COSENZA – Arriverà finalmente l’ora della giustizia e della legalità per tutti i giornalisti travolti dall’orrenda censura ai danni dell’Ora della Calabria e poi dalla chiusura della testata in circostanze mai chiarite?
Se lo dovrebbero chiedere in tanti specialmente dopo la condanna, pochi giorni fa, di Piero Citrigno e dei suoi soci nell’avventura editoriale di Calabria Ora per bancarotta preferenziale.
A quella testata nell’estate 2013 se ne sostituì un’altra, L’Ora della Calabria, che aveva un logo dei medesimi colori (scritta nera, con identico lettering, su fondo giallo) e nome volutamente molto molto simile (tanto che ancora oggi vengono confusi), con a capo lo stesso direttore, Piero Sansonetti, una casa editrice, Gruppo Editoriale C&C, apparentemente nuova (la prima si chiamava C&C) ma guidata dal giovane Alfredo Citrigno, figlio dell’editore precedente (identica famiglia), stampata dallo stesso stampatore, Umberto De Rose, che nella medesima modalità del passato fatturava importi cospicui con tariffe non certo contenute rispetto agli standard di mercato, ma senza mai pretendere il dovuto, accumulando così ingenti crediti, nel tempo.
Ebbene: proprio in questa svolta che sa, invece, tanto di continuità vanno ricercate quelle contraddizioni e quei lati oscuri alla base del tragico epilogo dell’Oragate che ho condiviso con la redazione, quale direttore dell’Ora della Calabria succeduto a Piero Sansonetti il 23 dicembre 2013, con la messa in liquidazione del Gruppo editoriale C&C, la cessazione delle pubblicazioni e poi l’oscuramento del sito, in un’escalation di bavagli, divampata tra il marzo e l’aprile 2013.
La voce più ingente del passivo societario nel caso dell’Ora della Calabria, come in quello di Calabria Ora era sempre il pagamento mai onorato della stampa, per un totale che si aggirava, se non erro, attorno agli 800 mila euro.
De Rose, protagonista dell’oramai arcinota telefonata con cui, in termini assai coloriti, intimava la notte tra il 18 e il 19 febbraio 2014 ad Alfredo Citrigno di convincermi a togliere dal giornale la notizia dell’apertura di un’indagine a carico di Andrea Gentile, figlio di Tonino, senatore cosentino di Ncd, nonché sottosegretario allo sviluppo economico, non aveva mai sollecitato il saldo. Ma, improvvisamente, quando, dopo che per un “guasto alle rotative” mai avvenuto, come verrà poi dimostrato dalle perizia disposta dalla Procura di Cosenza, l’Ora della Calabria quella notte non fu stampata e non andò quindi in edicola, noi della redazione denunciammo le pressioni ricevute e le intimidazioni telefoniche (“lo sai poi com’è il cinghiale, quand’è ferito poi ammazza tutti”), lo stampatore con una lettera diktat, dai toni minacciosi, rivendicò l’immediato pagamento dell’ammontare accumulato in circa sei mesi, altrimenti avrebbe provocato il fallimento dell’azienda.
È bene ricordare che i Citrigno in quel frangente non potevano “ricapitalizzare” perché su gran parte del loro patrimonio gravava un sequestro giudiziario disposto dalla Direzione Antimafia. Di lì a breve, quindi, fu nominato un liquidatore, Giuseppe Bilotta, già commercialista di Piero Citrigno, e un legale del Gruppo Editoriale C&C, Ugo Celestino, anch’egli già avvocato della famiglia Citrigno, nella solita… continuità.
Passato un mese circa, Bilotta cercò di dimostrare che l’unico acquirente della casa editrice poteva essere De Rose, che nel frattempo aveva misteriosamente tacitato le sue pretese e mi mandava attraverso vari messi profferte a non ostacolare l’evoluzione. Ma quando proclamammo lo sciopero e denunciammo l’avvenuto, intollerabile “accorduni”, il 18 aprile 2014, furono sospese le pubblicazioni e poi a fine mese, oscurato per sempre il sito della testata, anche se la voce di noi giornalisti rimasti nella redazione occupata per oltre tre mesi, non fu tacitata grazie all’apertura di un nostro blog.
Con il costante e risoluto appoggio di Carlo Parisi, segretario generale aggiunto Fnsi e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, riuscimmo a ottenere l’apertura di un tavolo davanti al Prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao, ma persino lì Bilotta eludeva ogni impegno ammettendo “candidamente” che prima di tutto doveva chiedere autorizzazione ai Citrigno. Fu per ossequio a questi ultimi che cambiò persino la serratura della redazione per far finire la nostra occupazione, senza neppure permetterci di svuotare la memoria dei nostri computer o prendere le nostre carte.
In realtà i proprietari di una società in liquidazione non hanno alcuna voce in capitolo secondo la legge. E, sempre secondo legalità, non è ammissibile che il Gruppo Editoriale C&C da quasi 4 anni sia ancora in liquidazione e non ne sia stato ancora dichiarato il fallimento, mentre non totalizza alcun credito, né ha mai onorato alcun debito, tanto meno con noi giornalisti e lavoratori, nonostante lo sblocco dei beni nel frattempo ottenuto dai Citrigno in sede giudiziaria.
