79 anni fa l’Armata Rossa liberava Auschwitz. Elisabetta Fiorito ci racconta la Meir

Golda: storia della donna che fondò Israele

ROMA – Il 27 gennaio, data simbolica nella quale nel 1945 le truppe sovietiche abbatterono i cancelli di Auschwitz, rendendo palesi gli orrori dell’Olocausto, si celebra in tutto il mondo il Giorno della memoria, istituito dall’Onu nel 2005, ma in Italia già dal 2000.

Giuseppe Mazzarino

Ci son voluti 55 anni in Italia, 60 a livello delle Nazioni Unite per prendere coscienza di quello che è stato un unicum nella storia dell’infamia, acme di un fenomeno purtroppo tristemente riemergente: il deliberato annientamento di tutti gli appartenenti ad un popolo, ovunque residenti, quali che fossero le personali convinzioni religiose, politiche, culturali o le condizioni economiche o sociali. Lo sterminio degli Ebrei in quanto Ebrei. Quello che differenzia la Shoah dai crimini contro l’umanità a sfondo razziale, politico, sociale, ideologico, religioso o bellico che pure abbondano nella storia umana.
È l’Ebreo in quanto tale ad essere considerato “il male”. Una mostruosità che si sta purtroppo riproponendo in diversi Paesi, compreso il nostro. Confondendo volentieri le critiche, anche aspre, ad un governo con l’antisemitismo.
È di questi giorni l’uscita in libreria di “Golda. Storia della donna che fondò Israele”, (Giuntina, 174 pagine, 16 euro) una sintetica, agevole biografia che sconfina nella storia, non solo della creazione del focolare ebraico in Palestina e della nascita di Israele ma della questione ebraica nel XX secolo e delle cause del feroce scontro fra arabi ed israeliani, già iniziato durante il mandato britannico ed esploso con la nascita di Israele, il 14 maggio 1948, quando una coalizione di Paesi arabi attaccò Israele nella convinzione di poter distruggere “l’entità sionista”, come sarà definita in seguito da chi pervicacemente rifiuterà di riconoscere l’esistenza dello Stato di Israele.

27 gennaio 1945: i soldati sovietici dell’Armata Rossa aprono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz liberando i sopravvissuti

«Una sola cosa spero di vedere prima di morire, che il mio popolo non abbia più bisogno di compassione», aveva profeticamente dichiarato Golda Meyerson, non ancora Meir, come abbreviò in seguito il cognome (che poi non era il suo, era nata Mabovič, nel 1898, a Kiev, Ucraina, allora parte dell’impero russo; ma quello del marito) per “israelizzarlo”, in chiusura delle Conferenza internazionale sui rifugiati tenuta ad Evian, in Svizzera, nel luglio 1938 poco dopo l’annessione dell’Austria al Reich hitleriano.
Molta compassione, infatti, era stata espressa dai delegati di numerosi Paesi, ma nessuno intendeva accogliere gli ebrei in fuga dai territori occupati dai nazisti. Il 9 novembre 1938 c’è nella Grande Germania la Notte dei cristalli, con una serie di pogrom. E’ il preludio alla “soluzione finale” che poi i nazisti applicheranno in tutti i territori conquistati (e anche in quelli dei Paesi loro alleati, come l’Italia fascista).
Golda, la cui famiglia è emigrata da tempo negli Usa (lei ci arriva con madre e sorelle nel 1906, tre anni dopo il padre, immigrato con documenti falsi), diventa presto una protagonista delle organizzazioni ebraiche socialiste e sioniste, che, sia pure con distinguo non da poco, sognano la creazione di una patria ebraica, dove gli ebrei possano sentirsi a casa propria, non ospiti più o meno sgraditi.
Nel corso della I Guerra mondiale da casa Mabovič passano numerosi ebrei di passaggio che vogliono andare a combattere con gli Alleati contro i Turchi (e fra questi Ben Gurion, il futuro “padre della patria”, e Yitzhak Ben Svi, il secondo presidente di Israele).

27 gennaio 1945: i soldati sovietici dell’Armata Rossa con i bambini liberati ad Auschwitz

Nel 1921 Golda si trasferisce nella ex provincia dell’Impero ottomano, ora mandato britannico di Palestina, in un kibbutz, l’utopistico villaggio comunitario teorizzato dal sionismo “di sinistra”, passando da Tel Aviv, che è ancora un poverissimo villaggio fondato da immigrati ebrei nel 1901, in mezzo al deserto; poi, lasciato il kibbutz, andrà a Gerusalemme, e si farà ambasciatrice della causa ebraica in giro per il mondo.

