Il calabrese Antonio Papaleo vive nascosto ad Hong Kong: “L’Italia non mi aiuta”

Giornalista minacciato dalla malavita slovacca

Antonio Papaleo

Antonio Papaleo

La Voce della SlovacchiaNAPOLI – “Sono in pericolo, temo per la mia vita. Ho chiesto aiuto alle autorità italiane, ma senza alcun riscontro”. E’ scosso e arrabbiato Antonio Papaleo, il giornalista italiano nascosto da circa un anno a causa delle minacce di esponenti del malaffare slovacco di cui ha rivelato i traffici illegali di riciclaggio di denaro.
Il quarantaduenne, originario di Cosenza, da circa due mesi è protetto dalle autorità di Hong Kong dove al momento vive sotto identità segreta, e da dove lancia il suo appello attraverso il quotidiano napoletano online Retenews24.
Papaleo, trasferitosi nel 2005 dalla Calabria alla Slovacchia dove è direttore del giornale La Voce della Slovacchia, nel 2012 ha cominciato a stabilire contatti con la criminalità del Paese dell’Europa centro-orientale, coinvolta in un giro di denaro sporco tra Hong Kong e Dubai.
Acquisita la fiducia de gruppo criminale in cui si era infiltrato, il reporter ha preso parte in un’operazione  per il riciclaggio di milioni di euro che comprendeva la creazione di due compagnie di comodo e diversi conti in banca. Recatosi ad Hong Kong per suddetti fini, ha provato a denunciare quanto scoperto alle autorità ceca e slovacca e all’Interpol, che, però, pare non abbiano preso in considerazione le sue rivelazioni, nonostante le prove fornite dal giornalista, comprendenti filmati realizzati con camera nascosta.
Papaleo è tornato, quindi, nella Repubblica Popolare Cinese ed ha svelato quanto raccolto all’Ufficio Speciale Narcotici e Crimini Finanziari che ha cominciato ad investigare fino ad arrestare il capo del giro malavitoso nel giugno del 2013. Subito dopo il giovane cronista è stato minacciato di morte, ripetutamente. “Le intimidazioni  mi sono arrivate dopo due giorni dall’arresto di Juraj Jariabka, diplomatico slovacco, raggiungendo anche alcuni miei amici”.
La polizia di Hong Kong ha richiesto invano alle autorità europee di procurargli protezione, ma ad oggi nulla è cambiato. Papaleo, dopo aver testimoniato a Hong Kong al processo contro Jariabka, in corso dal mese scorso, si nasconde nella Repubblica Popolare Cinese in attesa di concreti interventi da parte delle autorità italiane o slovacche (vive e lavora a Bratislava da nove anni, iscritto all’Aire, l’anagrafe Italiani residenti all’estero dal 2006).
Contattato da Retenews24, Papaleo si dice deluso dalla diplomazia italiana che,  riferisce, lo ha definito “persona  non grata” perché all’epoca dei fatti, giugno 2013, il consolato italiano gli prestò del denaro (in totale 210,00 euro) che però non è mai riuscito a restituire.
“Sto seriamente valutando di chiedere asilo politico alla Svizzera o alla Svezia” – dice avvilito. Alla domanda se avesse paura, il giornalista calabrese ci risponde: “Non ne ho. Ho avuto paura la prima volta ad Honk Kong, quando mi infiltrai nel gruppo criminale che poco dopo mi mandò ad aprire dei conti in banca. Temevo che una volta firmate le carte necessarie ai loro affari illeciti, mi avrebbero ucciso. Avevo paura di aver commesso errori e di essere il cavallo di paglia di qualche evasore fiscale. Chiarito invece che «lavoravo» per veri delinquenti,  e che fino a che non avessi finito le questioni che interessavano, non avevano motivi per farmi del male, mi tranquillizzai. Oggi sono moralmente indignato perchè credo non si possa fermare il riciclaggio di denaro sporco che costituisce il 5-7% dell’economia mondiale e che soprattutto, non importi a nessuno, dall’alto Comando della Polizia slovacca alla anti corruzione della polizia ceca, all’Interpol, al Moneyval fino alla Commissione Europea. E’ diversa la Hong Kong Police Force”.
E sulle ultime settimane trascorse racconta: “Sono stato per 18 giorni a testimoniare in aula durante i quali ho avuto protezione, scorta e spese pagate. Ora però secondo le autorità locali dovrei tornare a casa mia e farmi proteggere dai «miei». Ma  da un lato gli slovacchi hanno archiviato il caso perchè per loro il riciclaggio di soldi non è reato, e dall’altro le autorità italiane non vogliono neanche sapere cosa io abbia fatto e perché. I miei indirizzi, i luoghi che abitualmente frequento ecc, sono invece controllati da persone del malaffare e non posso certamente tornare in Slovacchia o in Italia, a Cosenza, luogo notissimo ai criminali che mi hanno arruolato, e dove  già hanno provato a cercarmi. Quindi resto qui, anche se la polizia cinese non può più scortarmi né sostenermi. Sto vivendo in condizioni non facili, con precauzioni di ogni sorta per non essere rintracciato dall’organizzazione mafiosa. Sono, invece, in continuo contatto con i colleghi dell’Aej, Association of European Journalists, Rory Peck Trust Found, International Consortium of Investigative Journalists, Global Investigative News Networ, Reporter Sans Frontier ed aspetto la fine del processo, prevista per i 13 agosto, per poter  denunciare ufficialmente i vertici di questa operazione”.
Papaleo vede impossibile un possibile rientro in patria: “Dopo la fine del processo, deciderò dove trasferirmi, ma di certo non in Slovacchia né in Italia, dove senza protezione la mia vita vale zero”. (retenews24)

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