Al via il processo all’inventore danese: “Ha ucciso Kim Wall per una fantasia sessuale”

Giornalista squartata, Peter Madsen alla sbarra

Kim Wall e Peter Madsen

Kim Wall e Peter Madsen

COPENAGHEN (Danimarca) – Al via a Copenaghen il processo a Peter Madsen, il 47enne inventore danese accusato di aver ucciso la giornalista svedese Kim Wall, salita a bordo del suo sottomarino per intervistarlo e il cui corpo smembrato è stato ritrovato a pezzi nel mare.
Arrestato poco dopo la scomparsa della giornalista, nell’agosto 2017, Madsen aveva ammesso di aver squartato e buttato a mare il suo corpo, negando però di averla intenzionalmente uccisa. Il procuratore Jakob Buch-Jepsen ha gia’ annunciato che chiederà l’ergastolo, che in Danimarca comporta una condanna a 16 anni di carcere.
Madsen è stato incriminato per omicidio, profanazione di cadavere e aggressione sessuale aggravata. Ha cambiato più volte la sua versione: ha sempre negato di aver ucciso la Wall, sostenendo che le tracce di sangue, trovate nel relitto del suo sommergibile Nautilus, erano i segni di un incidente fatale occorso alla giornalista. Poi, però, ha ammesso di essere andato nel panico dopo la sua morte, di averla fatta a pezzi e di aver gettato i resti a mare. Ha anche sostenuto di non aver sabotato apposta il sottomarino, ma che il mezzo e’ affondato per colpa di un’avaria. Il suo avvocato, Betina Hald Engmark, ha mantenuto finora il riserbo sulla strategia difensiva.
L’autopsia sul corpo della donna non è riuscita a determinare la causa della morte: secondo la Procura, Madsen l’ha uccisa, preso da una fantasia sessuale. L’avrebbe legata, picchiata e pugnalata più volte nella zona genitale. L’avrebbe poi uccisa, soffocandola o tagliandole le gola, per poi smembrarla con una sega, mettendo torso, testa, braccia e gambe in buste di plastica diverse, buttate a mare con pesi di metallo all’interno per farle andare a fondo nella baia di Koge fuori Copenaghen. Gli investigatori avrebbero trovato un hard drive nel suo laboratorio contenente film in cui donne vengono torturate, decapitate e bruciate vive. Madsen ha sempre negato che il materiale fosse suo.
La giornalista svedese uccisa si sarebbe dovuta trasferire in Cina a metà agosto 2017 con il suo fidanzato. In memoria del suo lavoro, la Columbia Journalism School ha creato un fondo per aiutare le giornaliste a fare il proprio lavoro in sicurezza.
«Questo significa che la sua eredità continuerà a vivere», ha commentato la madre, qualche giorno fa. Finora, sono stati raccolti 200mila dollari di donazioni e la prima borsa di studio da 4mila euro verra’ assegnata il 23 marzo, giorno del compleanno di Kim. (agi)

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