Golda Meir

Dopo gli orrori della guerra, ormai fra i massimi esponenti del movimento ebraico nel mandato di Palestina, Golda, che ha raccolto ingenti finanziamenti negli Usa, con i quali gli ebrei si armano per resistere alla preannunziata aggressione araba contro lo Stato di Israele preconizzato dall’Onu, sarà tra i firmatari della dichiarazione di indipendenza. Ambasciatrice a Mosca, ministro del Lavoro nel 1949, fra continui rimpasti di governo (la democrazia israeliana è sempre stata litigiosa), scissioni e nascite di nuovi partiti, Golda gestisce, tra l’altro, la massiccia immigrazione degli ebrei espulsi dai Paesi arabi, ma anche di quelli che arrivano dai Paesi dell’Est sotto il tallone sovietico. Sarà poi ministro degli Esteri e infine nel 1969 primo ministro: la terza donna al mondo a diventare capo del governo.
Dopo la vittoriosa conclusione della “guerra dei sei giorni”, nel 1967, in un raduno tenuto negli Usa aveva dichiarato “noi vogliamo la pace, ma gli ebrei morti nelle camere a gas sono stati gli ultimi a morire senza essersi difesi. Adesso che abbiamo vinto, se ci ritiriamo saremo attaccati di nuovo. Israele dice no”. La pace l’aveva cercata, anche con gli apparentemente più disponibili e “moderati” monarchi della Giordania e poi con l’Egitto.

Golda Meir e John Kennedy

Travolta dalla guerra dello Yom Kippur, del 1973, che i pur attrezzatissimi servizi israeliani avevano bensì previsto ma che il governo aveva sottovalutato (vi ricorda forse il 7 ottobre ’23?), sia pure dopo aver vinto anche questo devastante conflitto, Golda lascia l’incarico di primo ministro nel 1974; le succede Rabin. Due giorni dopo si dimette anche dal parlamento. Farà in tempo a vedere, lei socialista fino all’ultimo (anche se aveva sferzato quei socialisti che flirtavano coi terroristi già nel 1973) la vittoria della coalizione di destra guidata da Begin. Morì nel 1978.
Elisabetta Fiorito ha condensato, da eccellente giornalista qual è, in 174 dense, documentate, leggibilissime pagine una vita da leggenda, mantenendo per quanto possibile, lei ebrea italiana, un distacco dalla sua biografata, della quale mette in evidenza ombre e luci. E in filigrana si legge anche la storia delle difficili relazioni fra gli ebrei e l’opinione pubblica, riesplosa paradossalmente dopo gli ipocriti compianti per la strage del 7 ottobre.

Aldo Moro

Interessanti, e molto dure, per il lettore italiano, le pagine sull’incontro della Meir con Aldo Moro: abituati a vedere nello statista pugliese un campione della democrazia, oltre che una vittima sacrificale del terrorismo, ci riesce difficile mandare giù la realpolitik con la quale Moro (proseguendo in una linea tracciata da Gronchi e Fanfani) scaricò gli ebrei fino ad arrivare a quel “lodo Moro” denunciato anni dopo da Cossiga: l’Italia non avrebbe dato fastidio ai terroristi arabi, e questi in contraccambio non avrebbero colpito l’Italia. Non meno interessanti, e altrettanto dure, quelle – appena accennate – sull’incontro in Vaticano fra Golda e Paolo VI, con la Santa Sede guardata sempre con sospetto dagli ebrei, non solo israeliani, per quello che il mondo ebraico considera un eccessivo sbilanciamento filo-arabo. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

CHI È ELISABETTA FIORITO

Elisabetta Fiorito

Laureata in Lettere, Lingue, letterature e linguistiche germaniche e Lingua e letteratura inglese all’Università La Sapienza di Roma, master in giornalismo alla Luiss “Guido Carli” di Roma, è giornalista professionista iscritta all’Ordine del Lazio dal 12 marzo 1993.
Cronista parlamentare a Radio24 – Il Sole 24 Ore dalla sua fondazione e vicecaposervizio. Ha svolto il praticantato in Canada al Corriere Canadese, ha lavorato all’Ansa e a Radio Capital. Collabora con Shalom, la rivista della Comunità ebraica di Roma. È anche conduttrice di programmi radiofonici e drammaturga, vincitrice di due premi Fersen.
Come scrittrice, ha pubblicato il romanzo Carciofi alla giudia nel 2017 per Mondadori e Amori e Pandemie, diario e pièce teatrali per il Sole 24 Ore. Nel 2022 ha partecipato a Ebraica con un monologo su Golda Meir recitato da Rosaria De Cicco e nel 2023 con il monologo su Elena Di Porto, La matta di piazza Giudia (tratto dal libro di Gaetano Petraglia edito dalla Giuntina), e interpretato da Paola Minaccioni. (giornalistitalia.it)

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