Nostra intervista alla leggenda vivente della fotografia: “Sono visceralmente calabrese”

Rino Barillari, il Re dei Paparazzi dal cuore tenero

Rino Barillari e Papa Francesco in occasione della storica visita alla redazione del quotidiano Il Messaggero l’8 dicembre 2018

ACRI (Cosenza) – Le foto di Rino Barillari sono il più grande archivio moderno del mondo del cinema. Un archivio che racchiude conserva e racconta per immagini la bellezza e il successo di personaggi famosi come Liz Taylor, Ingrid Bergman, Jacqueline Kennedy, Barbra Streisand, Brigitte Bardot, Ava Gardner, Silvana Pampanini, Virna Lisi.

Rino Barillari con Pino Nano

E poi ancora, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Marlon Brando, Vittorio Gassmann, Anna Magnani, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi.
Ma non potevano mancare i Beatles, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Al Pacino, Francis Ford Coppola, Michael Jackson, Demi Moore, Angelina Jolie, Elton John, Matt Damon, Madonna, Maradona e Lady Gaga.
Rino Barillari è una leggenda vivente. A 77 anni compiuti il Re dei paparazzi romani, ieri sera sulla piazza affollatissima di Acri, in Calabria, ha raccontato sé stesso e la sua vita affascinante in giro per il mondo, sentimentalmente divisa a metà tra via Veneto a Roma e via Veneto a Limbadi, il suo paese d’origine in Calabria, dove quando ritorna lo trattano come un divo e un archistar.

Rino Barillari

«Come avrei potuto non venire? Per giunta nella mia terra di origine, dove poi qualcuno mi assegna un Premio alla carriera? Questa notte, qui ad Acri, per me rimarrà indimenticabile per mille motivi diversi».
Il direttore artistico del Cinebookfood, Mattia Scaramuzzo, ci aveva avvertito: «Sarà una domenica speciale perché insieme al Premio a Rino Barillari presentiamo anche il libro di Marcello Romanelli, un vero piccolo Bignami di una storia, quella della pandemia, che abbiamo vissuto sulla nostra pelle e che ha cambiato le nostre vite. E poi quelle foto di Rino Barillari nel libro sono pura poesia».
Rino Barillari si schermisce: «So che studiano le mie fotografie in ogni parte del mondo, e leggo che ho raccontato con le mie immagini 50 anni di storia repubblicana, ma non me ne sono reso conto francamente. Certo mi fa piacere, ma la vita continua».
Poi un fiume in piena.
«Se nasci in Calabria, come è capitato a me, era l’8 febbraio 1945, e per giunta a Limbadi, un paesino poverissimo della provincia di Vibo Valentia, allora vuol dire che la tua vita te la devi costruire da solo, pezzo per pezzo. Te la devi proprio inventare, come se fosse un film.
Se poi hai uno zio che in paese si fa aiutare mentre proietta i film hollywoodiani di quel tempo, allora sai anche che, oltre il paesello dove sei nato, c’è anche un’altra dimensione esistenziale, completamente diversa dalla tua. Da una parte ci sono i divi del cinema, dall’altra c’è tutto un altro mondo, un po’ pettegolo e un po’ guardone, che guarda i divi del cinema e sogna appresso a loro, inseguendo la loro vita e le loro gesta. E allora, sogni anche tu, che sei ancora un bambino. Come è capitato a me, e capisci da solo e immediatamente che la tua vita non può fermarsi a Limbadi per sempre. Un giorno decidi così che la tua vita deve cambiare, e scappi via di casa. Nel mio caso non avevo neanche quindici anni, ma sono partito lo stesso, e alla conquista di Roma Capitale.

Rino Barillari (Foto Lino Fulco)

Non è stato facile all’inizio, credimi, ma una volta arrivato a Roma ho capito che dovevo prima di tutto crescere professionalmente, cercarmi qualcosa da fare, e poi fare di tutto per trovarmi un posto dove stare, dove vivere, dove dormire, scappando via dalla strada dove spesso e volentieri, almeno all’inizio, mi era anche capitato di dovermi addormentare».
Guascone e poeta insieme, in tutti i sensi. 77 anni meravigliosamente ben portati. Arrogante, ma solo apparentemente, con questo suo sorriso invece eternamente pronto a rendergli giustizia, sempre e comunque, accattivante nei modi, ammaliante e avvolgente nella maniera per come ti saluta e ti tende le braccia, sia con gli uomini che con le donne, i baffi sempre ben curati, rigorosamente neri corvino come i capelli sempre ben fatti, e la smorfia beffarda di chi non ha paura di nessuno.

