Il 28 gennaio di 50 anni fa la scomparsa del giornalista autore de “Il deserto dei Tartari”

Dino Buzzati, il mistero del quotidiano

Dino Buzzati

ROMA – C’è una bella giornata e il procedere lungo una strada affiancata da edifici colorati da cui si affacciano persone sorridenti che incitano a proseguire il cammino, ché la meta con la soddisfazione dei desideri è dietro l’angolo, ma poi si scopre che dietro la prima curva ce n’è un’altra e così via col panorama che si fa sempre più grigio e la gente triste e l’attesa della risoluzione delle cose non arriva mai.
È il tema dell’illusione, del desiderio e dell’attesa così rappresentato allegoricamente in un capitolo de “Il deserto dei Tartari”, ma che è al centro di tutta l’opera di Dino Buzzati, di cui si celebrano ora i 50 anni dalla scomparsa, avvenuta a Milano il 28 gennaio 1972 a 66 anni, essendo nato a San Pellegrino di Belluno il 16 ottobre 1906.
Accanto al Buzzati ottimo giornalista, sì autore di elzeviri, ma soprattutto cronista o inviato di guerra come al seguito del Giro d’Italia (si legga a conferma la ristampa Mondadori di 30 anni di suoi articoli per il Corriere e il Corriere d’Informazione: “La nera”, pp. 640 – 30,00 euro), c’è infatti un Buzzati narratore a un altro livello di scrittura la cui fama è stata sempre legata appunto a romanzo “Il deserto dei tartari” pubblicato nel 1940. È la storia del sottotenente Giovanni Drogo che, nella Fortezza Bastiani, ai confini del paese e dei territori conosciuti, attende una temuta invasione dei tartari. Tutto è continuamente organizzato per essere pronti, ma questi però non arrivano mai, tanto che Drogo ne finirà ammalato e morirà messo da parte da chi ha da fare, perché pare il nemico stia arrivando.

Dino Buzzati

Una metafora esistenziale sul desiderio di dare un senso alla propria vita, che poi non è altro che angosciosa e metafisica attesa della fine. Per questo si è sempre parlato di echi della letteratura mitteleuropea e di derivazione kafkiana, con quella nota fantastica e misteriosa accompagnata da un senso di sgomento crescente e imperscrutabile che sarà costante nelle sue raccolte di racconti, da quelli coevi del romanzo in “I sette messaggeri”, uscito due anni dopo, a “paura della scala” e “Il crollo della Baliverna” poi compresi nei “Sessanta racconti” del 1958, cui andò quell’anno il Premio Strega.
A questo lavoro è da aggiungere il romanzo “Un amore” del 1963, storia dai toni esplicitamente erotici, che trovò estimatori e detrattori sempre comunque sottintendendo che il tema fosse stato uno strumento scelto per far parlare e avere successo con un pubblico più vasto. È l’analisi minuziosa di un’ossessione, la gelosia del protagonista Antonio di perdere una donna, la squillo Laide, che lo ha coinvolto e di cui sente un bisogno assillante e inspiegabile.
Parve a molti allora segnare il passaggio di Buzzati dalla metafisica alla realtà, ma fu Giuliano Gramigna nel saggio che accompagna il Meridiano dedicato allo scrittore a dare una lettura coerente di tutta la sua produzione e vedere nella sfera psicologica di “Un amore” l’eros divenuto attesa e ricerca, il cui desiderio sfugge di continuo alla sua realizzazione, finendo per impedire che “la sua vita venga giustificata”. A vincere sulla realtà è sempre il fantasmatico, il fantastico che è uno dei registri principali di Buzzati, non come manifestarsi di una rottura che magari cambia anche il tono della scrittura, ma rivelandosi nelle pieghe minime della realtà di tutti i giorni, in scarti naturali che manifestano quel che era presente ma appariva invisibile. E in questo senso i racconti sono il risultato alto e coinvolgente per poesia e invenzione. Quella invenzione che lo porterà, nel suo bisogno creativo e di sperimentatore, a unire la sua abilità di disegnatore con la scrittura nella realizzazione di “Poema a fumetti” e “I miracoli di Val Morel”, non meno allegorici e inquietanti proprio nel contrasto tra il senso del magico e del mistero e la realtà quotidiana, senza la determinazione e la durezza, anche stilistica, di Kafka, che fu un’etichetta sempre disturbante e superficiale per Buzzati, legato alla sua dimensione di cronaca coinvolgente con naturalezza anche nel comunicare le sue stranezze e misteri surreali, che sono sempre gli stessi e hanno sempre lo stesso senso esistenziale, di domanda e attesa aperta a una impossibile risposta: «Tutta la realtà, la vita stessa, gli oggetti erano per Buzzati segnali dell’altrove – ha scritto Eugenio Montale – erano una porta che un giorno avrebbe potuto aprirsi. E lui poteva tranquillamente ostinarsi a bussare”. (ansa)

Paolo Petroni

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