pnrr sono del tutto irrealistici. Per i passeggeri si ipotizza che la quota di traffico passi dal 6% del 2019 (oggi è inferiore) al 10% del 2030 e che al contempo di riduca dall’82% al 77% quella dell’auto. Basti pensare che dal 2007 al 2019 ossia nel periodo di rapido sviluppo del traffico sulle linee AV, la ferrovia nel suo complesso è passata dal 5,6% al 6,2% tornando a una quota identica a quella di venti anni fa. Gli investimenti dei prossimi anni interesseranno linee con traffico di gran lunga inferiore a quello della direttrice Milano – Napoli e, quindi, la loro ricaduta sarà molto più limitata. Possono passare dalla strada alla ferrovia alcune decine di migliaia di passeggeri non un milione. Se il Governo scrivesse in documento ufficiale che l’Italia nel prossimo decennio crescerà del 6% all’anno, è facile prevedere che si leverebbe un coro di critiche unanime mentre “previsioni” altrettanto fantasiose per le ferrovie sembrano accolte da tutti senza il minimo dubbio. E quelle cifre servono per giustificare investimenti per decine di miliardi».

– Vecchi progetti spacciati per nuovi obiettivi
«Sì, si tratta per lo più di progetti già nel cassetto che vengono riproposti nell’ambito del Pnrr; la principale novità è la nuova linea AV tra Salerno e Reggio Calabria. D’altra parte, visti i tempi stretti previsti non si poteva pensare a nulla di diverso. Sarebbe stato davvero strano che un Paese che da decenni investe ingenti risorse in assenza di un rigoroso processo di valutazione di costi e benefici potesse agire meglio nella fretta e quando può utilizzare risorse che in parte sono a carico dei contribuenti europei».

– Con il Pnrr – Missione 3 – l’Italia viaggerà alla stessa velocità
«Per quasi tutti gli italiani sarà così. Tenga presente che ogni giorno in Italia sono poco più di un milione su sessanta le persone che salgono su un treno. Meno di duecentomila, un italiano su trecento, si muove con un treno ad alta velocità. A beneficiare dei nuovi ingenti investimenti saranno in larga misura pochissime persone – perlopiù di reddito medio alto – che si potranno spostare più velocemente e comodamente rispetto a oggi».

– Ammodernare le ferrovie a chi conviene?
«Conviene evidentemente a chi le utilizza, a chi realizza i lavori e ai politici che taglieranno il nastro alla cerimonia di inaugurazione e si attribuiranno il merito di aver creato occupazione.
La differenza sostanziale rispetto a investimenti in altri settori e anche al caso di strade e autostrade è che chi utilizza la ferrovia si fa carico solo di una piccola parte dei costi che sono in larga misura a carico dei contribuenti attuali e futuri. Negli ultimi trent’anni la spesa pubblica per le ferrovie in Italia è risultata pari a circa 500.000 miliardi, equivalente a un quinto del nostro debito pubblico».

– Ci fa alcuni esempi concreti?
«Il progetto di gran lunga più costoso, con un preventivo che oscilla tra i 22 e i 29 miliardi, è la realizzazione di una nuova linea AV tra Salerno e Reggio Calabria. Secondo le stime di Bridges Research (le analisi sono disponibili sul sito bridgesresearch.it), i benefici saranno nell’ipotesi più ottimistica dell’ordine dei 3 miliardi. I nuovi utenti della ferrovia intorno ai 7.000 al giorno, equivalenti a un treno all’ora per direzione. Il costo per ogni tonnellata di CO2evitata superiore ai 4.000 €: con la stessa cifra, in altri settori, di tonnellate se ne potrebbero abbattere ottanta.
Un altro pessimo investimento è l’ammodernamento della direttrice Orte – Falconara: l’investimento è di 4 miliardi ma i benefici attesi solo 200 milioni. Paradossalmente, le maggiori emissioni di CO2 nella fase di cantiere non sono compensate dalla riduzione in fase di utilizzo. Al danno economico si somma quello ambientale».

– Ma le analisi costi-benefici sono sempre negative? Non si dovrebbe costruire più nulla?
«No, dove i traffici sono molto elevati come sulla Roma – Milano, la realizzazione di una nuova linea AV comporta vantaggi superiori ai costi.
Anche interventi di ammodernamento di tratte esistenti con un buon livello di utilizzo possono essere vantaggiosi. Bridges Research ha, ad esempio, analizzato il caso della Direttrice Adriatica, da Bologna a Bari. L’investimento è intorno a 1,8 miliardi e i benefici sono stimati pari a 2,1 miliardi. Il bilancio è dunque positivo. I vantaggi, però, sono quasi solo per coloro che già oggi utilizzano il treno che potranno risparmiare fino a mezz’ora di tempo. Non ce ne sono quasi per chi si sposta in auto e per l’ambiente: infatti, le persone che a seguito del miglioramento della linea passano dall’autostrada alla ferrovia sono poche, intorno a 300 al giorno, meno di dieci all’ora per ciascuna direzione».

