Si ignora che, senza un ampliamento dei posti di lavoro, un futuro per molti non ci sarà

Contratto giornalisti, tutt’altro che facili slogan

Daniela Stigliano

Daniela Stigliano

MILANO – Un’azione di intervento coordinata e articolata a più “voci” per stimolare la ripresa del mercato del lavoro. Una disciplina più stringente e inclusiva per i colleghi collaboratori. Un’aliquota straordinaria dell’1% delle retribuzioni per gli ammortizzatori sociali a carico degli editori. Un aumento di 120 euro in due anni in busta paga. E una soluzione per superare il Fondo ex fissa senza dichiararne il fallimento formale.
Il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro dei giornalisti, firmato il 24 giugno a Roma tra la Giunta della Fnsi e la delegazione della Fieg, ruota intorno a questi cinque cardini.
Un contratto che diventa triennale per la prima volta, eliminando di fatto il rinnovo biennale economico: si andrà direttamente al prossimo accordo nel marzo 2016. E un contratto che, nonostante gli attacchi e i progetti di più di un editore, non solo c’è, ma lascia invariati tutti gli altri istituti normativi ed economici: dalle ferie ai superfestivi, dagli scatti ai permessi retribuiti, dai diritti dei Cdr agli articoli 2 e 12. Mentre quelle regole e norme certe sulla multimedialità e le nuove figure professionali che tanta parte dei colleghi aspetta e chiede, e non da pochi anni, vengono sì purtroppo rinviate al prossimo rinnovo, ma con un impegno reciproco – tra Fnsi e Fieg – a tenere aperto il confronto e a svilupparlo nei prossimi mesi.
I cinque capitoli del rinnovo si tengono insieme, in particolare i primi quattro, i più importanti e significativi, in una strategia complessiva che punta a far ripartire l’occupazione pur in un periodo di crisi ancora profonda dell’industria dell’informazione. E che vanno letti in stretta correlazione con le norme che saranno varate dal Governo con il decreto sul Fondo straordinario triennale per l’editoria da 120 milioni istituito dalla legge di stabilità per il 2014: dalle risorse per gli ammortizzatori sociali e i prepensionamenti agli incentivi per le assunzioni (soprattutto di giovani), al sostegno agli investimenti nell’innovazione alle piccole e medie imprese e alle start-up.
Nessuna certezza, lo dico subito, che il mix di misure funzioni davvero. Ma la consapevolezza, piena e condivisa, da parte di tutti i firmatari del Protocollo d’intesa siglato il 25 giugno a Palazzo Chigi, che senza un ampliamento dei posti di lavoro un futuro per molti non ci sarà. Né tra gli editori né tra i giornalisti e neppure per il nostro Istituto di previdenza. Negli ultimi anni si sono del resto persi oltre 2 mila posti di lavoro, di cui più della metà nel solo 2013, e il rapporto tra le entrate contributive di chi è al lavoro e le uscite per pagare le pensioni è già arrivato al 123%.
Provo dunque a mettere in fila, gli elementi del rinnovo contrattuale. Per offrirli alla valutazione complessiva dei colleghi, fuori dalle logiche di chi solletica illusioni e grida facili slogan.

