Per il tribunale di Palermo Big G non è responsabile delle inserzioni illecite

Pubblicità sleale: non è colpa di Google

adwords-googlePALERMO – Non è colpa del motore di ricerca se un’azienda si serve dei “trucchetti” del web per fare pubblicità sleale. Nel caso di specie, il tribunale di Palermo ha stabilito che Google non può essere responsabile delle inserzioni pubblicitarie pubblicate attraverso il meccanismo “Google AdWords”.
Parliamo di quella forma di pubblicità che consente di vedere pubblicati su internet i propri annunci in due modi diversi: o attraverso la visualizzazione per parole chiave scelte nella sezione “link sponsorizzati”, oppure attraverso i banner pubblicitari sui siti “amici”.
Il caso, su cui si sono espressi i giudici siciliani, è stato presentato nella giornata di chiusura del Seminario sui diritti dei consumatori di Palermo, giunto alla sesta edizione, organizzato dal Dems (il dipartimento di Studi europei e dell’integrazione internazionale) dell’Università di Palermo, dalla Fondazione Rosselli e dallo Studio legale Palmigiano.
“Qualora uno di questi messaggi sia illecito, la parte lesa non può che aggredire il responsabile della condotta e non certo il motore di ricerca – affermano i giudici – . Tutto ciò in virtù del principio di neutralità dell’intermediario, per cui il fornitore di servizi di rete (Google, per l’appunto) non ha l’obbligo di controllare preventivamente tutto ciò che circola sulla rete e sui propri ‘canali’. Ma ha solo un dovere di azionarsi nel rimuovere l’illecito qualora gli giunga la segnalazione da parte del titolare del diritto leso”.
Il caso preso in esame dai togati palermitani riguardava una società molto nota di noleggio di autovetture che aveva utilizzato illecitamente “tag” e “keywords” (ossia parole chiave traccianti per l’algoritmo) per sostituirsi ad un proprio concorrente: grazie a questo stratagemma informatico, la pubblicità della prima società appariva al posto del marchio concorrente, con perdita, per quest’ultima, di opportunità commerciali e di clientela. Nei confronti della società che aveva escogitato l’abile mossa sul web è scattato l’obbligo del risarcimento del danno. Mentre non è stata accolta la domanda contro Google.

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