Intervista a Clemente Mimun: “Un terremoto di cui hanno beneficiato tutti”

I 25 anni del Tg5: “Cambiato il linguaggio tv”

Clemente Mimun, 63 anni, direttore del Tg5

Clemente Mimun, 63 anni, direttore del Tg5

MILANO – Era il 13 gennaio 1992 quando un gruppo di giornalisti, intorno ai quaranta, fondava il Tg5, scuotendo l’informazione televisiva italiana. Clemente Mimun era della squadra con Emilio Carelli, Lamberto Sposini, Cristina

Parodi, Enrico Mentana e Cesara Buonamici. Dopo una parentesi in Rai, è tornato, prendendo dal 2007 la guida della testata fino al traguardo del venticinquesimo compleanno.
– Qual è il merito storico del Tg5? 
“Il Tg5 ha allargato la possibilità di scelta degli italiani e costretto gli altri a migliorarsi, a uscire dal linguaggio paludato di allora. Ha provocato un terremoto di cui hanno beneficiato tutti in tv”.
– Qual è il ricordo più bello?
“Il ricordo più bello, e più divertente, è la partenza grottesca. Alla conduzione c’era Mentana: non partivano i servizi, le cassette erano guaste. Enrico, da esordiente, ha avuto nervi d’acciaio. Pensavamo che sarebbe finita lì, che non avremmo avuto prove d’appello. Invece il giorno dopo scoprimmo di aver battuto il Tg1 al primo colpo”.
– Che rapporto ha avuto con Silvio Berlusconi?
“Berlusconi è l’editore che tutti i giornalisti dovrebbero sognare di avere: ha avuto fiducia in un gruppo di quarantenni, ci ha lasciato libertà e ci ha dato i mezzi per lavorare. Ha avuto idee innovative e ci ha dato pochi suggerimenti fondamentali. Dal punto di visto politico è chiaro che ognuno porta l’acqua al suo mulino, ma Berlusconi ha inciso molto meno di quanto abbia inciso il centrosinistra in Rai, e mai con l’arroganza del centrosinistra”.
– E Piersilvio?
“Ha una gestione molto attenta ai contenuti, di cui è appassionato. C’è un rapporto di assoluto rispetto e stima e posso garantire che non è mai intervenuto sul tg”.
– Qualcuno sostiene che ormai, tra Rai e Mediaset, c’è un tg unico filorenziano. Il tg della nazione…
“Chiunque lo dica, dice una sciocchezza. Ogni tg ha la sua identità. Semmai fanno un unico Sanremo, fanno il Festival della nazione”.
– E cosa ne pensa?
“Ne penso male, a me piace la competitività: se ho un bomber, come Maria De Filippi, non lo presto certo alla squadra avversaria. Poi, sa che le dico: quando ero in corsa per la direzione di Rai1 dissi che con me non ci sarebbero stati né Miss Italia, né Sanremo. Sono programmi vetusti, che non hanno più senso. Ieri ho visto Music di Paolo Bonolis, un programma di una qualità fantastica. Serve ancora Sanremo?”.
– Parliamo di ascolti. Vi eravate avvicinati al Tg1, poi il divario è cresciuto…
“Noi siamo una tv commerciale che campa di pubblicità. Il Tg1 ha il traino del preserale dieci mesi l’anno e molta meno pubblicità di noi. È ovvio che vinca”.
– C’è una cosa che vorrebbe fare prima di appendere la penna al chiodo?
“Il bello di questo mestiere è che ti svegli la mattina è c’è sempre una pagina bianca da scrivere, questa è la mia grande soddisfazione. Una cosa che mi piacerebbe sarebbe l’uscita dalla crisi dei consumi e la ripresa della pubblicità, in modo tale da rimpolpare l’organico della redazione, riempiendola di giovani”.
– E la notizia che le piacerebbe dare?
“Il quarto scudetto della Lazio, perché il terzo credo debba esserci assegnato d’ufficio”.
– Ha pensato di passare il testimone alla guida del Tg5?
“Resterò qui il tempo che serve. So già quando e come smetterò, ma sarà una mia decisione, non mi manderanno via. Smetterò di fare il giornalista solo alla mia morte, ma non manterrò certo un ruolo esecutivo fino alla mia simpatica dipartita”. (ansa)

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