Con parte della redazione “non c’era più un comune sentire su temi fondamentali”

Perché il Cdr di Repubblica ha gettato la spugna

 

Maurizio Molinari

ROMA – «Il Cdr non si è dimesso per protesta contro la decisione del direttore, Maurizio Molinari, di non pubblicare il nostro primo comunicato sulla vicenda Repubblica-Fca: i dissensi, talvolta anche aspri, tra il comitato di redazione e il direttore fanno parte della normale dinamica interna alla vita di un giornale, e non sono (non lo sono per noi) un motivo valido per rimettere il proprio mandato». Lo affermano Marco Contini, Dario Del Porto, Marco Patucchi, Carmine Saviano e Giovanna Vitale spiegando che i motivi che li hanno spinti a rassegnare le dimissioni dal Comitato di redazione sono stati dettati dalla «percezione del fatto che tra il Cdr e una fetta importante della redazione non ci fosse più un comune sentire su alcuni temi che secondo noi sono fondamentali per il presente e il futuro di Repubblica».
«Certamente, – spiega il Cdr – la decisione del direttore di chiedere e pubblicare in prima pagina un commento di sostegno alla richiesta di Fca di un prestito garantito dallo Stato, è stata la causa scatenante dell’ultima crisi. Ma il Cdr è il rappresentante della redazione, ed è alla redazione che risponde delle proprie iniziative. Il punto è che – come emerso seppur solo parzialmente già nella giornata di domenica, e in modo più evidente nel corso dell’assemblea di lunedì – la nostra decisione di intervenire pubblicamente per segnalare questa situazione non era, in tutta evidenza, sufficientemente condivisa».
«Il nostro intento, lo ripetiamo, – prosegue il Cdr – era quello di mandare una serie di segnali: all’editore, ricordandogli che storicamente Repubblica è sempre stata attentissima a creare una separazione tra sé e i legittimi interessi imprenditoriali (ma non editoriali) della proprietà; al direttore, per metterlo in guardia dal rischio (reso ormai palese dai numerosi messaggi di protesta indirizzati al giornale) di alienarsi una parte non irrilevante dei propri lettori; all’intero gruppo dirigente del giornale, rammentando che vigilare sulla credibilità di Repubblica è un compito che spetta a tutti noi; alla redazione, per ribadire che il Cdr era al suo fianco nel tentativo di tutelarne l’autonomia professionale; e agli stessi lettori, a cui desideravamo far sapere che l’indipendenza di Repubblica è un bene che riteniamo irrinunciabile».

John Elkann

«L’unico obiettivo che non abbiamo mai avuto – sottolinea il Comitato di redazione – era mettere in difficoltà l’autore di quel commento. Al contrario, piantando alcuni paletti, ritenevamo di stabilire una forma di tutela nei confronti di chiunque in futuro – ove succedesse – possa trovarsi nella scomodissima posizione di volersi sottrarre a una richiesta che lo/la dovesse mettere in imbarazzo».
«Come emerso in modo chiaro dall’assemblea di lunedì scorso, – spiega ancora il Cdr – questo non è stato compreso, o condiviso, da parte della redazione. A quel punto ne abbiamo tratto le sole conclusioni possibili: abbiamo accettato di mediare su un comunicato che spostava significativamente l’asse del ragionamento rispetto al nostro (mettendo l’accento sugli attacchi esterni al nostro giornale anziché sulle nostre contraddizioni interne), pur di non tacitare la voce dei giornalisti di Repubblica; e abbiamo confermato le nostre dimissioni. È, per noi, una questione cruciale. La redazione di Repubblica, vale a dire tutti quanti noi, ha bisogno di un Cdr forte, autorevole e pienamente rappresentativo».
«Se su un tema fondamentale quale l’autonomia della nostra testata, e il modo di difenderla, non c’è identità di vedute tra la redazione (o significative parti di essa) e il comitato di redazione, – affermano Marco Contini, Dario Del Porto, Marco Patucchi, Carmine Saviano e Giovanna Vitale – il Cdr ha l’obbligo di farsi da parte. E deve aprire la strada a un nuovo organismo che sia in perfetta sintonia con la comunità dei giornalisti che rappresenta. In caso contrario, l’impegno del Cdr diventerebbe insignificante, e i giornalisti resterebbero senza una voce adeguata».
«È con questo spirito – precisano – che ci siamo dimessi. Ed è col medesimo spirito che facciamo appello a tutti quanti – ma in modo particolare a quei capi-struttura che nella nostra discussione hanno giustamente sottolineato la necessità di controbattere gli attacchi a cui il nostro giornale è sottoposto da settimane – a tutelare quotidianamente l’indipendenza interna dei settori e di tutti i giornalisti. La credibilità di Repubblica, la sua indipendenza e la sua autonomia, sono la nostra ricchezza. Possiamo avere opinioni differenti su come difenderle, ma non sul fatto che vadano salvaguardate. (Sia detto per inciso: abbiamo l’ambizione di credere che l’evidente correzione di rotta impressa dal giornale nel modo di informare sulla vicenda dei prestiti Sace al gruppo Fca sia, almeno in parte, il risultato del nostro – pur scarsamente condiviso – intervento)».
«Ora – ammonisce il Cdr dimissionario – si apre una fase nuova. Che deve prendere le mosse dalle migliori consuetudini del nostro passato: in primis, la nomina dei 5 saggi a cui compete il difficile compito di sondare la redazione, raccogliere le candidature e cercare di comporre una rosa adeguata a questa difficilissima fase. Da prassi, questo percorso viene avviato con un’assemblea plenaria, convocata dal Cdr uscente. Essendo ancora impossibile riunirsi nei modi che questo passaggio renderebbe necessario, ne affidiamo la gestione all’unico organismo che è ancora nel pieno delle sue funzioni, vale a dire i fiduciari dei settori e delle redazioni locali. Chiediamo a loro di consultarsi (e consultarci tutti) per individuare i saggi, e successivamente di convocare – nell’arco massimo di un paio di settimane – un’assemblea per formalizzare le candidature e l’apertura dei seggi.
Ringraziamo tutti quanti voi per la fiducia accordataci in questi difficilissimi due anni e mezzo. Lavorare con e per i giornalisti di Repubblica è stata un’esperienza irripetibile. E un autentico privilegio. Buona fortuna a tutti noi». (giornalistitalia.it)

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