Lamberti Castronuovo non calunniò Michele Inserra, ma il giornalista scrisse la verità

San Procopio si fermò davanti alla casa del boss

Il titolo dell’articolo di Michele Inserra sul Quotidiano del Sud

Il titolo dell’articolo di Michele Inserra sul Quotidiano del Sud del 12 luglio 2014

REGGIO CALABRIA – L’avv. Sebastiano Marco Panella ci scrive “nella qualità di difensore del dott. Eduardo Lamberti Castronuovo” chiedendoci “che sia integralmente pubblicato il contenuto della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nell’ambito del procedimento”, che ha visto il suo assistito indagato per il reato di “calunnia aggravata dalla finalità mafiosa”.
Procedimento scaturito da un articolo pubblicato, il 12 luglio 2014, sul Quotidiano del Sud dal giornalista Michele Inserra, il quale ha raccontato che, durante la processione di San Procopio, patrono del piccolo Comune della Piana di Gioia Tauro, la statua del santo si era fermata davanti alla casa del boss Nicola Alvaro, “pregiudicato ex 416 bis c.p. in segno di ossequio e reverenza”, ricevendo l’obolo dalla moglie Grazia Violi.
Di solito non pubblichiamo integralmente documenti lunghissimi che, oltre a richiedere al lettore tempo e attenzione fuori dalla ragionevole disponibilità quotidiana, spesso finiscono per essere letti sommariamente con conclusioni non sempre rispondenti alla realtà dei fatti.

Eduardo Lamberti Castronuovo

Eduardo Lamberti Castronuovo

In questa occasione, invece, accogliamo pienamente la richiesta del legale del sindaco di San Procopio, ex assessore alla legalità della Provincia di Reggio Calabria, giornalista pubblicista e fondatore ed editore dell’emittente televisiva Reggio TV, sollecitati anche dalle numerose richieste provenienti da quanti, obiettivamente, non trovano un’aderente corrispondenza tra la realtà dei fatti e la versione rappresentata da alcuni organi di informazione.
In allegato pubblichiamo, quindi, sia la richiesta che il decreto di archiviazione, ma non possiamo esimerci da alcune considerazioni che le stesse carte suggeriscono. Innanzitutto chiariamo un punto fondamentale: il decreto di archiviazione datato 29 maggio 2017 (anche se l’avvocato Panella ce l’ha inviato il 17 agosto), firmato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, Domenico Santoro, su richiesta del sostituito procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Luca Miceli (avanzata il 3 marzo e controfirmata lo stesso giorno dal procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e il 4 aprile dal procuratore Federico Cafiero De Raho), non è relativo al presunto “inchino”, ma al procedimento penale incardinato su denuncia-querela del giornalista Michele Inserra nei confronti di Eduardo Lamberti Castronuovo, del parroco Domenico Zurzolo, del vice sindaco Antonio Cutrì, accusati di «concorso in calunnia aggravato dalla finalità mafiosa», e del comandante della Stazione dei carabinieri Massimo Salsano, accusato invece di falso. Accuse, queste, cadute appunto con il decreto di archiviazione del Tribunale di Reggio Calabria perché «gli elementi risultanti dai fatti in esame non appaiono idonei a sostenere l’accusa in giudizio, perché le iniziali notizie di reato, alla luce di ampie indagini svolte, si sono rivelate infondate».
Conclusione, questa, per la quale ci rallegriamo con i diretti interessati, avendo il Tribunale, appunto, accertato che non c’è stata «calunnia aggravata dalla finalità mafiosa».

Il Consiglio Comunale in piazza a San Procopio

Il Consiglio Comunale in piazza a San Procopio

«Alla pubblicazione della notizia – si legge nella richiesta di archiviazione – era seguita la stizzita presa di posizione mediatica di Lamberti, sindaco di San Procopio che, sia con interventi televisivi o su siti d’informazione on line e sia con un esposto del 12 luglio 2014 (con seguito del giorno successivo), inviato a varie autorità politiche, amministrative, giudiziarie e religiose, aveva rivendicato l’assoluta regolarità della processione e, comunque, respinto ogni analogia con i fatti di Oppido Mamertina e, più in generale, ogni accostamento tra la collettività socio-politica che rappresentava e fenomeni malavitosi imperanti in Calabria».
Inoltre, il sindaco aveva convocato un Consiglio comunale aperto alla partecipazione di tutta la cittadinanza all’esito del quale era stato deliberato di intraprendere un’azione legale nei confronti dell’autore dell’articolo nel caso in cui non fossero arrivate le sue scuse nei tre giorni successivi.
«Ne seguivano – aggiunge la Procura – due integrazioni della querela da parte dell’Inserra – che allegava anche stralci di verbali di collaboratori di giustizia che in passato avevano dipinto il Lamberti come uomo vicino ai Condello, nota consorteria di ’ndrangheta avente base a Reggio Calabria, ed altri atti giudiziari di analogo contenuto, ad onor del vero privi di seguiti giudiziari conosciuti – nei quali il giornalista, ribadita la verità di quanto scritto il 12 luglio 2014, si lamentava di essere stato pericolosamente esposto a causa delle iniziative mediatiche del sindaco al cospetto di “una comunità ad alta densità criminale”».