1) NUOVI POSTI DI LAVORO

Lo stimolo alle assunzioni, con un obiettivo stimato dal Sottosegretario all’Editoria, Luca Lotti, in almeno mille nuovi posti di lavoro e che potrebbe, secondo i più ottimisti, toccare quota 1.500, dovrebbe arrivare da tre misure che agiranno contemporaneamente: una retribuzione di ingresso ridotta, sulla falsariga di quanto già deciso nel contratto 2001-2004, per i nuovi contratti a disoccupati, inoccupati e collaboratori, per un massimo di 36 mesi; agevolazioni e riduzioni dei contributi previdenziali, che premiano le assunzioni a tempo indeterminato; l’introduzione dell’apprendistato professionalizzante per i giovani dai 18 ai 29 anni di età.
I giornalisti con oltre 30 mesi di iscrizione all’Ordine, assunti a termine o a tempo indeterminato, per tre anni avranno uno stipendio da redattore -30; i colleghi sotto i 30 mesi di anzianità professionale, invece, riceveranno il minimo del praticante +12 mesi aumentato del 18%. Al termine del triennio, saranno tutti regolarmente inquadrati nella qualifica del redattore +30.
In entrambi i casi, sempre per tre anni, non verrà applicato l’eventuale integrativo aziendale. Potranno utilizzare tale norma, però, solo le aziende che non hanno licenziato nessuno nell’anno precedente (a parte il licenziamento per giusta causa e l’interruzione del rapporto di lavoro per pensionamento). Inoltre, le assunzioni a tempo indeterminato non potranno coinvolgere giornalisti che abbiano già avuto contratti stabili (cioè sempre a tempo indeterminato) con lo stesso editore negli ultimi cinque anni: una previsione che mette al sicuro da qualsiasi tentazione di abuso o utilizzo “improprio” degli sconti.
Nello stesso periodo, le aziende verseranno meno contributi all’Inpgi per i nuovi assunti, ma con minori penalizzazioni rispetto ad analoghi interventi del passato anche recente per l’Istituto previdenziale, grazie all’intervento del Governo. Ed è su questo capitolo che si punta per stimolare un’occupazione stabile e duratura. Per le assunzioni a tempo indeterminato, l’aliquota a carico degli editori scende dal 22,28% al 14,28%, ma con copertura totale a carico dello Stato. Per i contratti a termine, invece, l’aliquota resta al 22,28% e lo Stato copre solo il 10,98% mentre gli editori pagano il restante 11,3%. Un modo perché la flessibilità costi di più.
Non solo. Il decreto imporrà alle aziende di stabilizzare, a fine periodo, almeno il 20% degli assunti a tempo determinato, pena la perdita e la restituzione di ogni beneficio ricevuto nei 36 mesi precedenti e il divieto di nuove assunzioni a termine per i successivi 18 mesi. A conti fatti, alle imprese potrebbe convenire molto più assumere subito a tempo indeterminato, sommando i pieni risparmi contrattuali e previdenziali, invece di avere meno sconti per tre anni e poi dover comunque trasformare almeno un quinto degli assunti a tempo indeterminato.
Accanto alle assunzioni agevolate, nel contratto viene introdotto anche l’apprendistato professionalizzante, che prevede lavoro accanto a formazione a carico degli editori, riservato ai giovani dai 18 ai 29 anni assunti come praticanti e della durata di 36 mesi. Per il periodo di praticantato, i colleghi riceveranno la retribuzione contrattuale prevista, una volta superato l’esame professionale il trattamento sarà aumentato del 10% per i primi 9 mesi e di un ulteriore 5% fino al termine del triennio, per poi ritornare alla dinamica delle normali qualifiche (redattore -30 e redattore +30).

2) AUMENTO IN BUSTA PAGA

Il rinnovo contrattuale prevede anche un aumento nelle buste paga: 120 euro mensili, che verranno corrisposti in due tranches uguali da 60 euro, in cifra fissa per tutte le qualifiche perché sotto forma di elemento distinto della retribuzione (edr). La prima tranche arriverà nelle retribuzioni di questo mese di luglio, la seconda scatterà a maggio 2015. Una boccata di ossigeno non scontata per gli stipendi dei colleghi, che andrà in proporzione a migliorare soprattutto chi guadagna meno, pur se non direttamente calcolata sui minimi contrattuali, e un aiuto importante anche all’Inpgi: se infatti l’edr non avrà effetti diretti su elementi contrattuali come straordinari, notturni o festivi, avrà invece valore sia per il calcolo del Tfr, sia per i contributi previdenziali versati all’Istituto.

3) ALIQUOTA PER AMMORTIZZATORI SOCIALI

Altre risorse destinate all’Inpgi arriveranno, come detto, dal decreto Lotti, in particolare i 25 milioni per prepensionamenti, collegati a nuove assunzioni. Ma questo non sarà sufficiente a dare vero ossigeno alle casse dell’Inpgi, che allo squilibrio palese tra uscite dal lavoro (che si traducono nel doppio danno di spese per pensioni e mancato introito per contribuzioni) e scarsissimi ingressi (a retribuzioni ben più basse) ha aggiunto in questi anni di crisi nera il costo per cigs, contratti di solidarietà e disoccupazione. Ecco perché il rinnovo contrattuale prevede un’aliquota straordinaria dell’1% a carico degli editori, che porterà il contributo per finalità sociali (in maniera specifica, gli ammortizzatori sociali) introdotto dal contratto del 2009 all’1,6% fino al 31 dicembre 2016. Una manovra da almeno 6 milioni l’anno, che si sommano ai 2 milioni previsti per lo stesso capitolo di spesa dell’Inpgi dal Fondo straordinario.
Al termine del periodo, Fnsi e Fieg decideranno a che cosa destinare l’1%, all’interno del contratto, in base alle condizioni di mercato e, ovviamente, anche ai conti dell’Istituto di previdenza.

