Il presidente del Senato Grasso alla cerimonia del Ventaglio. Fnsi: “Grave denuncia”

“Diffamazione e querele, nessun passo avanti”

Pietro Grasso e Cristina Bortune, autrice dell’opera

Pietro Grasso e Cristina Bortune, autrice dell’opera

ROMA – Un intervento tutt’altro che di circostanza quello del presidente del Senato, Piero Grasso, alla cerimonia del Ventaglio, tenutasi stamane a Palazzo Giustiniani, a Roma, e organizzata, come ogni anno, prima della pausa estiva, dall’Associazione Stampa Parlamentare.
Intervento che, toccando, tra gli altri, temi cari ai giornalisti, quali la diffamazione, il carcere e le querele temerarie, riteniamo doveroso e utile pubblicare integralmente, alla luce di quanto denunciato della seconda carica dello Stato. Che, senza giri di parole, rivolgendosi al presidente della Stampa Parlamentare, Sergio Amici, ha affermato che i tempi per l’approvazione delle leggi che regolino temi di vitale importanza come questi “dipendono soltanto dalla volontà politica”.

Cari giornalisti, cari colleghi, gentili ospiti,
sono davvero felice di essere qui con tutti voi, il presidente Sergio Amici e i componenti dell’Associazione Stampa Parlamentare, per rinnovare la lunga tradizione della cerimonia del Ventaglio, che ci porta ogni anno a passare in rassegna i principali temi politici e a tracciare un bilancio prima della pausa estiva.
La ringrazio, presidente Amici, per aver bene inquadrato il tema delle migrazioni come un fenomeno strutturale che va affrontato in modo serio e lungimirante, alla ricerca di quello che ha chiamato un delicato equilibrio.
Una prima considerazione è certamente legata alla dimensione e all’origine del fenomeno migratorio: i profondi cambiamenti geopolitici che hanno interessato l’Africa, il Mediterraneo e il medio-oriente determinano imponenti flussi di persone che lasciano i loro Paesi d’origine in cerca di un futuro migliore. Si tratta di una realtà che non interessa solo l’Italia ma tutta l’Europa, che ha colpevolmente sottovalutato le conseguenze delle crisi degli anni scorsi, dall’Iraq alle “primavere arabe”, dalla Siria alla Libia. Il nostro continente si misura con una sfida epocale, e dal modo di affrontarla dipenderà il suo futuro e il giudizio che ne daranno le nuove generazioni di cittadini europei.
Le Istituzioni comunitarie, gli Stati e i governi che ne fanno parte devono assumersi la responsabilità di scegliere se dare un valore concreto agli ideali sui quali si fonda il sogno europeo, aiutando con animo solidale il nostro Paese nella gestione dei migranti, o se sacrificarli in nome di interessi e calcoli elettorali; scegliere se la vita sia ancora un bene non negoziabile e la sua difesa un valore assoluto, come ci siamo promessi all’indomani della II guerra mondiale, oppure no; scegliere se il diritto al futuro di un bambino di Aleppo o nigeriano sia minore di quello di uno di Roma o di Berlino. L’Unione europea deve decidere, in poche parole, se incidere sui processi storici o affidarsi egoisticamente alla geografia.
La politica, a livello nazionale ma soprattutto a livello europeo, deve abbandonare i tatticismi – che si consumano drammaticamente sul dolore di chi fugge e soffiano sulla paura dei cittadini – e ragionare in termini strategici e complessivi.
Si deve assolutamente rifiutare la logica dell’emergenza e impegnarsi pazientemente nel sostegno ai Paesi dove oggi non esistono diritti, stabilità politica, possibilità di sviluppo: solo in questo modo potremo – nei prossimi decenni, non giorni – gestire e controllare le migrazioni. Da questo punto di vista credo che il Governo, con l’opera del presidente Gentiloni e del ministro Minniti, stia facendo un importante lavoro che deve essere sostenuto e incoraggiato da tutte le forze politiche. Se questa strada, necessaria, avrà effetti solo nel lungo periodo, nell’immediato non possiamo eludere per nessuna ragione il tema del salvataggio di chi affronta il mare perdendo troppo spesso la vita.
In questi mesi molto si è discusso sulle modalità di queste operazioni, sulla ripartizione delle responsabilità e degli oneri, su possibili infiltrazioni della criminalità organizzata. Sono rilievi che meritano attenzione e approfondimento. D’altro canto, però, ci si è troppo in fretta dimenticati che fino a pochi mesi fa assistevamo dalle nostre coste alla morte di centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini. Con tutti i nostri limiti e i nostri difetti, stiamo impedendo il perpetrarsi di una tragedia di enormi dimensioni.
