Nell’aula bunker dell’Ucciardone ricordando Falcone: non lasciamo solo Nicola Gratteri

Giuseppe Malara, emozioni di un giornalista del Tg2

Giuseppe Malara, giornalista del Tg2 Rai

ROMA – Caro Direttore, una delle peculiarità di chi fa il nostro mestiere è quella di non lasciarsi mai coinvolgere rispetto alle storie che segue. Noi giornalisti cerchiamo sempre di essere il più possibile disincantati. Caratteristica indispensabile per essere esenti da pregiudizi, obiettivi.

Giuseppe Malara con Matteo Salvini

Ecco, questa riflessione che voglio condividere con te e con i tuoi lettori, è relativa ad una mia défaillance. Ammetto, qui, di essermi lasciato trascinare dalle emozioni facendo il mio lavoro.
È successo pochi giorni fa a Palermo. Il Tg2 mi ha chiesto di seguire una delle tante udienze del processo Open Arms che vede sul banco degli imputati Matteo Salvini. Un’emozione dettata non dal processo in se stesso, ma dal luogo dove quell’udienza si stava celebrando: l’aula bunker dell’Ucciardone, il luogo dove tra il febbraio 1986 e il dicembre dell’anno successivo si tenne il maxi processo contro la mafia.
Un posto che, a mio modesto parere, è una sorta di tempio da custodire e venerare in chi crede nella Giustizia con la G maiuscola. Proprio quella che, concedimi la divagazione caro Direttore, il nostro Paese e noi italiani conosciamo poco. Per me, più avvezzo alle aule parlamentari che a quelle di giustizia, era la prima volta.

Tommaso Buscetta nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo

Con le 30 gabbie alle spalle, ho chiuso gli occhi ed ho rivisto passare le immagini simbolo di quei giorni. I mafiosi alla sbarra, gli ingressi chiassosissimi del testimone Masino Buscetta. Mi sono fermato ad osservare i banchi destinati all’accusa. Banchi occupati in quel 1986/87 da chi imbastì quel processo: il pool antimafia della procura di Palermo.
Mi sono ripassate in mente anche le immagini della lunga sentenza letta dal giudice Giordano. Un crogiuolo di emozioni che, in poco tempo, sono state surclassate, dall’amarezza che mi ha pervaso. A 30 anni, ormai, dalla strage di Capaci che costò la vita al giudice Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, ho ripensato al sistema giustizia italiano. Un sistema che dovrebbe onorare la memoria di questi uomini e dell’altro grande magistrato vittima della mafia, Paolo Borsellino e che, invece, è, a sua volta, vittima del correntismo dei magistrati e delle faide interne.

Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo

Vecchi vizi, caro Direttore, che portarono all’isolamento di Giovanni Falcone, silurato nella sua corsa a procuratore nazionale antimafia e che lo indebolì fino a portare alle conseguenze che conosciamo. Una tragica commedia dell’ipocrisia che, a 30 anni da Capaci, si ripete con un altro magistrato in prima linea contro la criminalità organizzata di questo Paese, Nicola Gratteri. Non amato dai poteri forti che hanno sempre troppo peso, in guerra con la masso-ndrangheta, quella che ha interessi in Calabria ma anche, e soprattutto, a Roma, estraneo al correntismo della magistratura, Gratteri sta subendo dallo Stato lo stesso trattamento riservato a Falcone. La sua candidatura a procuratore nazionale antimafia è stata bocciata dal Csm. In sostanza, così come successo a Falcone, Gratteri è stato scaricato, isolato, lasciato solo. Un dato di fatto suffragato dalle nuove minacce di morte che, guarda caso, pochi giorni dopo la mancata nomina alla Dna, sono arrivate al procuratore di Catanzaro.

Nicola Gratteri

Fa rabbia tutto ciò, anche perché si tratta di un film già visto. Allora credo che, i giornalisti, abbiano il dovere di denunciare tutto ciò, caro Direttore. È bene che chi, anche coloro i quali non sono appassionati dal lavoro di Gratteri, capiscano la gravità della situazione e non si rendano complici di un “sistema” malato. Stiamo attenti a Gratteri. Attenti non perché dobbiamo aver paura (come qualche collega professa) o per le inchieste che conduce (come alcuni indagati ormai imputati eccellenti delle sue inchieste professano), ma attenti affinché chi lo ha emarginato non la spunti, con le conseguenze che conosciamo.
Un saluto, Direttore, e grazie per aver accolto sfogo e confidenze. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Malara
Giornalista del Tg2 Rai

Giuseppe Malara con la moglie Giancarla Rondinelli, inviata di “Porta a Porta”

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