4) COCOCO E LAVORO AUTONOMO

Una disciplina stringente sulla definizione di collaboratori coordinati e continuativi (cococo). Maggiori diritti sui contenuti del contratto, i tempi di pagamento e il diritto alla firma. I primi elementi di un welfare dedicato. E i minimi economici in base al numero di pezzi pubblicati. L’accordo sul lavoro autonomo siglato a Roma tra Fnsi e Fieg il 19 giugno è rivolto ai colleghi che possono essere definiti parasubordinati, anche se inquadrati in maniera diversa dal cococo, senza però rappresentare in nessun caso un vincolo per chi esercita la professione in maniera davvero autonoma come freelance. Una regolamentazione complessiva e ben diversa dai semplici parametri stabiliti dalla legge sull’equo compenso.

Chi sono. Hanno diritto a un contratto di collaborazione coordinata e continuativa tutti i giornalisti che scrivono almeno 12 pezzi al mese per un quotidiano, 45 l’anno per un settimanale, uno a numero per i mensili e 40 segnalazioni/informazioni (non articoli) per agenzie e web. I collaboratori non hanno vincolo di esclusiva né devono rispettare orari di lavoro, non possono partecipare all’attività della redazione e neppure accedere al sistema editoriale. Da oggi, insomma, chi ha una scrivania in redazione, un orario di lavoro e accesso al sistema editoriale potrà più facilmente dimostrare, anche di fronte a un magistrato, di essere un dipendente di fatto.
L’accordo si applica a tutti i collaboratori con i requisiti minimi di produzione di articoli, comunque inquadrati, e anche ai lavoratori autonomi, per esempio le partite Iva, che lavorino per almeno otto mesi per due anni consecutivi per lo stesso editore, guadagnando così dall’80% in su dei propri redditi.

Contratto, tempi e firma. Il contratto deve risultare da un atto scritto, con l’inizio e la durata della collaborazione, le prestazioni professionali richieste e il compenso, che deve comunque essere pagato ogni mese, insieme alla comunicazione del numero di articoli pubblicati. Il collaboratore ha il diritto a firmare i propri pezzi e a togliere la firma se l’articolo viene modificato (cosa che è sempre nelle legittime prerogative della direzione di un giornale e vale pure per i dipendenti).

Welfare. Anche i collaboratori avranno una copertura assicurativa per infortuni professionali a carico degli editori (6 euro al mese, la stessa cifra prevista per gli articoli 2 e 12). Potranno, inoltre, iscriversi al Fondo di previdenza complementare, mentre Fnsi e Fieg si impegnano a farli passare dalla gestione separata a quella principale dell’Inpgi, con il vantaggio di poter accedere a un ventaglio più ampio di istituti del welfare della categoria: mutui, prestiti, in prospettiva la disoccupazione. Entro fine aprile 2015 si valuterà infine l’iscrizione a un profilo Casagit con quota a carico degli editori.

Minimi contrattuali. Il compenso economico previsto dal contratto per i cococo parte da 3 mila euro l’anno per il numero minimo di pezzi fissato (i 144 per i quotidiani e così via). In caso di maggiore produzione di articoli dovranno essere concordati compensi aggiuntivi, tenendo conto dei parametri minimi e senza alcun riferimento a quel “riduttore” al 60% previsto dalle norme dell’equo compenso. Il doppio di articoli dovrebbe quindi significare il raddoppio anche del minimo previsto, e a seguire il triplo o il quadruplo. Con la conseguenza che, per tutti quelli, e sono tanti, finora sfruttati con compensi da 5-7 euro a pezzo, che superano i tre-quattro articoli al giorno, all’editore converrà passare a un’assunzione. Soprattutto potendo usufruire per 36 mesi di retribuzioni ridotte e delle contribuzioni previdenziali pagate dal Governo.

