I legali degli imputati scrivono a La7 e Rai. La Corte d’Assise si riserva la decisione

“Trattativa Stato-mafia: la tv influenza i processi”

Mario Mori e Giuseppe De Donno

PALERMO – Potrebbe finire agli atti del processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia la lettera che gli avvocati Basilio Milio, Francesco Romito e Cesare Placanica, difensori di tre degli imputati, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni hanno inviato al direttore di Rai 1, Stefano Coletta, e al direttore di rete di La7, Andrea Salerno.
«La oggettiva influenza che sui delicati processi ancora pendenti possono avere tali modalità di fare informazione, ci fa dire, con sconforto e amarezza, di trovarci di fronte ad un giornalismo di parte, che accanto alla legittima libertà di informazione e di critica, risulta, però, lontano dal rispettare la libertà e la personalità altrui – quindi anche quella di chi è imputato – come dall’obbligo di rispettare la verità sostanziale dei fatti, in base ai doveri di lealtà e buona fede», hanno scritto i legali riferendosi ai contenuti delle trasmissioni Cose Nostre e Atlantide andate in onda sulle due reti.
«La presente per segnalare con rammarico e indignazione come il 20 e 27 maggio scorso in occasione della ricorrenza della strage di Capaci del 23 maggio 1992, durante il programma di La 7 “Atlantide”, per il secondo anno di seguito, sia stato riproposto il teorema di una trattativa tra Stato e mafia, oggetto di delicati processi, dei quali uno ancora pendente in grado di appello. Ciò – spiegano – si è fatto anche attraverso interventi ed interviste di giornalisti, presunti protagonisti dei fatti e magistrati che hanno diretto le indagini, senza alcun contraddittorio e senza neanche citare la esistenza di prove contrarie, di sentenze passate in giudicato o ancora non irrevocabili, che smentiscono tale teorema».

Andrea Purgatori

I legali hanno chiesto alla Corte d’assise che celebra il processo di acquisire la lettera. La Corte si è riservata la decisione.
«La cosa – conclude la nota – si è ripetuta il 1° giugno anche con la tv pubblica, su Rai1, nel programma “Cose Nostre” dedicata alla ricerca del latitante Messina Denaro, con la presenza di un magistrato, pubblico ministero in tali processi, il quale ha parlato di un tema estraneo all’oggetto della trasmissione – l’uccisione del dott. Borsellino – ribadendo le proprie unilaterali convinzioni, anche qui senza alcun contraddittorio né citando prove contrarie, né sentenze passate in giudicato e non, che hanno accertato il contrario e che giornalisti professionisti dovrebbero ben conoscere». (ansa)

 

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