Ad annunciane la morte i colleghi Marco Damilano, Lirio Abbate e Alessandro Gilioli

Addio al giornalista Stefano Livadiotti, 59 anni

Stefano Livadiotti

ROMA – Lutto nel mondo del giornalismo d’inchiesta. È morto Stefano Livadiotti. Nato a Roma il 26 dicembre 1958, era giornalista professionista iscritto all’Ordine del Lazio dal 13 luglio 1984. Ad annunciarne la scomparsa, con un editoriale firmato da Marco Damilano, Lirio Abbate e Alessandro Gilioli, è stato L’Espresso, il giornale per il quale lavorava da oltre trent’anni. Giornalista d’inchiesta, aveva scritto, tra l’atro, “L’altra casta. L’inchiesta sul sindacato” (2008), “Magistrati. L’ultracasta” (2009) ed “I senza Dio. L’inchiesta sul Vaticano” (2011), tutti editi da Bompiani.
«Qualche settimana fa, in un momento importante e delicato del giornale, – ricordano i colleghi de L’Espresso – lo abbiamo chiamato quando stava facendo notte perché avevamo bisogno di lui, della sua saggezza, e lui è arrivato, nonostante l’ora tarda e la malattia. In abito scuro e con una bellissima cravatta color senape, elegante come sempre. Era un uomo elegante, spiritoso, corrosivo, Stefano Livadiotti. Era dunque nato per essere giornalista dell’Espresso. Del nostro giornale condivideva il dna, le virtù e i vizi, la passione per la verità, la scrittura acuminata, il gusto di rompere le scatole al potente di turno.
Non aveva paura, Stefano. Non aveva mai paura di scrivere quello che pensava o che scopriva, non aveva paura dei potenti e – alla fine – non aveva avuto paura nemmeno della malattia. Era così: sfrontato, indomito, senza inchini, né timidezze, né prudenze. Indifferente alle conseguenze che poteva avere su di lui quello che aveva scoperto e scritto, perché scoprire e scrivere dava il senso alla sua vita più di qualsiasi encomio o vantaggio personale. Un giornalista verticale, un uomo verticale.
Privo di schemi ideologici, non considerava nessuno intoccabile, specie rara tra chi si occupa di economia e di poteri economici. Per L’Espresso ha scritto centinaia – forse migliaia – di inchieste, ritratti, interviste, analisi economiche, quasi sempre finiva per dare fastidio a qualcuno. Si raccontava anni fa che un presidente di Confindustria fosse impazzito per scoprire le fonti dei suoi articoli. Ogni volta che pensava di aver interrotto i canali di informazione, Stefano tornava in pagina, con un documento esclusivo, una indiscrezione, una battuta feroce: tutto quel che ci voleva per rovinare la giornata all’interessato.
Ha raccontato l’evaporare dei poteri forti di questi anni: imprenditori, banchieri, boiardi. Uomo di sinistra, non aveva avuto paura di scrivere un libro sulle incrostazioni dei sindacati. Uomo di legalità, aveva scritto un best seller sulla casta dei magistrati. E di altrettanto successo erano stati i suoi libri-inchiesta sugli evasori fiscali e sui privilegi del Vaticano: tutti temi che aveva affrontato mescolando uno straordinario lavoro di documentazione e verifica a una penna fluida che lasciava il segno per efficacia polemica. È questa l’essenza del nostro mestiere: pubblicare qualcosa che qualcuno non vorrebbe venisse pubblicato. Stefano la interpretava al meglio, senza sconti per nessuno, quale che fosse il suo partito, la sua cordata, il suo potere.
«Il giornalismo è notizia, Zavalita, mettitelo in mente. Io morirò nella cronaca e basta», afferma un vecchio della redazione nella prima pagina di Conversazioni nella Cattedrale di Mario Vargas Llosa. Stefano è morto sabato notte. Ci ha dato l’esempio di come si combatte una battaglia durissima e dolorosa, con coraggio, senza perdere il buon umore, in una trincea in cui parava e sparava colpi ogni giorno, proprio come viveva la sua vocazione giornalistica: da combattente indomito. Aveva 60 anni, li avrebbe compiuti il giorno dopo Natale. Prima delle vacanze era venuto in redazione a fare programmi, a decidere insieme cosa e come fare l’anno prossimo. Era così, Stefano, ed è così che gli vogliamo bene. L’Espresso – giornalisti, collaboratori, amici, lettori – si stringe alla sua famiglia. E resterà la sua casa».

 

Un commento

  1. Un grande professionista come lui ci mancherà.

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