Comune di Catania condannato per la dequalificazione del Capo Ufficio Stampa

Giornalista demansionato: giustizia è fatta

Il sindaco di Catania Enzo Bianco e il Capo Ufficio Stampa Nuccio Molino

Il sindaco di Catania Enzo Bianco e il Capo Ufficio Stampa Nuccio Molino

CATANIA – Trasferire il Capo Ufficio Stampa di un Ente pubblico o relegarlo all’inattività produce demansionamento e illegittima dequalificazione professionale del lavoratore, una condotta illecita da cui consegue la reintegra del giornalista nelle legittime funzioni corrispondenti alla qualifica posseduta di redattore capo e la quantificazione di un congruo risarcimento danni.
È la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Catania, Caterina Musumeci, che ha ritenuto «provato, tenuto conto del periodo di 29 mesi – dal 24 luglio 2013 al 31 dicembre 2015 data di deposito del ricorso – il demansionamento, la mortificazione sul piano professionale e la volontaria marginalizzazione e allontanamento dal settore strategico dell’Ufficio Stampa» del giornalista Sebastiano “Nuccio” Molino, posta in essere a suo danno dal datore di lavoro, il Comune di Catania, di cui Molino ha diretto l’Ufficio Stampa fin dal marzo 2003.
La causa era stata intentata dal giornalista poiché lo stesso Molino, dal luglio 2013, era stato lasciato in uno stato di forzata inattività dall’amministrazione comunale appena insediata e trasferito in altri uffici, senza che gli venisse consentito l’esercizio della professione giornalistica e i relativi compiti di direzione e coordinamento.
«Va evidenziato – scrive il giudice – che il Comune di Catania non ha assolto all’onere di provare la destinazione del ricorrente allo svolgimento di mansioni pienamente confacenti alla categoria di inquadramento e che la condotta del datore di lavoro in condizione di inattività il dipendente è lesiva del fondamentale diritto al lavoro come mezzo di estrinsecazione della personalità del cittadino»

Il Comune di Catania

Il Comune di Catania

Sulla richiesta di risarcimento dei danni il giudice del Tribunale etneo ha acclarato la lesione per dequalificazione professione e demansionamento stabilendo il valore pecuniario, per un periodo pari al 50% dello stipendio e per altre fasi temporali al 30% della retribuzione comprensivo delle indennità di posizione.
Quanto, invece, al danno biologico, esistenziale, morale e d’immagine il giudice «stante la prova della condotta illecita del datore di lavoro e di sufficienti elementi di prova in ordine alla patologia sofferta dal ricorrente al fine di accertare la ricorrenza della stessa (e l’eventuale menomazione permanente dell’integrità psico-fisica) e la sua riconducibilità alla condotta datoriale come sopra accertata, rimette la causa in istruttoria», stabilendo la nomina di due consulenti medico-legali.
Sull’illegittimo demansionamento e i trasferimenti illeciti dall’Ufficio Stampa di Molino, la Procura del Tribunale penale di Catania nei mesi scorsi ha iscritto nel registro degli indagati per concorso in abuso d’ufficio quattro dirigenti comunali e il sindaco di Catania Enzo Bianco, quest’ultimo, per l’accusa di “concorrente morale nella veste di istigatore del disegno criminoso volto all’effettivo demansionamento e all’allontanamento di Sebastiano Molino dall’ufficio stampa del Comune”.
“La sentenza del Tribunale di Catania – commenta il segretario generale aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi – rende giustizia al giornalista Nuccio Molino ed a tutti i lavoratori vittime di demansionamento che, nel subire la riduzione o l’azzeramento delle loro funzioni, vedono mortificata la propria dignità umana e professionale. Ed è davvero triste che ciò avvenga in un Comune amministrato da un ex ministro dell’Interno che dovrebbe, invece, tenere sempre alta la bandiera della legalità, della giustizia e della dignità dei lavoratori”.
“La sentenza del Tribunale Civile di Catania ed il procedimento avviato dalla Procura dello stesso capoluogo etneo – sottolinea Parisi – servano da monito a quanti nel mondo del lavoro, pubblico e privato, calpestano la dignità dei lavoratori, ma soprattutto siano da sprone a quanti, costretti a subire le angherie dei datori di lavoro, esitano a denunciare i propri aguzzini. C’è sempre un giudice a Berlino. Basta crederci e non abbassare la testa”. (giornalistitalia.it)

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