Vorrei dunque ringraziare la Guardia Costiera, la Marina militare, tutte gli uomini delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine e i volontari per lo straordinario lavoro che svolgono in condizioni spesso difficili: abbiamo uomini e donne di grande competenza, di incredibile professionalità e di profonda umanità dei quali dobbiamo essere tutti, nessuno escluso, veramente orgogliosi.
Lo ripeto da mesi, in uno sforzo dialettico che ritengo essenziale proprio nel momento di maggiore crisi della politica, delle idee e della comunicazione: salvare vite umane e accogliere i rifugiati non è un atto di buon cuore ma un dovere giuridico sancito dalla nostra Costituzione e dai trattati internazionali.
Oltre a questo, vi è anche una prospettiva morale e culturale. Cedere sui valori sui quali si fonda la nostra cultura democratica significa dare avvio a una spirale negativa sempre più difficile da fermare. Lo vediamo dalle reazioni che si stanno diffondendo nel Paese, con blocchi e proteste per l’arrivo anche solo di minori non accompagnati. Lo vediamo dal dato per cui più del 50% dei comuni non contribuisce all’attuazione del piano di accoglienza diffusa, l’unica che possa garantire maggiore tranquillità e sicurezza per i cittadini.
Soffiare sulla paura, diffondere odio e cavalcare il disagio espone la nostra comunità a un progressivo indebolimento. La paura è un sentimento legittimo, cui la politica deve prestare ascolto e attenzione: i partiti, i movimenti e i loro leader devono riappropriarsi del compito di accompagnare i cittadini, ascoltandone gli umori senza subirli, e di mostrare loro una visione complessiva dei problemi senza accettare le lusinghe di un facile quanto effimero consenso.
Presidente Amici, tra i temi da bilanciare lei cita anche la questione della cittadinanza, troppo spesso e strumentalmente connessa a quello degli sbarchi.
Con una frettolosa approssimazione la legge in discussione è stata impropriamente definita “Ius soli”, prestando il fianco a eccessi retorici che ne hanno, al momento, rallentato l’iter. Il provvedimento, ora in seconda lettura in Senato, intende modificare il meccanismo che già conferisce, su richiesta, la cittadinanza ai figli di stranieri regolarmente presenti sul nostro territorio, solo al compimento del diciottesimo anno di età. Nello specifico verrebbero introdotte altre due modalità di ottenimento della cittadinanza, attraverso il cosiddetto “Ius soli temperato” e lo “Ius culturale”, modificando una legge che, al momento, è tra le più restrittive in Europa.
Dal mio punto di vista questa è una legge che non disegna il futuro ma fotografa l’esistente: nelle classi dei nostri figli e nipoti, in ogni città, siedono negli stessi banchi bambini italiani con la cittadinanza e bambini che possiamo definire “italiani senza cittadinanza”, e che condividono il tempo, gli studi, i percorsi di legalità, le passioni, i desideri e i sogni.
Personalmente, l’ho detto molte volte, credo che offrire a chi nasce, studia e cresce in Italia la possibilità di sentirsi pienamente parte della nostra comunità nazionale serva a rendere il nostro Paese più forte e sicuro: chi è escluso dalla vita comune, chi non esercita i diritti e i doveri di cittadinanza, chi è rinchiuso nelle periferie esistenziali delle nostre città è più debole, e quindi più vulnerabile al radicalismo ideologico e all’illegalità. Vale per tutti, italiani e stranieri. Integrare, riconoscere diritti, doveri e opportunità significa fare sicurezza. Credo anche che sia in linea con la nostra tradizione democratica, con i principi della nostra Costituzione e, per chi ha fede, anche con i valori cristiani. Per tutte queste ragioni auspico che l’augurio, da più parti condiviso, possa tradursi nell’approvazione di questa legge.
Nel suo intervento, presidente Amici, lei faceva riferimento a una nota frase di James Freeman Clarke, citata in Italia da Alcide De Gasperi: “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione”. Debbo con rammarico rilevare che spesso il pensiero si ferma, in molti casi, ai giornali del giorno dopo. È quanto mai vitale che la politica torni ai suoi valori essenziali – competenza, passione, responsabilità, lungimiranza strategica e slancio etico – e ad un linguaggio diverso nei toni, nelle parole, nei contenuti: le ferite che si producono nel tessuto della nostra società, sempre più fragile ed esposta a rabbia e frustrazione, ci indeboliscono come nazione, allontanano i cittadini dalle urne ma anche dalle Istituzioni.

