Lo storico quotidiano di Puglia e Basilicata affossato da gestioni superficiali e fallimentari

La vera storia della Gazzetta del Mezzogiorno

Il palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno nell’odierna piazza Aldo Moro (in precedenza piazza Roma), uno dei più belli palazzi di Bari andato perduto irrimediabilmente e Giuseppe Mazzarino, già cronista parlamentare della Gazzetta del Mezzogiorno e componente del Comitato di redazione dal 1989 al 2012

BARI – Drammatico conto alla rovescia per la Gazzetta del Mezzogiorno, uno dei più importanti e longevi quotidiani dell’Italia meridionale, giornale di riferimento per Puglia e Basilicata. Già di proprietà del Banco di Napoli, la Gazzetta subì una prima “privatizzazione”, quella della gestione, nel 1978. Quella devastante fu, però, la privatizzazione della proprietà della testata, che vide – nella latitanza dell’imprenditoria pugliese e lucana – associarsi ai baresi Gorjux e Lobuono (30% e 10%) due gruppi editoriali siciliani (30% a testa): quello del catanese Mario Ciancio Sanfilippo (proprietario del quotidiano La Sicilia e monopolista delle tv nell’isola) e quello di Messina-Reggio Calabria, editore della Gazzetta del Sud.

Mario Ciancio Sanfilippo

In breve tempo Ciancio rilevò la maggioranza delle quote, ed iniziò a portare il giornale alla rovina: partì con la soppressione della redazione romana (che aveva costi irrisori: praticamente solo lo stipendio dei giornalisti, trasferiti in Puglia; sede, telefoni, servizi vari erano a carico del ministero della Comunicazioni), nell’estate del 2002, facendo perdere al giornale la dimensione nazionale e facendolo scomparire in pochi mesi dalle scrivanie e dalle rassegne stampa di parlamento, ministeri, sindacati, associazioni datoriali, partiti. Proseguì col ricorso sempre più massiccio a prepensionamenti, tagliando brutalmente l’organico, mai utilizzando le cospicue somme risparmiate per investire in professionalità giornalistiche. In particolare, venivano colpite le redazioni provinciali, che gestivano una amplissima e capillare rete di corrispondenti, vera forza della Gazzetta per dare voce anche alle più piccole comunità di Puglia e Basilicata, avviando anche un progetto di chiusura delle redazioni stesse.
Nel 2018 la prima, drammatica mazzata: dopo un contestato rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, il 24 settembre a Ciancio vengono sequestrate dal Tribunale di Catania, sezione Misure di prevenzione, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, 31 società, incluse le quote di maggioranza della società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno.