Rino Barillari aggredito da Franco Nero a Fontana di Trevi (Foto Marcello Geppetti – MGMC & Solares Fondazione delle Arti, 1965)

Eccolo “The King”, il solo vero re ancora rimasto dei famosi paparazzi romani.
Il suo compagno di giochi e di vita a Limbadi, anni fa, era Pantaleone Sergi, anche lui di strada ne fatta tanta per la verità, storico giornalista e inviato speciale del quotidiano la Repubblica, prima, e poi saggista e scrittore, lo racconta in questo modo: «La scuola non è che gli piacesse tanto, ma nella vita aspirava lo stesso ad affermarsi. Stava dietro il bancone di un piccolo emporio di paese di proprietà della famiglia, ma amava andare in giro a fare scatti con una Comet II che gli avevo imprestato, spendendo i soldi per sviluppo e stampa.
Era fantasioso fin da bambino, e già da allora incurante dei pericoli. Rino era mio compagno di scuola alle elementari, nella classe del maestro Ferdinando Totaro, un comunista siciliano che ci aiutò tutti a crescere con sani valori.
A dire il vero Rino, cha allora si chiamava Saverino perché il suo nome all’anagrafe è Saverio ha qualche anno più di me, ma arrivò lo stesso nella mia classe, dov’eravamo trenta e più bambini col grembiulino nero, colletto bianco e fiocco colorato ogni anno diverso.

Rino Barillari con Laura Antonelli

Eravamo ammassati in una stanzetta angusta di via 24 Maggio, presa in fitto dal capo comunista del paese Davide Muzzupappa: non c’era allora un edificio scolastico. E lì passammo gli anni della formazione primaria. Nel pomeriggio si faceva vita di strada e si andava nelle vicine campagne e si stava per ore sugli alberi a parlare di pallone e di ragazze. Era quella la vita in un paese solidale, figli di contadini, di artigiani, di piccoli borghesi, tutti assieme. Un paese felice nonostante le ristrettezze.
A quel tempo a Limbadi cantavano tutti e la sera molte botteghe si riempivano dei suoni di orchestrine improvvisate, una chitarra, un mandolino e una fisarmonica».
Sempre molto elegante, perfettamente impeccabile e a suo agio, il colletto della camicia bianca misteriosamente inamidato anche alle tre del mattino, dopo ore e ore di appostamenti e di lavoro, mai senza polsini, con una collezione ostentata di giacche firmate da fare invidia a chiunque, e a volte anche mal portate per nasconderci dentro le sue macchine fotografiche.

Rino Barillari con Gina Lollobrigida

Mai una piega, o peggio ancora mai una macchia di caffè sul davanti, i pantaloni ampi e morbidissimi tenuti appesi da bretelle sempre nuove e dai colori sgargianti, fisicamente alto, possente, l’andatura dinoccolata e ciondolante, a tratti bullo, altre volte fanfarone, bohemienne di grande fascino, mai pesante, mai debordante, mai insolente. Con la classe innata di un principe decaduto, e a tratti anche sprezzante e sbruffone, con questo suo sguardo fiero e spaccone di chi sa di essere il primo della classe, eccentrico e spavaldo quanto basta per affrontare e superare gli ostacoli più complicati della vita. E soprattutto – confessa – «sono visceralmente calabrese».
– Che rapporto avevi con tutti questi personaggi del Jet set internazionale?

Rino Barillari con Sofia Loren

«Vedi, il personaggio famoso è come un parente, tu gli devi portare sempre rispetto. È così che anche tu alla fine continui a lavorare bene e senza problemi. Se lo distruggi, è finita anche per te. Con Marcello Mastroianni, ad esempio, abbiamo litigato mille volte, ma ci siamo sempre sopportati, perdonati, accettati per come eravamo. Insieme, però, abbiamo anche fatto cose bellissime. I grandi leader politici di quegli anni li ho fotografati praticamente tutti. Cossiga, Leone, Saragat, Andreotti che mi faceva sempre dei regali. Anche lì, ti accorgevi subito dei talenti. Quelli che ti trattavano male erano quasi tutti uomini senza storie da raccontare».
– Che effetto ti fa oggi essere indicato come una “leggenda” del mondo della fotografia?
«Nessuna leggenda, ti prego. Ma non lo vedi con quanta semplicità io vivo ogni giorno la mia vita? Certo, tutto questo mi fa piacere, e mi aiuta ad andare avanti.

