Dai boy scout a Fonzie senza dimenticare che da ragazzo faceva lo strillone

Renzi show con i giornalisti fa lezione di gufologia

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Henry Winkler nei panni di Fonzie

Henry Winkler nei panni di Fonzie

ROMA – Film, giochi da tavolo, serie Tv (vecchie e nuove). Matteo Renzi è un fiume in piena e dagli argini della sua dialettica – come sempre felice – esondano decine d’immagini, citazioni, accostamenti a effetto, un vero e proprio show, a colpi di botte e risposte con i giornalisti presenti alla conferenza stampa di fine anno. Una su tutte: “Mi sento come Al Pacino in «Ogni maledetta domenica»”, dice il premier quando rivendica le tante misure adottate dal suo governo in 10 mesi. Ma è solo l’inizio. Tanto che Renzi, per la velocità con cui è in grado di cambiare abito, più che Al Pacino viene paragonato da qualcuno, a Montecitorio, all’attore Jim Carrey nel film “The Mask”.
Ecco, infatti, che sulla spinosa partita del Quirinale l’ex sindaco di Firenze gela subito i bollenti spiriti della stampa e, evocando il vecchio gioco a quiz degli adolescenti degli anni Ottanta “Indovina chi?”, ricorda le alchimie politiche di trenta anni fa.
Archiviata la questione post-Napolitano, Renzi si cambia d’abito e si trasforma in uno “strillone”, quando da ragazzo consegnava i giornali assaporando “l’odore dell’inchiostro della rotativa”. Ma siccome Renzi è Renzi, in un attimo passa da “ragazzo di bottega” a direttore e, con tono scherzoso, fa le pulci a SkyTg24: “Che sottopancia è «Il mio è il governo che ha fatto meno leggi di tutti»? Magari il cittadino che guarda oggi dice: “Bravo complimenti. E te ne vanti pure?”.
Insomma, così com’è il messaggio – ovvero all’Italia non servono più leggi ma cambiare davvero le cose – non passa e anzi viene travisato. Il tema giornalismo-potere-comunicazione offre, comunque, diversi spunti.
Renzi confida, infatti, di guardare non solo “House of Cards” ma anche l’altra serie Tv culto “Newsroom”. Perché il giornalismo ha un “ruolo sociale” che il premier riconosce e apprezza. Certo, l’importante, anche per i giornalisti, è non sottrarsi “al cambiamento” e trovare il modo per “stare” nella rivoluzione digitale. E magari non abbandonarsi al sensazionalismo, visto che “l’Italia non si cambia con uno schiocco delle dita: questo riesce a Fonzie e – scherza – non sono neanche degno di portare il suo giubbotto di pelle”. Paragone audace visto il tormentone Renzie lanciato a suo tempo da Beppe Grillo. Ma tant’è.
In tutto questo, tra una metafora e l’altra, il presidente del Consiglio calza persino la divisa da capo della Protezione Civile e dà in diretta gli aggiornamenti che riguardano l’operazione di salvataggio dei passeggeri del traghetto in fiamme al largo delle coste italiane.
Ancora. Al termine di un lungo monologo sulle caratteristiche del gufo doc, Renzi torna boy-scout e mette i puntini sulle “i” rispetto a chi lo paragona a Margaret Thatcher: “A me? Una che diceva che «una cosa chiamata società» non esiste… E’ chiaro che reagisco”.
D’altra parte il Paese ha bisogno di riforme urgenti e andare piano non è possibile. “L’urgenza – spiega – è il motivo per cui dicono che sono tarantolato. Ma non è un problema essere tarantola”. (Ansa)

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