Pietro Grasso e Sergio Amici

Pietro Grasso e Sergio Amici

Presidente Amici, i miei doveri istituzionali di presidente del Senato, rispetto a quando ho espresso l’impossibilità di candidarmi a Presidente della Regione siciliana sono, se possibile, ancor più stringenti in questo momento. È noto a tutti che negli ultimi giorni si siano avvertite fibrillazioni politiche nella maggioranza che sostiene il governo, e che i prossimi mesi saranno particolarmente delicati. La fase finale della legislatura sarà, temo, fortemente influenzata dall’avvicinarsi delle elezioni nella primavera del 2018.
Su due passaggi fondamentali però il senso di responsabilità dovrà prevalere su qualsiasi calcolo elettorale. Il primo è la legge di Bilancio: spetterà al Governo trovare, calibrando le richieste delle parti politiche, il giusto equilibrio dei conti dello Stato per il prossimo anno, sulla base delle linee della Nota di aggiornamento al DEF predisposta dal ministro Padoan e votata dal Parlamento, con l’intento di sostenere la ripresa – con particolare attenzione all’occupazione giovanile, i cui dati restano preoccupanti – e proseguire nel percorso di aggiustamento dei conti pubblici, in piena condivisione con l’Unione europea ed evitando possibili intenti speculativi.
Presidente Amici, sulla Legge elettorale si giocherà la credibilità dei partiti da qui alle elezioni. Credo fermamente che due sentenze della Corte Costituzionale – che hanno dichiarato la parziale incostituzionalità di due leggi elettorali diverse – non possano da sole disciplinare la rappresentanza dei cittadini in Parlamento. Le disomogeneità da superare sono molteplici: al Senato sono ammesse le coalizioni fra le liste, mentre alla Camera no; le rispettive soglie di sbarramento sono notevolmente differenti, con conseguenze sulla diversità di composizione delle Camere; al Senato andrebbero introdotte le preferenze rispettando l’equilibrio di genere, così come previsto per la Camera; alla Camera è previsto il capolista bloccato e pluricandidato, mentre al Senato no; al Senato non è previsto alcun premio di maggioranza per le coalizioni, mentre alla Camera si, ma solo per la lista che ottenga il 40% dei voti.
Questi non sono né tecnicismi da addetti ai lavori né minuzie da risolvere con un Decreto a fine legislatura: sono questioni che incidono sul principio costituzionale della rappresentanza e della sovranità popolare, e che vanno affrontate con grande serietà, responsabilità e la più ampia condivisione.
Appare evidente che queste disomogeneità tra Leggi elettorali possano generare troppe incertezze e il forte rischio di consegnare al Paese due Camere senza maggioranza o con maggioranze completamente diverse. Auspico quindi che da settembre riprenda, alla Camera o in Senato, il dialogo tra i Gruppi per dare al Paese una legge chiara e funzionale, che tenga nel giusto equilibrio il principio costituzionale della rappresentanza e l’esigenza politica della governabilità.
Presidente Amici, sulla riforma dei regolamenti parlamentari credo che ci sia la concreta possibilità di realizzare in questa legislatura modifiche condivise, anche se limitate ad alcuni specifici punti, ma comunque dirette ad accelerare l’iter legislativo, semplificare le procedure e ad aumentare l’efficienza del nostro sistema parlamentare. L’attuale bicameralismo può essere profondamente trasformato, a Costituzione invariata, attraverso l’innovazione delle procedure parlamentari. Per questa ragione ho presentato alla Giunta per il Regolamento un documento stilato per punti, una sorta di “decalogo” attraverso il quale conseguire quel “bicameralismo razionalizzato” di cui parlava già il professor Leopoldo Elia negli anni ‘80.
L’iniziativa, che corrisponde ad una esigenza diffusa da parte di tutti i gruppi parlamentari, è ora al vaglio di un comitato ristretto della Giunta formato da quattro componenti (i senatori Zanda, Calderoli, Bernini e Buccarella), che hanno già trovato un accordo di massima su molti dei punti proposti: da parte mia non mancherà l’impegno per proseguire in quel percorso che ho considerato essenziale sin dall’inizio della legislatura ma che, nelle more della Riforma Costituzionale, era stato temporaneamente accantonato.