Rino Barillari con Carlo Verdone

Io ho fotografato Roma e le sue mille vite come forse nessun altro lo ha fatto prima. Roma in questi 50 anni è stata una città capitale in perenne movimento, e questo ha cambiato anche i miei ritmi e ha stravolto la mia vita professionale. Poi mi sento chiamare il “The king of paparazzi” e dopo quasi 60 anni di attività mi ritrovo dedicate decine di mostre sui miei scatti, come quella al Maxxi di Roma, recentissima. Addirittura, mi hanno dedicato un docu-film, entrambi i due eventi firmati da Massimo Spano e Giancarlo Scarchilli. E poi mi capita di leggere che le mie foto sono diventate immagini simbolo della storia italiana, che sono il fotoreporter più famoso al mondo, e che ho fotografato, con occhio da artista e da cronista, 50 anni di storia d’Italia. Mi studiano ovunque, persino in Cina. Che vuoi che ti dica? Forse il mio destino era questo, chi lo sa? Mai prendersi troppo sul serio comunque. Certo, in tempi di selfie e tormentoni, un po’ di orgoglio te lo puoi concedere e semmai perdonare».

Rino Barillari

– A chi devi tutto questo?
«A grandi fotografi, a quelli da cui ho imparato il mestiere, uomini come Marcello Geppetti e Tazio Secchiaroli, Ivan Kroscenko, Paolo Pavia, Antonio Tridici, gente seria, corretta, generosa, compagni di lavoro per niente gelosi.

Rino Barillari con Sandra Milo

Esempi indimenticabili, da seguire, da imitare, da studiare. Tazio Secchiaroli era il fotografo che ispirò il personaggio de “La dolce vita”, il “Paparazzo” appunto, da cui venne poi fuori il nome di tutti quelli che come me fanno questo mestiere. Confesso, io non sarei mai diventato un fotografo se non lo avessi incontrato. Mi ha insegnato quello che c’era da imparare, mi ha trasferito i trucchi del mestiere, e una grande passione per la fotografia, e da lui ho imparato soprattutto a “rubare” lo scatto giusto. È stato lui a insegnarmi come fare una foto senza farsene accorgere dal personaggio inquadrato. Un vero e proprio blitz, ma elegante, riservato e quasi mai inopportuno o invasivo».
– Qual è stato, invece, il tuo primo vero scoop importante?
«Il primo servizio importante della mia carriera lo feci fotografando Irma Capece Minutolo, famosissima cantante lirica e attrice, compagna di Re Faruq d’Egitto. Ma ciò che mi fece diventare un personaggio da copertina fu, invece, la rissa in via Veneto con Peter O’Toole.

Rino Barillari ferito da Peter O’Toole il 3 settembre 1964 in via Veneto: 4 punti di sutura e un milione di risarcimento danni pagati al padre perché ancora minorenne

Quella sera lui aveva bevuto e non digerì in nessun modo il fatto che io lo avessi fotografato con accanto una donna che lui non voleva venisse ripresa con lui. Mi diede un pugno in faccia e mi fece finire in Pronto Soccorso. Fu necessario chiudere la ferita che mi aveva provocato con quattro punti chirurgici».
– Come andò a finire poi?
«Io allora ero ancora minorenne e mio padre sporse denuncia».
– Ma è vero che per quella lite guadagnasti tanti soldi?
«Da Peter O’Toole, con cui feci pace tre anni dopo, ebbi un milione di lire di risarcimento, forse la somma più alta mai ottenuta da un paparazzo. Intendo dire nel mondo, non in Italia».
– È vero che nel tuo archivio privato, accanto al nome dei Vip incontrati, hai segnato in evidenza anche il luogo e l’ora dove li hai fotografati?