5) FONDO EX FISSA

Il fondo della cosiddetta “ex fissa”, alimentato dal 1985 dagli editori con l’1,5% del monte retributivo di tutti i giornalisti dipendenti, è di fatto fallito, con circa 100 milioni di debiti e oltre mille colleghi in attesa di ricevere quanto gli è dovuto. Grazie a un meccanismo squilibrato ab origine che permetteva, a chi restava per almeno 15 anni nella stessa azienda (ma bastavano anche 10 anni, se si superavano i 55 anni di età, e persino appena 3, dai 60 anni in poi) di ricevere al momento della pensione una somma pari all’indennità di mancato preavviso, fissata in un numero di mensilità differenti in base alla qualifica (dalle 7 dei redattori ordinari alle 13 dei direttori, aumentata per tutti di una mensilità al superamento dei 20 anni in azienda), calcolata in base all’ultimo stipendio. E di sommare anche due o tre ex fisse insieme.
Una cifra enormemente superiore rispetto a quanto virtualmente versato da ognuno nell’arco della propria vita lavorativa. E sostenuta di fatto dai versamenti di chi alla ex fissa non avrebbe mai avuto diritto. Il meccanismo era già in forte tensione prima del rinnovo del contratto di cinque anni fa, quando il Sindacato aveva avanzato l’ipotesi di una riforma dell’istituto che lo mettesse in equilibrio, rifiutata allora dagli editori. Dopo l’uscita di centinaia di giornalisti prepensionati degli ultimi anni, il fondo era già da parecchio tempo giunto al collasso definitivo. Come sanno, appunto, i tanti colleghi che hanno ricevuto dall’Inpgi la comunicazione di tempi di attesa per ricevere l’indennità anche di numerosi anni.
La soluzione concordata evita il fallimento vero e proprio. Per essere chiari e non usare giri di parole, la chiusura immediata del fondo ex fissa avrebbe significato che gli editori non avrebbero dovuto più versare l’1,5% sulle retribuzioni di tutti i propri giornalisti e nello stesso tempo avrebbe obbligato i colleghi, quelli in attesa e quelli che avessero invocato il diritto all’istituto contrattuale in futuro, a rivolgersi direttamente alla propria azienda. Risultato? Una forte penalizzazione per i colleghi di imprese fallite o comunque non in grado di soddisfare le richieste, mentre i soliti noti delle grandi imprese, soprattutto chi ha alti gradi e ampio potere contrattuale, avrebbero di certo avuto ragione dei propri soldi.
Questi i punti dell’accordo, con trattamenti diversi a seconda dell’attuale condizione dei colleghi:
– Chi ha il diritto pieno (15 anni in una stessa azienda e interruzione del rapporto di lavoro) e ha già fatto richiesta avrà la cifra piena con rate in un periodo indicativo di 12 annualità (più bassa è la cifra, minore sarà il tempo complessivo di rateizzazione), a partire da subito per chi è già oggi in pensione o dal momento del ritiro definitivo per gli altri;
– Chi è ancora al lavoro e compirà almeno 15 anni di anzianità aziendale entro il 31 dicembre 2014 avrà al momento della pensione una somma calcolata sulla media retributiva degli ultimi 15 anni con tetto a 65 mila euro e rateizzazione in un periodo indicativo di 15 annualità (sempre in base alla somma da ricevere);
– Chi ha tra 10 e 15 anni di anzianità aziendale avrà diritto a una cifra fissa al momento della pensione: 10 mila euro per chi ha almeno 14 anni; 8 mila euro per chi ha 13 anni; 6 mila euro per chi ha 12 anni; 4 mila euro per chi ha 11 anni; 2 mila euro per chi ha 10 anni;
– Per tutti quelli che hanno meno di 15 anni, è previsto da un subito un contributo aggiuntivo per la previdenza complementare dello 0,25%, che diventerà dello 0,5% nel 2026. Quando il fondo ex fissa sarà liquidato definitivamente, si stabilirà la destinazione del restante 1%;
– L’indennità di mancato preavviso nel caso di risoluzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato viene infine definita in 8 mesi per tutti: ci guadagnano i redattori ordinari (che prendevano 7 mensilità), ci perdono le qualifiche superiori a quella di caposervizio (che già era a quota 8 mesi).
Per far fronte alle somme da liquidare, quelle attuali e quelle future, gli editori ricorreranno infine anche a un prestito di 35 milioni di euro da parte dell’Inpgi, con un ulteriore impegno finanziario a proprio carico per tutto il tempo necessario al completo superamento della ex fissa.
La soluzione trovata nel rinnovo contrattuale evita dunque il fallimento del fondo ex fissa, ma richiede sacrifici e passi indietro da parte di tutti, per dare qualcosa a ognuno. Anche io personalmente pagherò un prezzo elevato, ma necessario. L’ho già scritto e lo ripeto ora: dopo 28 anni di contratti di lavoro, non ho mai raggiunto i 15 anni consecutivi in un’azienda. A fine dicembre 2014, limite massimo per calcolare il diritto o meno alla ex fissa pur ridotta (ma comunque fino a 65 mila euro), avrò 14 anni e 9 mesi di anzianità aziendale, con qualifica da caporedattore, in un gruppo che avrebbe finito per pagare soprattutto i più forti (magari dichiarando in altre aree qualche decina di esuberi in più): ebbene, prenderò 10 mila euro al momento di andare in pensione, tra una quindicina d’anni, e nel frattempo lo 0,25% (poi 0,5%) nel fondo di previdenza complementare. Come migliaia di altri colleghi. E sono convinta che questo sia comunque meglio di pensare di lasciare tutti nel far west delle richieste individuali e delle decisioni della magistratura.

