Sequestrati beni per 2,5 milioni a “Buongiorno Campania”. Giornalisti ignari o ricattati

Quotidiano nei guai: falsa coop per i contributi

Guardia di Finanzabuongiorno-campaniaSANTA MARIA CAPUA VETERE (Caserta) – Ha percepito contributi pubblici per l’editoria indebitamente perché, secondo le indagini della Guardia di Finanza, la cooperativa era tale solo sulla carta. Per questo il Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso un decreto di sequestro beni per un valore complessivo superiore ai 2,5 milioni di euro nei confronti della “Dossier Società Cooperativa Giornalistica”, a responsabilità limitata, nonché dell’amministratore di fatto Pasquale Piccirillo e dei rappresentanti legali pro tempore della cooperativa, Antonio Sollazzo e Caterina Maria Bagnardi.
È stato il quotidiano “Buongiorno Campania”, che dal 2008 aveva anche una edizione di Terra di Lavoro con “Buongiorno Caserta” e una nata in precedenza nel’Avellinese “Buongiorno Irpinia”, a beneficiare dell’illecita percezione dei contributi per l’editoria attraverso la cooperativa “Dossier”. La società, che aveva prima sede legale e operativa a Caserta e poi Taranto, secondo l’inchiesta coordinata dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, avrebbe adottato una condotta artificiosa per ottenere i finanziamenti.
Il provvedimento chiude una inchiesta dalle Fiamme gialle tarantine in collaborazione con quelle casertane che riguarda i finanziamenti previsti a garanzia del pluralismo dell’informazione, per le annualità 2009, 2010 e 2011 assegnati a “Dossier”.
La normativa prevede che, per questi contributi, le cooperative devono avere come soci almeno il 50% dei giornalisti dipendenti con contratto nazionale di lavoro di settore e con la clausola di esclusiva. Invece, nel caso di “Dossier”, seppure nella compagine societaria figuravano giornalisti dipendenti con contratto di esclusiva per oltre la metà del corpo redazionale, in molti, sentiti come persone informate dei fatti, hanno escluso di essere soci reali della cooperativa; la loro associazione alla cooperativa, sostengono, era solo fittizia e imposta dall’editore. Infatti, non avevano versato alcuna quota associativa, né avevano avuto il rimborso al momento del licenziamento, pur avendo firmato documenti precompilati e privi di data sotto la minaccia di perdita del posto di lavoro. Alcuni hanno dichiarato di non essere nemmeno al corrente della loro qualità di socio, appresa solo dopo il licenziamento. L’ipotesi di reato su cui si indaga è quella di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. (Agi)

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