Federico Cafiero da Raho

Federico Cafiero da Raho

La Procura di Reggio Calabria riferisce, inoltre, che «le indagini delegate alla Squadra Mobile di Reggio Calabria, ai Carabinieri della Compagnia di Palmi e delle Stazioni di San Procopio e Reggio Calabria, consentivano di accertare la veridicità della notizia narrata dall’Inserra poiché la Polizia Giudiziaria, già con nota del 10 luglio 2014, e quindi prima della pubblicazione dell’articolo, riferiva che dall’esame delle videoriprese effettuate da una telecamera precedentemente posizionata innanzi all’abitazione di Alvaro Nicola – capo indiscusso dell’omonima cosca di ’ndrangheta, dove viveva solo la moglie, Violi Grazia, fino al 17 luglio 2014, quando vi veniva collocato anche l’anziano boss in regime di detenzione domiciliare – si poteva scorgere chiaramente la statua del Santo Patrono fermarsi per venti secondi esatti proprio in prossimità dell’abitazione monitorata e la suddetta Violi Grazia avvicinarsi per renderle omaggio. Dall’esame diretto del video – sottolinea la Procura di Reggio Calabria – si scorgeva la donna nell’atto di avvicinarsi ai bimbi che portavano la sacca nella quale vengono riposte le offerte, od oboli che dir si voglia, e successivamente avvicinarsi alla statua del Santo Patrono per baciarla».
Casomai, osserva il Tribunale di Reggio Calabria, «sostenere che il tacciare per falsa una notizia di stampa risultata poi in realtà vera equivalga ad accusare il giornalista di diffamazione e che tale reato possa essere posto a base del reato di calunnia da contestare all’accusatore (…) sembra difficilmente sostenibile dal punto di vista oggettivo già in astratto». Nel caso concreto, poi, «la lettura degli atti porta a concludere nel senso che il Lamberti, sul momento convinto della falsità della notizia, abbia, a torto od a ragione, aspramente criticato il giornalista perché allarmato da quanto avvenuto qualche giorno prima ad Oppido Mamertina, già durante la processione chiese continuamente informazioni ai carabinieri sul normale svolgimento della processione, ottenendo positiva conferma dal maresciallo Salsano».

L’inchino dei portatori della Vara davanti alla casa del boss

Oppido Mamertina: l’inchino della Vara davanti alla casa del boss

Sempre secondo la Procura «non sembra che Salsano abbia dolosamente omesso di riportare specificamente la fermata in prossimità della casa del boss allo scopo di nascondere l’evento». Pertanto è «ragionevole» che sia Salsano che gli altri indagati, «ognuno col proprio ruolo istituzionale, politico, religioso, secondo la loro percezione diretta dei fatti e la propria elaborazione critica, opinabile o meno», ritenessero che «durante la processione di San Procopio non si fossero verificati fatti analoghi a quelli verificatisi ad Oppido».
«Il punto, però, – conclude il Tribunale di Reggio Calabria – è che secondo il Salsano e gli altri soggetti sentiti nel corso dell’indagine, durante quella processione non vi fu alcuna “anomalia” se per essa si intende un omaggio che la processione stessa riserva a qualcuno in quanto ’ndranghetista e non invece una fermata tra le tante, preceduta dall’offerta votiva al Santo Patrono». O, meglio, «la lettura degli atti acquisiti nel corso delle indagini – conclude la Procura di Reggio Calabria – porta a ritenere ragionevolmente che il Salsano, ma anche gli atri indagati, ognuno con il proprio ruolo, istituzionale, politico e religioso, secondo la loro percezione diretta dei fatti e la propria eleborazione critica degli stessi, opinabile o meno, ritenessero che durante la processione di San Procopio non si fossero verificati fatti analoghi rispetto a quelli verificatisi ad Oppido Mamertina qualche giorno prima, almeno nei termini poi riportati dall’Inserra, ovvero come “inchino” del Santo Patrono, e per esso della collettività, al cospetto del boss di turno».

Michele Inserra

Michele Inserra

Ripetiamo: «Secondo la loro percezione diretta dei fatti e la propria eleborazione critica degli stessi, opinabile o meno». Morale della favola: Edoardo Lamberti Castronuovo, Massimo Salsano, Antonio Cutrì e Domenico Zurzolo non hanno calunniato Michele Inserra e il maresciallo Salsano non ha riferito il falso perché secondo la loro “percezione diretta” i fatti di San Procopio e la loro elaborazione critica”, “opinabile o meno”, non sarebbero “analoghi rispetto a quelli verificatisi ad Oppido Mamertina”.
Il giornalista Michele Inserra, però – come accertato dagli investigatori e confermato dal Tribunale di Reggio Calabria – ha scritto la verità nel riferire che davanti all’abitazione di Nicola Alvaro, “capo indiscusso dell’omonima cosca di ’ndrangheta…si poteva scorgere chiaramente la statua del Santo Patrono fermarsi per venti secondi esatti” e la moglie Grazia Violi “avvicinarsi per renderle omaggio”.
In buona sostanza, la fermata davanti alla casa del boss c’è stata, ma non è un reato penalmente perseguibile. Quindi, dinnanzi alle nuove norme sul “giusto processo”, che prevede l’archiviazione o l’assoluzione dell’indagato/imputato in presenza di un ragionevole dubbio, la Procura della Repubblica ha fatto benissimo ad archiviare l’inchiesta: sulla calunnia aggravata dalla finalità mafiosa, non sull’inchino. (giornalistitalia.it)

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