Dobbiamo tornare sul marciapiede a verificare di persona i fatti che raccontiamo

Contro le bufale facciamo bene il nostro lavoro

GiornalistaROMA – Apri un giornale, accendi la televisione e ti trovi immerso nel dibattito sulle fake news. Del resto la materia prima non manca: il Pd che attacca il Movimento 5 Stelle e la Lega. Grillo e Salvini che rispediscono le accuse al mittente. Il partito democratico che promette dossier quindicinali sull’argomento e, soprattutto, un ddl contro le fake news sul modello tedesco, ma riadattato all’Italia ovviamente.
Ma siamo sicuri di aver centrato il problema? Siamo certi che serva una nuova legge? Davvero siamo tutti d’accordo nel voler delegare alle grandi piattaforme digitali, da Facebook a Google, il diritto-dovere di decidere cosa è vero e cosa è falso, cosa è notizia e cosa è opinione? Non erano questi i principi fondanti della professione del giornalista?
Pagine e pagine di giornale, servizi su servizi nei canali televisivi e radiofonici, ma ancora non ho letto o visto qualcuno che metta in discussione quello che stiamo facendo come media per combattere il fenomeno delle fake news, economiche o a scopo di propaganda che siano. E se cominciassimo proprio da noi, dai diritti e dai doveri del giornalista? Vogliamo inseguire il dibattito come microfoni accesi sull’interesse di turno? O, piuttosto, vogliamo provare a dare un contributo concreto tornando a fare bene il nostro lavoro, riempiendolo di quei contenuti etici e deontologici che ha o, almeno, che dovrebbe avere?
Due esempi di questi ultimi giorni possono aiutarci a riflettere. Niente di straordinario, anzi, direi che siamo ampiamente nell’a-b-c della professione.
Primo esempio: alle 2:21 di questa notte il nostro ottimo “Gis” – in agenzia ci chiamiamo per sigle – ha pubblicato questa notizia: “Molestie: WP evita trappola, non pubblica falsa denuncia Moore. Nel lancio di agenzia si ricostruisce come il Washington Post sia scampato ad un trappolone teso a screditare la squadra che sta indagando sulle storie di molestie sessuali, che si susseguono da quando il 5 ottobre il New York Times ha rivelato le abitudini predatorie sessuali del produttore Harvey Weinstein.
La storia: una donna si è rivolta al giornale per denunciare che Roy Moore – candidato repubblicano all’elezione suppletiva del 12 dicembre per il seggio dell’Alabama al Senato – l’aveva messa incinta quando era un’adolescente nel 1992 e che dopo fu costretta ad abortire. I reporter del Post, che hanno interrogato la donna per due settimane, non erano convinti del racconto. Hanno quindi deciso di seguirla quando ha lasciato la redazione e l’hanno vista entrare negli uffici di New York del cosiddetto “Project Veritas”, un’organizzazione che ha fra i suoi obiettivi quello di screditare le testate più autorevoli. Alla fine il Post ha raccontato di non aver pubblicato l’intervista alla donna e di essere scampato a un’enorme trappola che, se il piano fosse andato a buon fine, avrebbe inciso sulla sua credibilità e fornito un aiuto a Moore ma non solo.
Il secondo esempio si riferisce alla scorsa settimana. Un giornale del Nord Est ha raccontato la storia di una bambina di 9 anni che, in omaggio alla tradizione musulmana, sarebbe stata data in sposa a un uomo di 35 anni che l’avrebbe violentata ripetutamente. La notizia è stata ripresa tale e quale da diversi siti internet provocando anche alcune immediate reazioni politiche. Quel giorno Agi, volendo riprendere la notizia, ha chiamato i carabinieri per una conferma e qualche particolare in più. Ma ha trovato solo smentite perché semplicemente il fatto non è mai avvenuto.
Qual è la lezione che dobbiamo apprendere da questi due esempi? A me pare che contro le fake news dobbiamo, prima di tutto, tornare a fare il nostro lavoro. Che non è semplice, se fatto bene. Dobbiamo tornare “sul marciapiede” a verificare di persona i fatti che raccontiamo.
Dobbiamo ripristinare i controlli che un tempo erano abituali: giro di nera, verifiche in procura, ospedali, etc. Questo è l’unico vero antidoto alle fake news, questa è l’essenza del nostro lavoro. Non dobbiamo dimenticarlo.
In un’epoca rissosa, nella quale anche i giornali si schierano da una parte politica o dall’altra, dovremmo sempre tenere presente l’obiettività del racconto giornalistico che ricerca la verità e la differenza tra la notizia e il commento. Perché in gioco c’è, prima di tutto, la credibilità dell’informazione.

Marco Pratellesi
Condirettore Agi

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