Il decreto-legge sulla “presunzione di innocenza” è l’ultimo bavaglio ai giornalisti

Una notizia senza nomi non è una notizia

Michele Albanese, presidente del Gruppo cronisti della Calabria (foto Giornalisti Italia)

REGGIO CALABRIA – Una notizia senza nomi e cognomi non è una notizia! È una mezza notizia, parziale e incompleta. In fondo è davvero così! Da qualche tempo, i lettori hanno notato, che nei pezzi di cronaca non ci sono nomi e cognomi di chi viene tratto in arresto per reati vari, perché la legge lo vieta. Strano ma è così. I cittadini non possono essere informati correttamente ed i giornalisti non possono informare correttamente, come impone loro l’art. 21 della nostra Costituzione, la legge sulla stampa il codice deontologico professionale.
Fra non molto il mestiere di cronista finirà, rischierà di essere marginalizzato perché non potremo più scrivere l’identità di chi si rende protagonista di reati gravi. E ciò perché il Governo, recependo una direttiva europea, la numero 343 del 2016, ha infatti, approvato uno schema di Dlgs sul rispetto del principio della presunzione di innocenza che interviene anche sul codice di procedura penale inserendo l’articolo 115. Questo Decreto ha già ricevuto l’ok delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato.
In pratica con il decreto-legge “Garanzia della presunzione di innocenza”, si riproduce nel contesto normativo il divieto di riferimenti pubblici alla colpevolezza degli indagati. Sulla base di questa norma non sarà possibile, pubblicare nomi e cognomi di trafficanti internazionali di droga, corrotti, ‘ndranghetisti, etc. Un problema per i giornalisti che si occupano di cronaca per i quali tra l’altro il “Testo Unico dei Doveri del Giornalista” in vigore dal febbraio 2016 impone, comunque, di “rispettare sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza facendo risultare chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi”.
Il cronista, quindi, com’è di norma, chiarisce se tizio che è stato arrestato, al momento dell’arresto è solo un indagato per un reato specifico e poi racconta se tizio viene rinviato a giudizio e quindi se processato ed infine condannato. Lo facevamo già prima avendo come fonte ufficiale anche i comunicati dell’Autorità Giudiziaria che riteneva giusto informare i cittadini di determinate operazioni di polizia che avevano interesse pubblico e collettivo.
Con questo decreto-legge “bavaglio”, in una regione ad altissima densità mafiosa, i magistrati non possono fornire nomi e cognomi se non quando verrà concluso l’iter processuale con una eventuale condanna e cioè dopo la sentenza della Corte di Cassazione, almeno sei o sette anni dopo l’arresto.
Insomma, i giornalisti, si dovrebbero limitare a riportare pubbliche dichiarazioni colpevoliste delle autorità affidate solo ed esclusivamente ed in casi straordinari ai Capi delle Procure e non ai Pm o alla stessa polizia giudiziaria a meno di una specifica delega dei Procuratori Capo. Ma il danno a chi viene fatto, applicando tali norme? Ai giornalisti certo, che avrebbero dovuto protestare con determinazione anche con azioni eclatanti ma soprattutto ai cittadini che non sapranno più e per tempo i nomi degli indagati accusati di gravi reati, di criminali con precedenti specifici lunghi quanto una pila di giornali, che forse sono loro vicini di casa o persino di condominio e quindi non potranno essere aiutati ad isolarli sul piano sociale come meritano. Noi cronisti quindi, cari lettori, non siamo diventati di colpo paurosi o omissivi o pavidi, ma costretti da norme stringenti che non condividiamo e lo diciamo con assoluta chiarezza. (giornalistitalia.it)

Michele Albanese

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