Al processo di Ragusa la testimonianza del giornalista. Ritrovate anche due molotov

Mafia, Lauretta a Borrometi: “Ti mangio il cuore”

Paolo Borrometi

Paolo Borrometi

RAGUSA –  Con le domande del pm della direzione distrettuale antimafia, Valentina Sincero, si è tenuta a Ragusa l’udienza del processo contro il pregiudicato Venerando Lauretta, accusato di aver minacciato di morte il giornalista Paolo Borrometi, direttore del sito Laspia.it e collaboratore dell’Agi.
Le minacce – ha denunciato il giornalista – e il terrore provocato “mi accompagnano ogni giorno e non c’è momento in cui quella paura viene meno, ho la stessa paura per i miei familiari”. Tutto comincia con un articolo su Laspia il 7 aprile del 2013, una inchiesta giornalistica che riferiva di Venerando Lauretta, come socio occulto in un box del mercato ortofrutticolo di Vittoria, sulla “presenze criminali nel mercato e nella filiera della città di Vittoria”. Borrometi aggiunge: “sapevo e so che il signor Lauretta è un boss condannato per mafia ed altri reati inerenti all’organizzazione criminale di cui fa parte, la stidda di Vittoria, avevo ben chiaro chi fosse altrimenti non avrei potuto scrivere i fatti”.
“Avevo appreso che fosse socio occulto al box ed a riscontro oggettivo avevo portato scrivendolo, il fatto che vi fossero indagini su quella presenza, indagini della commissione mercato e delle forze di polizia. Pochi mesi dopo pubblicai un altro articolo poco dopo, il 7 ottobre dello stesso anno in cui riferivo il giallo risolto e il box chiuso”, ricostruisce in aula Paolo Borrometi.
A quel punto inizia l’escalation delle minacce. “Pubblicai l’articolo, nei giorni immediatamente successivi non accadde nulla, ma il 16 ottobre comparve sulla pagina de laspia on line un post pubblico dal profilo fb di Venerando Lauretta che alle 20,20 scrisse «sei un pezzo di infame…cosa inutile, buono solo a fare denunce…» ed una serie di insulti volgari.

Vittoria

Vittoria

La testimonianza prosegue con la dolorosa rievocazione delle minacce, sempre più pesanti. “Andai a dormire con questo post, pronto a sporger e denuncia. L’indomani mattina andai all’Agi e accesi il computer, accanto a me una collega che mi vide sbiancare e mi portò acqua con lo zucchero: minacce incredibili. «Metterò il tuo cuore in padella e me lo mangerò, ti verrò a trovare pure che non vali i soldi del biglietto». La paura aumentò. Lui sapeva e lo diceva pubblicamente che non vivevo nel Ragusano. La seconda cosa, tuo padre avvocato…mi preoccupò tantissimo, sapeva della professione di mio padre, fu enorme preoccupazione continuò scrivendo «voglio pagarti il reato che commetto su di te, parola di uomo».
«Vivo nel terrore, sfido chiunque a vivere sotto scorta, ho fatto solo il mio lavoro. Ho le lacrime agli occhi per queste minacce”. La testimonianza di Borrometi continua, rilegge gli ulteriori post che vennero pubblicati dal profilo fb di Venerando Lauretta: “Sempre il 17 ottobre, continuarono le minacce, sempre più pesanti: «sarò dietro la tua porta mi viene da ridere pensando al giorno che sarai tra le mie mani, ti accecherò con le mie mani, non ti salverà neanche Gesù Cristo. Ti faccio passare la voglia di vivere, ho preso la mia decisione, di giocarmi la mia libertà. Anche se mi arrestano, c’è chi viene a cercarti».
La prossima udienza del processo si celebrerà il 19 gennaio 2018. Sarà sentito l’ultimo degli inquirenti coinvolti nelle indagini e potrebbe esserci anche l’escussione dell’imputato, Venerando Lauretta, difeso dall’avvocato Maurizio Catalano.
FNSIOltre alle minacce, per la prima volta in aula si è parlato anche del ritrovamento di due bombe molotov con la miccia innescata, posizionate in un sacco davanti alla porta di casa del giornalista: “ritornavo dalle mie vacanze agostane nel 2015 – ha dichiarato Borrometi – ed il mio caposcorta trovò nel vano gas un sacchetto con due bottiglie incendiarie. L’ho sempre tenuto nascosto, ma lo denunciai, non volevo dare troppa importanza a chi mi voleva intimidire, un conto sono le minacce pubbliche e quelle non si possono tenere nascoste, ma questo era un atto così grave da togliermi la serenità mettendomi addosso tanta paura.
Le minacce su fb non sono di serie B, intanto sono pubbliche e sono visibili ad una platea infinita di persone. Ne ho ricevute tante di minacce, non posso puntare il dito ma spesso le minacce si mettono in atto con atti tipo questo”. Minacce che fanno perdere la serenità: “vivo nella paura ma quando mi scrisse «anche se mi arrestano ci sarà chi viene a trovarti», per me fu drammatico, mi fece ulteriormente temere, dovevo continuare a guardarmi alle spalle, ma a quel punto non sapevo da chi. Non parlava un privato cittadino, ma una persona che era già stata condannato per mafia”.
Presente all’udienza la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, insieme con l’Associazione Siciliana della Stampa e l’Ordine dei giornalisti della Sicilia. Il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso ed il presidente Giuseppe Giulietti ricordano, infatti, che il sindacato dei giornalisti si è costituito parte civile nel processo “non soltanto per ribadire la propria vicinanza al collega Borrometi, ma anche per mandare un messaggio chiaro a tutti coloro che pensano di minacciare o intimidire i cronisti. Le minacce e le intimidazioni, non soltanto fisiche, ai cronisti rappresentano un grave vulnus per il sistema democratico perché minano alla base il diritto dei cittadini ad essere informati. Per questa ragione, occorre tenere alta la guardia e continuare a fare pressione su Governo e Parlamento affinché – conclude la Fnsi – mettano in campo misure efficaci per contrastare ogni forma di minaccia, comprese quelle messe in atto attraverso le cosiddette querele temerarie, sulle quali si registra un inaccettabile stallo sia da parte del parlamento sia da parte del ministro della Giustizia”. (agi)

 

 

 

 

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