La vedova dell’imprenditore Romanini fa luce sull’attentato a Chiara Beria d’Argentine

“Mio marito ha distrutto la villa della giornalista”

Chiara Beria d’Argentine

Chiara Beria d’Argentine

Giuliana Pellegrini con il marito Stefano Romanini

Giuliana Pellegrini con il marito Stefano Romanini

CAMAIORE (Lucca) – “Fu mio marito Stefano a dare fuoco e a distruggere la villa di quella giornalista. Lo aveva pagato il cugino Roberto per farlo, perché voleva vendicarsi per una questione di vicinato”.
Le parole di Giuliana Pellegrini, vedova dell’imprenditore edile Stefano Romanini, risuonano in una Corte d’Assise sbigottita. Siamo al processo per la morte di suo marito, nel febbraio del 2011 centrato da nove colpi di pistola sparati da un killer ancora senza nome.
Roberto Romanini è alla sbarra come presunto mandante del delitto, secondo la Procura nato per questioni economiche tra i due. E il velo che la donna alza dà su un mondo brutto e spietato. Dove i rapporti tra cugini sembrano ambientati nel mondo della criminalità organizzata. Un mondo dove una lite tra vicini può tradursi in un attentato terribile, che provocò un’angoscia senza pari nella vittima, la giornalista Chiara Beria d’Argentine, all’epoca vicedirettore dell’Espresso, conosciutissima per le sue inchieste su Tangentopoli.
L’incendio avviene la sera del 22 maggio del 1996. Chiara Beria d’Argentine, figlia dell’ex procuratore generale di Milano Adolfo, è una giornalista di punta: suo lo scoop della prima intervista a Stefania Ariosto, che inguaia il giudice Renato Squillante ma soprattutto il braccio destro di Silvio Berlusconi, l’ex ministro Cesare Previti, accusato di aver corrotto il magistrato.
Assieme al marito Gianni Farneti, anche lui noto cronista, possiede da anni una villa sulle colline di Camaiore, in località Contra, accanto all’abitazione di Roberto Romanini: è lì che passano quasi tutti i fine settimana e molte festività. Quella sera mezza Versilia sta festeggiando la vittoria della Juventus in finale di Champions League: proprio approfittando di questo chiasso, verso le 23 gli attentatori si avvicinano all’abitazione e iniziano il “lavoro”. Usano benzina e cherosene, accendono la miccia e la casa viene devastata dall’incendio.
All’inizio si pensa a un avvertimento per le inchieste giornalistiche. Ma gli investigatori intuiscono nel giro di breve tempo che alla base non c’è nulla di tutto ciò. I sospetti si concentrano così sul vicino, Roberto Romanini. L’inchiesta si concluderà con un nulla di fatto.
A distanza di 19 anni, la svolta. Arrivata nel cuore del racconto di Giuliana Pellegrini, che ricostruisce in aula i rapporti tra il marito e il cugino Roberto. “All’inizio Stefano provava ammirazione, per lui Roberto era un dio. Poi qualcosa cominciò a incrinarsi”. Giuliana parla dell’incendio del 1996 e spiega che “è stato Stefano ad appiccarlo, dietro compenso del cugino. Roberto e la giornalista avevano avuto degli screzi per una questione di proprietà confinanti”. Un fatto che quasi certamente non avrà conseguenze penali: troppi anni sono passati, e il presunto
autore dell’attentato non c’è più. Ma queste parole gettano una luce sinistra sul mondo di Stefano, Roberto e dei loro familiari. Una luce che passa tra le lacrime di Giuliana, quando rilegge il diario del marito: “Era un uomo terrorizzato”. (Il Tirreno)

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