Rino Barillari con Alma Manera

«Non è facile fare il mio mestiere. Per farlo bene devi essere sempre preciso fino all’inverosimile, e devi essere sempre in grado di ricordare e ricostruire in maniera dettagliatissima e impeccabile i tuoi incontri e i tuoi scatti proibiti».
– Mi fai un esempio?
«Nessun esempio, vieni ti faccio vedere le mie note di lavoro. Vedi? Leggi da solo: Frank Sinatra, in via Veneto al Café de Paris, Charles Aznavour in Via dei Condotti, l’astronauta americano Buzz Aldrin alla “Cabala” Osteria dell’Orso, il marito di Brigitte Bardot Gunter Sachs von Opel a Villa Pavesi a Genzano, Alfredo Bini con la top model Daniela Juan al “Papè Satan” in via Tacito, Mickey Hargitay con la top Model Vatussa Vitta, Sonia Romanoff, Franco Nero a Fontana di Trevi.

Rino Barillari con Maria Grazia Cucinotta

Ed ancora Elizabeth Taylor alla “Cabala”, Barbra Streisand in via dei Condotti, Mickey Rourke a Fregene, Claudia Schiffer “dal Bolognese”, Sylvester Stallone con la fidanzata Jennifer Flavin al ristorante “Alfredo all’Agusteo”, Mario d’Urso e Margaret d’Inghilterra al “Jackie’O”, Bruce Willis ai “Due Ladroni” in piazza Nicosia, e mille altri ancora. Hai capito ora perchè studiano Rino Barillari anche nelle università straniere più prestigiose del mondo?».
– Qual è oggi il ricordo più triste che ti porti dentro?
«Forse la notte del 18 agosto 1966. Ero a “La Bussola” di Viareggio dove si esibivano Charles Aznavour e Amália Rodrigues. All’alba del giorno successivo, nei pressi di Altopascio, rimasi seriamente ferito in un incidente stradale. Con me a bordo viaggiavano altre due persone, e una di queste, il cantante Roby Ferrante, perse la vita. Fu davvero una esperienza traumatizzante e forte, che mi porto dentro da allora».

Rino Barillari con la moglie Antonella Mastrosanti

È tutto questo che fa oggi di Rino Barillari una leggenda vivente del giornalismo internazionale. Oliviero Toscani aggiunge al suo racconto altra carne al fuoco: «Il paparazzo – dice – è un’invenzione, anzi, una constatazione felliniana, che è diventata una ricchezza nazionale, una risorsa esportata da tutti i media in tutto il mondo della comunicazione moderna.

Rino Barillari con Federico Fellini

Rino Barillari, fra passato e futuro, è quindi una risorsa mondiale: da anni documenta gli avvenimenti, gli eventi, le storie e le situazioni di vip e semi-vip che animano la città eterna, e che saranno eternamente gossip. La sua instancabile dedizione, testardaggine, insistenza e velocità di esecuzione gli hanno permesso, attraverso oltre 500.000 immagini prodotte in sessanta anni di carriera, di svelare la memoria storica di una certa umanità – e disumanità – che la interpreta e la vive».
Insomma, la consacrazione ufficiale della sua vita di fotografo di strada.
– Quante volte Rino Barillari è stato picchiato? E quante macchine fotografiche gli hanno distrutto?
«Ora non sorridere, ma in più di cinquant’anni di carriera ho subito 162 ricoveri al pronto soccorso, 11 costole rotte, 1 coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash divelti, e centinaia di manganellate negli anni del terrorismo soprattutto, quando avevo incominciato a seguire anche i vari tumulti di piazza.

Rino Barillari durante uno dei suoi numerosi ricoveri in ospedale

Il ‘68 in Italia fu molto violento rispetto ad altri paesi stranieri, e io lo raccontai in maniera fedele e rigorosa. Oggi le mie foto di quegli anni sono veri e propri pezzi di storia, almeno così scrivono di me i grandi critici e gli storici moderni. Alla fine, leggendo tutto quello che hanno scritto di me, mi sono convinto di essere stato un uomo fortunato e di aver vissuto una bellissima stagione della mia vita». (giornalistitalia.it)

Pino Nano

Rino Barillari

 

2 commenti

  1. Claudio Fiorensoli

    In lui c’è Roma, tutta Roma, bella e brutta, assonante e dissonante, misera e lussuosa, volgare ed elegante, accogliente e crudele, sempre e comunque Roma By Barillari… grazie maestro, grazie, sono quasi sempre i grandi come te, nati dal nulla, ad aver scritto la storia, la nostra storia.

  2. Ruggero Marino

    Sono contento Lino, tutto meritato e strappato con i denti e il sudore, ma attento al culto della personalità. Ti abbraccio e ti ringrazio per le due belle foto della mia famiglia fatte da te. E non eravamo nessuno.

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