Avviso di garanzia a tutti i medici che lo hanno visitato: “omicidio colposo”

Morte del giornalista Pino Anfuso: 20 indagati

Pino Anfuso

Pino Anfuso

Il Secolo XIX

GENOVA – Venti medici indagati, il sospetto di una terapia sbagliata. La morte di Giuseppe “Pino” Anfuso, 53 anni, giornalista della sede Rai di Reggio Calabria per anni in servizio anche a Genova, deceduto alla fine di maggio per le complicazioni di una banale frattura alla gamba, per la Procura calabrese è un caso di malasanità. Nel mirino c’è una somministrazione sbagliata di eparina, un farmaco anticoagulante che avrebbe provocato l’embolia polmonare all’origine della morte.
La denuncia dei parenti
Nei giorni scorsi il sostituto procuratore di Reggio Calabria, Romano Gallo, ha inviato l’avviso di garanzia a tutti i medici che lo hanno curato dal giorno dell’incidente, avvenuto il primo maggio a Zoagli , fino al decesso.
Tra questi ci sono anche i cinque medici del San Martino dove è stato seguito subito dopo la caduta. Si tratta di un medico del pronto soccorso, Luigi S., 36 anni, tre radiologi, Raffaella C., 58 anni, Maurizio C. 65 anni e Maria D.P., 56 anni, e l’ortopedico Gianmaria D. di 62 anni. Nei guai con loro anche i quindici colleghi dell’ospedale “Bianchi Melacino Morelli” di Reggio Calabria dove Anfuso, lo scorso 28 maggio, è morto. A tutti viene contestato l’omicidio colposo.
Le indagini della Procura hanno preso il via dopo la denuncia presentata alla fine di maggio dalla moglie di Anfuso, Maria Barbaro, e dalla sorella Maria, assistiti dagli avvocati genovesi Maurizio Mascia e Gennaro Velle. «Vogliamo giustizia per Pino – hanno spiegato – era un uomo pieno di vita. Chi ha sbagliato si assuma le proprie responsabilità» . Anfuso, secondo quanto ricostruito, era scivolato lo scorso primo maggio mentre riprendeva con la telecamera la festa di matrimonio del nipote. Una banale caduta nella quale aveva picchiato il ginocchio destro. All’ospedale San Martino il giornalista era andato accompagnato dalla moglie il giorno successivo. «Aveva un forte dolore», ha spiegato la donna ancora sotto choc. Tac e raggi avevano confermato la rottura della tibia con conseguente obbligo di indossare il tutore.
«Pochi farmaci»
Ad Anfuso i medici avevano, ovviamente, prescritto dosi di eparina per evitare proprio le trombosi e quindi l’embolia. Ma la quantità del farmaco, troppo bassa secondo gli investigatori, non aveva sortito l’effetto dovuto portando al decesso avvenuto il 28 maggio all’ospedale di Reggio Calabria. (Il Secolo XIX)

T. Freg.

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