Il Paese attende con ansia il verdetto: al bivio tra riforma e tradizione islamica

Sesso e aborto: una giornalista divide il Marocco

Hajar Raissouni

RABAT (Marocco) – Dal 31 agosto la giornalista Hajar Raissouni è in carcere, insieme al compagno, al ginecologo e all’infermiere che l’hanno assistita. Tutti accusati, a vario titolo, di “aborto clandestino” e “atti contro la morale pubblica”, secondo l’articolo 490 del codice penale marocchino, che punisce “i rapporti fuori dal matrimonio tra persone di sesso opposto”.
Un caso che divide il Marocco, mettendo il Paese davanti ad un bivio tra tradizione islamica e riforma. Domani, lunedì 30 settembre, i giudici dovranno decidere se condannare la donna, che rischia da sei mesi fino a due anni di detenzione nel caso la ritengano colpevole, o proscioglierla per non aver commesso il fatto, come chiede l’avvocato Said Sahli, e ridarle la libertà.
Se la condannano, la società civile è pronta a scendere in piazza, e a fare ancora più grande l’ondata di protesta sollevata per prima dalla scrittrice Leila Slimani. L’arresto di Hajar Raissouni e i continui rinvii di udienza sono stati occasione per denunciare “leggi liberticide”, come hanno fatto le intellettuali della diaspora in una lettera pubblicata in prima pagina dal quotidiano francese Le Monde: un j’accuse collettivo, “Sono fuori legge”, che partito con 490 simbolici sostenitori, ad oggi è stato firmato da quasi 10 mila voci libere della cultura e della società civile marocchina. Ma se l’assolvono sarà l’altra metà del paese a scendere in campo, la maggioranza al potere, conservatrice, filoislamista, sostenuta dai voti di quanti si riconoscono in un paese dove l’Islam è religione di Stato e la monarchia dispone di enormi poteri.
Le norme religiose sono i pilastri dei rapporti sociali, si insinuano nella legge e determinano gran parte dei comportamenti sociali. Il dibattito è vivo in Rete, sui social, tra laici e islamisti.
I giornali, in gran parte controllati dalla casa reale, ne parlano appena e solo quando, come in questo caso, la storia rimbalza dai media internazionali. In un paese governato dal Pjd, il partito della Giustizia e dello Sviluppo, conservatore e filoislamista, la riforma del codice penale ispirato alla Shaaria, la legge islamica, è bloccata in parlamento dal 2016.
Quel progetto, il numero 10/16, consultabile liberamente sul sito del Ministero di Giustizia, apre all’aborto, anche se solo in casi particolari, introduce nuove categorie di crimini, come quelli contro l’umanità o i crimini di guerra e il genocidio, mette in discussione la pena di morte.
Collegato alla riforma del codice di procedura, il nuovo progetto limita i casi di ricorso alla carcerazione preventiva destinata a diventare “misura eccezionale”. Ed ecco che il caso di Hajar Raissouni, accusata di aborto clandestino, di aver avuto rapporti extramatrimoniali, con un mese di carcere preventivo alle spalle, diventa simbolico su più fronti. Che fare? (ansamed)

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