IL FONDO STRAORDINARIO E IL DECRETO LOTTI

Le linee guida che saranno alla base del decreto di ripartizione delle risorse del Fondo straordinario triennale istituito dalla legge di stabilità 2014 nello scorso dicembre sono contenute nel protocollo siglato il 25 giugno a Palazzo Chigi, direttamente correlate alle innovazioni contrattuali.
Per il 2014 sono previsti impegni di spesa per 45 milioni. Oltre agli sgravi previdenziali per le aziende che assumono, del valore di circa 11 milioni, e ai 2 milioni per gli ammortizzatori sociali, 25 milioni saranno stanziati per i prepensionamenti, che prevedono l’assunzione contestuale di un giovane giornalista ogni tre che escono in ritiro anticipato. Assunzioni che non godranno degli sgravi contributivi previsti per gli altri ingressi nelle redazioni. Non solo: il decreto prevederà anche il divieto di collaborazione (con qualsiasi tipologia di contratto: cococo, partita Iva, diritto d’autore) dei prepensionati con le aziende da cui escono e con tutte quelle del medesimo gruppo editoriale. E le imprese che utilizzano uno qualsiasi dei benefici del Fondo non potranno lanciare piani di stock option o stanziare bonus per i manager collegati alla riduzione degli organici e al taglio del costo del lavoro. Nel caso di violazioni, la sanzione sarà la perdita di tutti i soldi pubblici ricevuti e, per l’obbligo di stabilizzazione del 20% dei contratti a termine, come detto, anche l’impossibilità per 18 mesi di fare nuove assunzioni a tempo determinato.
I restanti oltre 7 milioni saranno infine destinati a sostenere la nascita di start-up e i progetti innovativi nelle piccole e medie imprese editoriali, attraverso lo strumento della garanzia per l’accesso al credito.

COERENZA SENZA DEMAGOGIA

Sono questi tutti gli elementi del rinnovo contrattuale. Elementi che vanno considerati insieme, non in maniera singola e separata. Comprese le misure del decreto Lotti. Perché non avremmo avuto questo provvedimento, senza accordo tra Fnsi e Fieg su tutte le voci del contratto, lavoro autonomo compreso. Il decreto per la destinazione delle risorse del Fondo triennale straordinario ci sarebbe comunque stato, certo. Ma con norme diverse, equilibri differenti tra le diverse voci di spesa, sicuramente investimenti ridotti o nulli sul fronte degli sgravi previdenziali e del sostegno agli ammortizzatori sociali per l’Inpgi, e in definitiva soprattutto privi dell’efficacia congiunta con le previsioni contrattuali per stimolare la nuova occupazione. C’è chi ha invocato questo, cioè non fare nulla e lasciare al governo di fare un decreto non concordato nelle sue linee, e protesta oggi, pensando che si sarebbe salvato qualcosa d’altro, per esempio la ex fissa. Purtroppo, non era e non è così.
C’è anche chi ha definito questo accordo un contratto ponte. Neppure questo è esatto. Il rinnovo contrattuale è pieno seppur limitato a pochi istituti e articoli. Perché è quello che si poteva e si doveva fare, in questo momento. È un rinnovo figlio delle difficoltà profonde che attraversano la nostra professione, il settore dell’informazione e il welfare della nostra categoria, così come dello scenario, anche politico e giuridico, complesso e in qualche modo “ostile” in cui abbiamo dovuto condurre le trattative. Nessun accordo, in tali condizioni, sarebbe mai potuto essere completamente soddisfacente. Ma un accordo, in tali condizioni, era necessario, essenziale e non rinviabile, per la tenuta del sistema e della professione.
Io avrei voluto e ho lavorato e insistito molto, per esempio, perché questo fosse il contratto della svolta verso la multimedialità, le nuove organizzazioni del lavoro e le nuove figure professionali. Così non è stato, per molte ragioni. Ma questo non mi ha impedito di mettere la mia firma, come componente della Giunta federale, sotto l’intesa raggiunta all’alba del 24 giugno. E di essere pronta ora, con coerenza e senza demagogia, a spiegare e motivare le scelte mie e della maggioranza della Fnsi, in qualsiasi modo, occasione e mezzo, di fronte ai colleghi.

Daniela Stigliano
Vicesegretario nazionale Fnsi

I commenti sono chiusi.