Presidente Amici, non posso che ribadire che si debba fare tutto il possibile per concludere in questa legislatura l’esame di alcuni provvedimenti molto importanti: norme che incidono sulla vita dei cittadini, sull’economia, sugli investimenti, sulla giustizia, sulla libertà di informazione. In questi anni ho imparato che i tempi dipendono soltanto dalla volontà politica: quando vi è accordo tra le parti il percorso diventa agevole e rapido; non posso allora non augurarmi che ciascun gruppo parlamentare assicuri, nell’interesse del Paese, la propria collaborazione per l’approvazione queste leggi.
Rispetto alle tre specificamente richiamate da lei, credo che rimandare ulteriormente l’approvazione di quella sulla concorrenza restituisca l’immagine di un Paese prigioniero di veti incrociati e incapace di produrre il cambiamento necessario in molti settori strategici per la crescita e lo sviluppo economico e sociale.
Ritengo doveroso procedere speditamente anche sulle norme in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati quando scelgono di impegnarsi in politica. Personalmente, nel 2012, quando accettai la candidatura alle elezioni politiche decisi di lasciare definitivamente la magistratura ma, in generale, ritengo sia opportuno trovare un giusto equilibrio tra la necessaria indipendenza tra i poteri legislativo e giudiziario, un ricollocamento fuori dai ruoli inquirenti e giudicanti e il diritto costituzionale di ciascun cittadino, anche magistrato, di ricoprire un incarico elettivo o di governo.
Sul tema della diffamazione, dell’abolizione del carcere per i giornalisti e il contenimento delle querele temerarie devo invece constatare che nulla è cambiato dal nostro ultimo incontro: come ho avuto modo di ribadire in moltissime occasioni, ritengo che sia di fondamentale importanza garantire ai professionisti dell’informazione la possibilità di svolgere fino in fondo il loro prezioso lavoro, che definisce la qualità del dibattito pubblico e quindi della nostra democrazia.
Presidente Amici, mafia e corruzione sono certamente connesse. Se abbiamo sconfitto la “cosa nostra” violenta, stragista e sanguinaria, non possiamo dire lo stesso di quella capace di sparire, inabissarsi e ricomparire sotto altre forme. In particolar modo abbiamo assistito ad una rapida evoluzione delle mafie, sempre più passate dalle intimidazioni alla corruzione, soprattutto fuori dai territori d’origine, e alla loro pericolosissima capacità di infiltrarsi, a tutti i livelli, nella società, nell’economia, nella politica locale e nazionale, nella Pubblica Amministrazione.
L’Italia ha, complessivamente, un’ottima legislazione sia sotto il profilo della prevenzione che sotto quello della repressione dei reati. La recente revisione del codice appalti, ad esempio, è un importante tassello che può sicuramente essere migliorato, soprattutto nella sua fase applicativa. Al lungo elenco dei provvedimenti che giacciono nelle Commissioni e che potrebbero essere rapidamente approvati non posso allora non aggiungere quello che tutela i lavoratori che denunciano episodi corruttivi, i cosiddetti whistleblower. La speranza, anche in questo caso, è che si possa presto riprendere e concludere il cammino di una legge utile a far emergere la corruzione.
Sul Codice antimafia è utile premettere che comprende misure di contrasto efficaci ed attese che colpiscono le mafie soprattutto sul profilo patrimoniale, allargando la confisca alle ecomafie, snellendo i passaggi dal sequestro alle confische, e soprattutto rinnovando l’Agenzia per i beni confiscati, in modo da poter gestire con maggior agilità e profitto i beni ai fini dell’utilità sociale e dare così prova di efficienza del sistema. Nel contempo si sono aumentate le garanzie delle misure di prevenzione per tutti, prevedendo un ampliamento del diritto di difesa nella fase del sequestro, introducendo la possibilità di un controllo da parte di un amministratore giudiziario per eliminare preventivamente le infiltrazioni mafiose, e istituendo l’incompatibilità tra chi gestisce i beni e i magistrati.
