Assolto il giornalista calabrese a cui il magistrato chiese 100mila euro di risarcimento

Claudio Cordova non diffamò il giudice Mollace

Claudio Cordova

Claudio Cordova

Francesco Mollace

COSENZA – Il giornalista Claudio Cordova, trentenne pubblicista reggino, è stato assolto perché “il fatto non sussiste” dall’accusa di aver diffamato il magistrato Francesco Mollace, per anni in servizio nel distretto giudiziario di Reggio Calabria e oggi sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma. Il Tribunale Monocratico di Cosenza, presieduto da Francesca De Vuono, lo ha infatti assolto con formula piena: lo stesso pubblico ministero, Giuseppe Cozzolino, aveva richiesto l’assoluzione perché l’articolo contestato rispettava i tre capisaldi su cui si fonda il diritto di cronaca. Verità, continenza e interesse pubblico.
Cordova – che attualmente dirige il giornale on line il Dispaccio –  rispondeva di un articolo pubblicato nel settembre 2012 su “Il Quotidiano della Calabria”, testata giornalistica per cui Cordova lavorava in quegli anni. In quel testo, si dava conto delle risultanze dell’inchiesta “Assenzio-Sistema”, che alcune settimane prima aveva scoperchiato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella grande distribuzione di Reggio Calabria.
Tra le carte dell’inchiesta, vi erano anche le intercettazioni ambientali di uno degli indagati (e oggi imputato nel procedimento condotto dalla Dda reggina), Giuseppe Crocè: questi, titolare di alcuni supermercati in città, raccontava ai propri interlocutori di aver assunto il figlio dell’autista di Mollace, proprio su segnalazione del magistrato. Una circostanza che, visto il coinvolgimento di Crocè in fatti di ‘ndrangheta, per il giornalista Cordova e per “Il Quotidiano della Calabria” era stata considerata una notizia di interesse pubblico per i cittadini. Cordova aveva riportato correttamente le conversazioni captate e dato conto del fatto che tali elementi erano stati trasferiti dalla Dda di Reggio Calabria alla Procura di Catanzaro, competente per i fatti che riguardano i magistrati reggini. Circostanza, anch’essa, corrispondente al vero. Nonostante ciò, la querela di Mollace.
Già in fase d’indagine, d’altra parte, la Procura di Cosenza aveva avanzato richiesta di archiviazione, non ritenendo che l’articolo fosse lesivo dell’immagine del magistrato. Questi, tuttavia, opponendosi alla richiesta di archiviazione, aveva ottenuto l’imputazione coatta di Cordova e del direttore responsabile Emanuale Giacoia.
Nel corso del processo, Mollace si è costituito parte civile richiedendo al giornalista Cordova 100mila euro a titolo di risarcimento del danno. Un dibattimento lungo in cui Cordova, assistito dagli avvocati Giovanna Cusumano e Rosa Maria Messina del Foro di Reggio Calabria, ha dimostrato in maniera documentale come ogni passaggio del suo articolo fosse suffragato da solidi elementi.
In particolare, l’avvocato Cusumano ha smontato, sia in fatto che in diritto, quanto sostenuto dalla parte civile, richiamando nella propria arringa difensiva la giurisprudenza a difesa della libertà di stampa, soprattutto quando il soggetto dell’attività giornalista è un “homo publicus”, come nel caso del magistrato Mollace.
Lo stesso pubblico ministero Cozzolino, tuttavia, aveva richiesto l’assoluzione di Cordova (e di conseguenza anche del direttore Giacoia). La difesa di Mollace, a questo punto, aveva chiesto al rappresentante dell’accusa di modificare il capo d’imputazione, inserendo anche un altro articolo ritenuto diffamatorio. Richiesta non accolta dall’Ufficio di Procura, che invece ha insistito per l’assoluzione. Un’assoluzione, disposta dal giudice Francesca De Vuono, che ha prosciolto Cordova “perché il fatto non sussiste”.
Così si è concluso un procedimento che già per l’accusa non sarebbe mai dovuto iniziare, ma che ha costretto Cordova, giornalista residente a Reggio Calabria, a difendersi per diversi mesi davanti al Tribunale di Cosenza: “Si tratta di una sentenza che restituisce giustizia, non solo a me, ma anche al giornalismo”, commenta Claudio Cordova, per il quale “la sentenza della dottoressa De Vuono ha il sapore di una battaglia di civiltà vinta per l’intera categoria: chiedere di punire un cronista per aver svolto il proprio lavoro, richiedendo peraltro ben 100mila euro come risarcimento, è qualcosa che avrebbe creato un drammatico precedente per la libertà di stampa in un territorio, quello calabrese, che invece ne ha tantissimo bisogno”.
Parole, quelle del giornalista reggino, che si rifanno a quelle più volte pronunciate da Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Federazione nazionale della stampa italiana e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria: “Il caso che ha visto protagonista Claudio Cordova è, purtroppo, l’ennesimo sul fronte della querela temeraria utilizzata per intimidire il giornalista. Che spesso, spaventato davanti a richieste risarcitorie spropositate, specie per chi racimola a fatica uno stipendio, quando ce l’ha, rinuncia a vedere riconosciuti diritti e verità”.
“Stavolta il cronista è andato sino in fondo – sottolinea Parisi – e ha avuto giustizia. Vince, certo, la libertà di stampa, ma soprattutto vincono quei valori per cui il Sindacato Giornalisti si batte quotidianamente, specie in terre indubbiamente difficili come la Calabria: il coraggio di andare avanti se si è nel giusto, il rispetto per la verità dei fatti e la dignità professionale. Se il giornalista sbaglia, paga. Come vuole la legge. Se il giornalista ha fatto semplicemente il proprio mestiere, non deve farsi intimidire, ma, con il supporto degli organismi di categoria, deve pretendere la verità. Senza paura, né indietreggiare, perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, non è solo”. (giornalistitalia.it)

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