– Troppi soldi in mano ad un grande colosso?
«Troppi soldi che vengono trasferiti a un colosso poco esposto alla concorrenza sulla base di valutazioni di redditività degli investimenti che vengono affidate allo stesso soggetto. Un enorme conflitto di interesse. Non stupisce che tutte le valutazioni pubblicate di Ferrovie dello Stato Italiane abbiano invariabilmente esito positivo: è un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono».

– Disporre di un collegamento ferroviario veloce per gli spostamenti di lunga percorrenza garantisce realmente la crescita?
«Non vi è alcuna solida evidenza in tal senso. Se guardiamo a quanto accaduto nelle città già collegate con l’Alta velocità, il quadro è fortemente disomogeneo.
Tra il 2008 e il 2016 il Pil è aumentato del 13,4% nella Provincia di Bologna, del 3,2% in quella di Roma ed è diminuito del 3,2% a Napoli che ha fatto peggio della Campania nel suo insieme. Appare dunque evidente come il disporre di un collegamento ferroviario veloce per gli spostamenti di lunga percorrenza non sia affatto condizione sufficiente per garantire la crescita.
Possiamo aggiungere che il trovarsi in prossimità di una linea AV non è condizione necessaria allo sviluppo: la performance migliore tra le Province italiane negli anni successivi al 2008 è quella di Bolzano il cui capoluogo dista 250 km dalla più vicina stazione AV e il cui Pil è cresciuto quasi il doppio rispetto a Milano e sei volte tanto quello di Roma.
Non è facendo viaggiare più comodamente qualche decina di migliaia di persone che si fa crescere una Regione. È stato da poco pubblicato un articolo scientifico di alcuni ricercatori della Banca d’Italia che dimostra come l’autostrada Salerno – Reggio Calabria non abbia avuto alcun effetto sulla crescita della Regione nel lungo periodo. Non c’è da attendersi un esito diverso dalla linea AV ora in progetto».

L’autostrada Salerno – Reggio Calabria

– Come modificherà la guerra le prospettive degli investimenti?
«L’impatto è duplice. Da un lato, il maggior costo dell’energia, accanto a quello delle materie prime, comporta un incremento dei costi di costruzione delle infrastrutture. Dall’altro, peggiorano le prospettive economiche e, di conseguenza, determinerà una flessione della mobilità. È difficile oggi stabilirne la misura. Si può però notare come storicamente per gli investimenti pubblici in infrastrutture vi sia una costante tendenza a sottovalutare gli oneri e a sopravvalutare i traffici. Gli scenari economici cui si fa riferimento di solito non mettono mai nel conto eventi come quello attuale o episodi di recessione economica.

Bent Flyvbjerg

E così, a consuntivo il bilancio è sempre più negativo rispetto a quello iniziale. Il problema risulta particolarmente rilevante per le ferrovie: lo studioso danese Bent Flyvbjerg, analizzando i dati dei maggiori progetti in ambito mondiale, ha verificato che i costi reali in media sono del 45% superiori rispetto a quelli a preventivo mentre i traffici sono la metà. Se si trattasse di investimenti privati, queste condizioni comporterebbero ingenti perdite per i finanziatori; essendo le ferrovie finanziate dagli Stati, le conseguenze negative ricadono interamente sui contribuenti, spesso del tutto ignari».

– La guerra come modificherà le prospettive degli investimenti?
«L’impatto è duplice. Da un lato, il maggior costo dell’energia, accanto a quello delle materie prime, comporta un incremento dei costi di costruzione delle infrastrutture. Dall’altro, peggiorano le prospettive economiche e, di conseguenza, determinerà una flessione della mobilità. È difficile oggi stabilirne la misura. Si può però notare come storicamente per gli investimenti pubblici in infrastrutture vi sia una costante tendenza a sottovalutare gli oneri e a sopravvalutare i traffici. Gli scenari economici cui si fa riferimento di solito non mettono mai nel conto eventi come quello attuale o episodi di recessione economica». (giornalistitalia.it)

Roberta Spinelli

 

 

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