La Corte europea dei diritti dell’uomo conferma la condanna di un giornalista svizzero

Libertà di espressione: non tutto è pubblicabile

La Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo

La Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo

LOSANNA (Svizzera) – La condanna inflitta al giornalista romando Arnaud Bédat non costituisce una violazione della libertà di espressione: lo ha deciso la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), accogliendo un ricorso presentato dalla Svizzera. Lo annuncia in una nota l’Ufficio federale di giustizia (Ufg), prendendo atto con soddisfazione della sentenza.
La vertenza sottoposta a Strasburgo risale al 2003, quando il giornalista del settimanale “L’Illustré” aveva dedicato un articolo all’incidente del Grand-Pont di Losanna, avvenuto nel luglio 2003: un automobilista aveva investito volontariamente i passanti, uccidendone tre e ferendone altri sette.
Il giornalista aveva citato estratti dei verbali degli interrogatori del conducente svolti dalla polizia e dal ministero pubblico. L’articolo conteneva anche fotografie dell’imputato, indicato con nome e cognome, ed estratti delle sue lettere al pubblico ministero, nonché le valutazioni di terzi sul suo stato di salute, rammenta l’Ufg.
Bédat ha sempre affermato di aver ricevuto questi documenti confidenziali in modo anonimo e di aver ritenuto necessario informarne l’opinione pubblica, data l’attenzione suscitata dal fatto di sangue.
Il giornalista era, invece, stato condannato al pagamento di una multa di 4000 franchi, confermata dal Tribunale federale nel 2008, per aver violato il divieto di pubblicare deliberazioni ufficiali segrete.
Chiamata in causa da Bédat, una Camera della Cedu aveva dato ragione al cronista e condannato la Svizzera per violazione alla libertà di espressione. La Grande Corte, presso la quale la Svizzera ha inoltrato ricorso, ha invece reso una decisione opposta.
Pur sottolineando l’importanza della libertà di stampa in una società democratica – riferisce la nota dell’Ufg – nel caso in esame la Grande Camera è giunta alla conclusione che la forma e il contenuto dell’articolo pubblicato non sono giustificabili con l’esigenza della popolazione di essere informata sull’incidente.
Soltanto un interesse pubblico qualificato giustificherebbe la pubblicazione di deliberazioni ufficiali segrete. Nella vicenda del Grand-Pont, tale interesse non sussisteva, tanto più che le autorità inquirenti avevano regolarmente riferito sin dall’inizio sullo stato delle indagini e l’articolo in questione era stato pubblicato soltanto parecchi mesi dopo i fatti.
Inoltre, l’articolo ha violato sia i diritti della personalità dell’imputato sia la presunzione d’innocenza, ha deciso la Grande Camera ad una maggioranza di 15 giudici contro 2. Infine, la Grande Camera considera che la pubblicazione, durante un procedimento penale, di documenti relativi alle deliberazioni ufficiali sia pregiudizievole al buon funzionamento della giustizia. (Sda-Ats)

Un commento

  1. Giuseppe Mazzarino

    Non è una buona notizia.

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