Queste ed altre oscurità furono da me personalmente segnalate anche alla Commissione Antimafia, durante un’audizione a Reggio Calabria, agli sgoccioli della primavera 2014. In quella seduta, l’onorevole Enza Bruno Bossio, amica di vecchia data di Piero Citrigno, il cui marito Nicola Adamo, nelle sue più recenti grane giudiziare è stato difeso dal medesimo avvocato Ugo Celestino, cercò continuamente di sminuire ogni mia “denuncia”: il giornale, ribadiva lei, era stato chiuso solo per la mancanza di liquidità e non come conseguenza dell’Oragate.
Da allora in poi i miei successivi appelli alla Commissione Antimafia, in cui lei si erge quale referente per la zona cosentina, non hanno mai ricevuto alcuna risposta. Di lì a breve sarebbe nato Il Garantista diretto da Sansonetti, che mentre era alla guida dell’Ora della Calabria, dirigeva anche Gli altri, ben poco fortunato settimanale radical chic stampato sempre da De Rose, senza sollecitare il pagamento dei corrispettivi.
Ebbene, dopo un paio di mesi, spentosi un po’ il clamore sull’Oragate, Sansonetti si rivolse a De Rose per la stampa del “nuovo” quotidiano. L’edicola, però, per Il Garantista non diede i risultati sperati e quindi ne fu disposta la chiusura. La testata rientrava fra quelle beneficianti del contributo pubblico e di quest’ultimo, poi, la maggior parte è andata allo stampatore, mentre i giornalisti, molti dei quali ex Ora della Calabria, come al solito vittime dei soliti accorduni, non hanno avuto nulla.
Esattamente come quelli di noi colleghi rimasti intrappolati nell’asfittica e infinita liquidazione del Gruppo editoriale C&C che si continua a trascinare da quasi un quadriennio senza che le autorità competenti intevengano per farne dichiarare il fallimento e avviare quindi le misure a garanzia dei crediti accumulati dai lavoratori.
Per De Rose, dopo la chiusura del Garantista, sarebbe cominciata una nuova avventura con le “Cronache delle Calabrie”, stampata sempre nel suo stabilimento di Montalto Uffugo. Il mancato fallimento dell’Ora della Calabria, ancor più dopo la recente sentenza sulla bancarotta di Calabria Ora, presenta dei risvolti a dir poco inquietanti, specie per la quiescenza in cui si consuma. Tanto più che lo stesso de Rose, rinviato a giudizio per tentata violenza privata in seguito all’Oragate, è sotto processo da quattro anni, un processo cominciato con forte ritardo a seguito di una catena di notifiche “errate” e altri curiosi intoppi procedurali che hanno contribuito a rendere sempre più palpabile lo spettro della prescrizione.
Va aggiunto che nel frattempo, un mese fa, è arrivata a Catanzaro la condanna di De Rose a un anno e otto mesi per abuso d’ufficio in merito agli incarichi lavorativi che conferì a entrambi i figli del senatore Gentile, Lory e Andrea, mentre era presidente di Fincalabra.
Un altro “signali,” per usare la sua stessa terminologia, della forte amicizia tra lo stampatore e Tonino Gentile, in nome e per conto del quale parlò nell’agghiacciante telefonata del “cinghiale ferito”.
Gentile gridò alla montatura mediatica, ma non l’ha mai denunciato per diffamazione per aver invano usato il suo nome in quelle minacce e in più nel giorno dell’Oragate ci furono oltre 20 chiamate tra i cellulari del senatore e di De Rose, che, per altro, nella registrazione, è al corrente praticamente in tempo reale della conversazione telefonica e persino dei precedenti tentativi di chiamata tra Andrea Gentile e Alfredo Citrigno. Ecco un’altra di quelle nebbiose “vicinanze” che gravano sulla palude stagnante che costipa un po’ tutta l’editoria calabrese…
Nel silenzio generale, poi, Tonino Gentile che si era dovuto dimettere da sottosegretario alle infrastrutture per il clamore mediatico scaturito dall’Oragate è stato rinominato sottosegretario, sempre da Matteo Renzi, ma allo sviluppo economico, il figlio è stato prosciolto dall’accusa di tentata violenza privata per il caso dell’Oragate e anche da quelle per le cosiddette “consulenze d’oro” nell’indagine di cui si voleva dare notizia la notte della censura, e su indicazione del ministro alla salute Beatrice Lorenzin ha ricevuto l’incarico di consigliere d’amministrazione dell’Istituto dei Tumori di Milano.
Tutto è bene quel che finisce bene insomma per tutti, salvo che per i giornalisti dell’Ora della Calabria. Doveroso, quindi, ribadire l’interrogativo dell’incipit: arriverà finalmente per noi l’ora della giustizia? (giornalistitalia.it)
Luciano Regolo