Audizione dei procuratori di Roma e Milano alla Commissione Giustizia del Senato

“Preoccupa la nostalgia di bavagli e censure”

Raffaele Lorusso

Raffaele Lorusso

Edmondo Bruti Liberati

Edmondo Bruti Liberati

ROMA – Rendere pubblicabili le ordinanze con le quali si mette fine a un’indagine, non invece tutti gli altri atti che vengono depositati per essere messi a disposizione della difesa. E sanzioni pecuniarie preferibilmente per gli editori o per i giornalisti che violano le regole, per i quali va comunque esclusa la misura del carcere. È la proposta dei procuratori di Roma e di Milano, Giuseppe Pignatone e Edmondo Bruti Liberati, ascoltati dalla Commissione Giustizia del Senato sulla riforma delle intercettazioni.
Secondo i due procuratori nelle attuali condizioni è impossibile garantire il segreto su atti delle indagini che non possono essere pubblicati e che pure finiscono sui giornali, come le intercettazioni che non vengono nemmeno inserite nell’ordinanza ma che sono messe a disposizione delle difesa. Nel senso che è “illusorio” immaginare, come ha detto Pignatone, di poter identificare chi passa ai giornalisti quelle carte che in un processo medio sono date “legittimamente a 150-200 persone”.
Per questo la strada da seguire è un’altra: “va limitato drasticamente quello che si può pubblicare”, ha spiegato il procuratore di Roma. Bisogna “fare una nettissima distinzione tra l’atto giudiziario che conclude l’indagine con un provvedimento cautelare in senso lato”, che “deve essere totalmente conoscibile e pubblicabile”, e “il materiale sottostante” che deve continuare ad essere messo a disposizione delle parti ma dovrebbe non essere pubblicabile. Così si ridurrebbero in maniera notevolissima i problemi di cui tutti ci lamentiamo”, ha aggiunto Pignatone. Consonanza piena da parte di Bruti Liberati.
“Non c’è ragione che l’ordinanza del gip non sia pubblicabile e messa a disposizione di tutti i giornalisti con parità di trattamento” ha detto, evidenziando che con l’informazione si esercita il “controllo democratico” sull’amministrazione della giustizia. Mentre escludere dalle ordinanze le intercettazioni, sostituendole con una ricostruzione per riassunto del loro contenuto, non è affatto una soluzione, tutt’altro: “peggiora la situazione”, come pure è deprecabile, per i rischi di “fraintendimenti”, “la rappresentazione scenica in Tv”. (Ansa)
Sulla vicenda interviene il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, secondo il quale “le proposte dei procuratori di Roma e Milano sono preoccupanti perché rivelano, ci auguriamo inconsciamente, la nostalgia di bavagli e censure che credevamo appartenere ad un’epoca storica nefasta. Ipotizzare di regolare una materia così complessa e delicata evocando sanzioni pecuniarie per i giornali e i giornalisti significa perdere di vista il dettato Costituzionale”.
“La pubblicazione di notizie, anche coperte da segreto, non può mai – secondo Lorusso – costituire un reato e neanche un illecito perché soddisfa un interesse generale: quello dei cittadini ad essere correttamente informati. Chi non lo avesse ancora capito, o più semplicemente, lo avesse dimenticato, farebbe bene a rileggere le sentenze pronunciate negli ultimi anni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”.
A giudizio del segretario della Fnsi, “i giornalisti hanno il dovere di pubblicare le notizie di cui vengono a conoscenza, anche se scomode. Né può essere addebitata ai giornalisti la pubblicazione di notizie che sarebbero dovute restare segrete. Eventuali violazioni di legge andrebbero addebitate a chi quelle notizie avrebbe dovuto tenere segrete né si può pensare a ulteriori forme di censura. Si tratta di tentativi pericolosi che, purtroppo, si inseriscono nella tendenza, sempre più diffusa a livello europeo, a limitare la libertà di espressione e il diritto di cronaca”.
“È un pericolo che il sindacato dei giornalisti italiani, insieme con le altre associazioni sindacali europee, a cominciare dai sindacati di Francia e Spagna, avverte e contro il quale – conclude Lorusso – auspica una mobilitazione insieme con le altre forze sociali e con l’opinione pubblica. Nessuno invoca il libero arbitrio per i giornalisti. Va, comunque, ricordato che i giornalisti non hanno libero accesso alle ordinanze dei giudici, come invece è stato detto dai procuratori, e questa può essere l’occasione per regolare tale accesso. Fermo restando che gli abusi vanno sempre perseguiti e sanzionati, soprattutto in sede disciplinare, i bavagli e le censure segnerebbero il ritorno ad un passato di cui non si avverte alcuna nostalgia”.

 

 

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