Franco Capparelli

Il Tribunale di Catania nomina due commissari (tutti e due di origini catanesi), Bonomo e Modica, totalmente digiuni di editoria; la gestione commissariale aggrava i problemi della Gazzetta, la cui società editrice avrebbe dovuto oltretutto procedere ad un ora impossibile aumento di capitale.
Per mesi gli stipendi non vengono pagati, ed i giornalisti (così come i poligrafici) continuano a far uscire il giornale per senso di responsabilità. Al massimo ottengono piccoli anticipi delle somme loro dovute.
Nel frattempo i due commissari lasciano al suo posto il direttore generale Capparelli, principale responsabile delle scelte che avevano minato la Gazzetta negli ultimi anni della gestione Ciancio. Né la nomina – tardiva – di un nuovo amministratore delegato, il commercialista barese Colella, risolleva le sorti amministrative del giornale. Dove, per risparmiare, vengono anche chiuse le redazioni di Matera, Brindisi e Barletta, ricorrendo al telelavoro (alcuni giornalisti di queste e di altre redazioni decentrate vengono concentrati a Bari).
Il 24 marzo di quest’anno la Corte d’appello di Catania dispone il dissequestro di tutti i beni di Mario Ciancio Sanfilippo e dei suoi familiari. Sembra la fine di un incubo. Ma appena rientra in possesso delle quote della Gazzetta, Ciancio annuncia che intende chiedere il fallimento. Che puntuale arriva: il 14 giugno 2020 il Tribunale di Bari, IV sezione civile, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica, dichiara il fallimento di Edisud Spa e Mediterranea, rispettivamente società editrice e proprietaria della testata La Gazzetta del Mezzogiorno, disponendo al tempo stesso l’esercizio provvisorio, dunque assicurando la continuità dell’attività di impresa per consentire la regolare uscita del giornale.
Curatori fallimentari vengono nominati Michele Castellano e Gabriele Zito per Edisud; Paola Merico e Rosario Marra per Mediterranea (la società è anche proprietaria dell’immobile di via Scipione l’Africano, vecchia sede del giornale, dove è ancora ubicata la tipografia, e in quel momento concessionaria per la raccolta pubblicitaria).
Arrivano, intanto, manifestazioni di interesse per rilevare La Gazzetta del Mezzogiorno: decisamente peggiori di quelle che erano state avanzate durante i mesi del sequestro delle quote di Ciancio. In particolare, si punta al massacro della redazione. Cautelativamente, i giornalisti costituiscono una cooperativa, come fanno anche i poligrafici (la coop dei poligrafici, col sostengo di Lega Coop, otterrà l’affidamento della stampa del giornale).
Ma l’incubo continua, sempre più cupo: i commissari prendono atto che la situazione economica, nonostante miglioramenti, non è stata risanata, ed anzi appare “destinata a peggiorare in modo considerevole” (relazione depositata il 15 ottobre), sicché il Tribunale decreta che, salvo adesioni di qualche soggetto imprenditoriale disposto a prendere in fitto la testata (ma senza alcun diritto di prelazione in caso di successiva vendita) fino al 31 luglio 2021, garantendo – salvo diverso accordo tra le parti – l’integrità della forza lavoro, La Gazzetta del Mezzogiorno cesserà le pubblicazioni con il numero di sabato 21 novembre (ultimo giorno di lavoro, il 20 novembre). Nel frattempo, i curatori fallimentari hanno sospeso il godimento di ferie e riposi arretrati; da oggi al 20 novembre i giornalisti potranno soltanto effettuare il giorno di riposo settimanale loro spettante.
E adesso?
Tanto l’ipotesi Angelucci (case di cura e residenza sanitarie assistite, ma con interessi tutt’altro che marginali nell’editoria, già socio di minoranza della Gazzetta alcuni anni fa) quanto quella Ladisa (mense e ristorazione collettiva) puntano ad una drammatica riduzione della forza lavoro, col massacro della redazione. Si sospetta anche un interessamento dell’editore di Gazzetta del Sud e Giornale di Sicilia, Lino Morgante (che proprio nel quotidiano palermitano sta facendo intanto strage di giornalisti). E potrebbe subentrare anche – ma per il solo fitto, e senza diritto di prelazione in caso di vendita, la cosa presenta anche notevoli difficoltà – la cooperativa dei giornalisti, o una cooperativa mista fra giornalisti e poligrafici.
Quello che impressiona è la latitanza dei soggetti politici ed economici che dovrebbero avere a cuore le sorti dell’informazione nel Mezzogiorno (La Gazzetta del Mezzogiorno è l’unico quotidiano che copra capillarmente tutti i territori e dia voce a tutte le comunità di Puglia e Basilicata): dal governo nazionale, presieduto dal pugliese Giuseppe Conte, alle giunte regionali di Puglia e Basilicata, alle imprese grandi e piccole, pubbliche (o semi-pubbliche) e private con impianti e consistenti interessi nelle due Regioni.
Non è più tempo di parole, di impotenti ed ipocrite solidarietà, di lamentose inazioni.
Due intere Regioni non possono essere private del loro più importante giornale; una storia iniziata nel 1887 e mai interrotta (nemmeno dalle guerre mondiali, e nemmeno dalla guerra civile 43/45), con una redazione di qualità, e che ha ancora un suo pubblico ed un numero di lettori dell’edizione Internet in continua crescita, non si può chiudere così. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

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