L’articolo 1, a seguito delle polemiche sorte durante la discussione in Senato, è stato modificato secondo le indicazioni del Procuratore nazionale antimafia, limitando la portata di applicazione delle misure di prevenzione previste per i più gravi reati contro la Pubblica amministrazione alle sole ipotesi di associazione a delinquere, che quindi presuppongono una rete corruttiva e quindi un’alta pericolosità sociale.
Questa esigenza che sembra attuale in conseguenza dell’utilizzazione da parte delle mafie dei sistemi corruttivi, era in realtà già avvertita il 26 febbraio 1980 da un intellettuale di sicuro spirito garantista come Leonardo Sciascia, eletto nelle fila di un Partito, quello Radicale, che del garantismo ha sempre fatto una bandiera. Intervenendo alla Camera su una mozione presentata dall’On.le La Torre, che conteneva la proposta di combattere il fenomeno mafioso riformando il sistema delle misure di prevenzione secondo criteri che introducessero forme di controllo sugli illeciti arricchimenti, ebbe a dire: (cito) “Secondo me, è questo il punto; l’illecito arricchimento. Questa proposta va benissimo, ma bisogna allargarla, estenderla; il controllo, cioè, deve estendersi anche a noi, che stiamo su questi banchi, a coloro che siedono sui banchi del Senato, a coloro che siedono nelle assemblee regionali e nei consigli municipali, non trascurando nemmeno certi funzionari e certi ufficiali che hanno il compito di prevenire e reprimere appunto il fenomeno mafioso”. (fine della citazione)
Come si può vedere, parole di bruciante attualità. Concludo facendo i miei più sinceri complimenti a Elena Boni per il bellissimo ventaglio di cui oggi mi fate dono e, con lei, al presidente dell’Accademia di Belle arti di Roma, Mario Alì, ed alla direttrice Rosa Passavanti. Ringrazio tutti i giornalisti dell’Associazione Stampa Parlamentare che svolgono un lavoro delicato e prezioso nel descrivere e raccontare con attenzione e professionalità la vita quotidiana e le attività del Senato. È soprattutto attraverso di voi che i cittadini possono informarsi ed essere puntualmente aggiornati sull’attualità politica.
Ringrazio il Segretario Generale Elisabetta Serafin, i due Vice Segretario Generale, Federico Toniato e Alfonso Sandomenico, e attraverso loro tutto il personale dell’Amministrazione del Senato per il prezioso contributo che hanno dato e danno al Presidente e a tutti i Senatori. Infine, un particolare ringraziamento al nostro Ufficio stampa e al suo direttore, impegnati nel difficile compito di garantire la trasparenza e la completezza delle informazioni sui lavori di questa antica Istituzione con moderni strumenti di comunicazione, social network inclusi: un compito che richiede tanta passione e competenza e per il quale vi sono sentitamente grato. Grazie a tutti.

DIFFAMAZIONE, CARCERE E QUERELE TEMERARIE, FNSI: «DA GRASSO UN GRAVE ATTO DI DENUNCIA»

ROMA – «Le parole del presidente del Senato, Pietro Grasso, sui progetti di legge su diffamazione, eliminazione del carcere per i giornalisti e contrasto al fenomeno delle querele temerarie rappresentano un grave atto di denuncia, soprattutto perché giungono dalla seconda carica dello Stato». È quanto affermano il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.
«Le tre questioni – proseguono – sono state rimosse dal dibattito parlamentare perché esiste un fronte politicamente trasversale che sogna da sempre un regolamento di conti con i giornalisti che si concretizzi in una sorta di bavaglio generalizzato alla libertà di espressione, nella speranza che la stampa sia messa nelle condizioni di non disturbare il manovratore. Si tratta di un disegno che va nella direzione opposta a quella indicata dal presidente del Senato: una stampa libera e autorevole è essenziale per il funzionamento e per la qualità della democrazia. L’auspicio è che il governo raccolga l’appello del presidente Grasso e si adoperi affinché tali norme vengano approvate al più presto, anche con la predisposizione di un apposito stralcio».

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