Persone e parole di sei generazioni “dal nostro inviato” in un altro tempo

Sulla giostra della memoria di Mario Nanni

Mario Nanni

ROMA – Il futuro è l’unico luogo dove andremo ad abitare, ma è aleatorio, ed è insicuro anche se riusciremo a raggiungerlo; il presente è labile, sfuggente, dura un nanosecondo, vittima anch’esso come una particella subatomica dell’indeterminazione di Heisenberg; il passato è, orwelliane riscritture della storia ed eventuale Alzheimer a parte, l’unico nostro vero possesso, l’unica cosa che non ci possono togliere.
Ma anche il passato è fluido, e rischia di evanire se non lo si ferma – agevolati da quella prodigiosa macchina del tempo che è la memoria – in uno scritto, uno scatto, una ripresa…

La storica sede dell’Ansa in via della Dataria 94

La letteratura della crisi degli Anni Venti e Trenta del secolo scorso è figlia di una brusca interruzione della Storia che fece trovare spaesati, senza più punti di riferimento che non fossero memoriali, milioni di Europei di Stati che non esistevano più o che erano radicalmente, bruscamente mutati nelle strutture, nei costumi, anche negli aspetti fisici delle città. Generazioni vissero da cittadini di un mondo sparito.
In un simile mondo scomparso, abraso dal tumultuare della vita moderna e delle rivoluzioni tecnologiche sempre più ravvicinate e veloci che hanno stravolto i modi di vivere, le costumanze, i linguaggi, le città, i villaggi e le campagne, si avventura per un gustoso reportage un cronista di razza, Mario Nanni, originario di Nardò, romano ormai da quasi mezzo secolo, protagonista indiscusso delle cronache parlamentari, già cronista parlamentare, capo della redazione politica e quindi redattore capo centrale dell’Ansa, nel suo libro più recente, “Sulla giostra della memoria. Persone e parole di sei generazioni” (Media&Books, pagine 384, 19 euro).

I Santi Cosma e Damiano

Non un manuale di giornalismo o un libro sulla politica, questa volta, ma un viaggio a ritroso in un mondo scomparso, un mondo contadino di piccole, isolate comunità, di masserie, o al massimo di paesini, che per quanto interrelati sono (erano) in realtà reciprocamente estranei, laggiù, in quella pianura fertile ma troppo spesso riarsa dal sole e sitibonda che si chiama Salento.
Fra gustosi aneddoti, come quello del parroco che per oscuri motivi si fa caricatura dei bravi manzoniani per impedire ad un devoto di Cosma e Damiano, da loro miracolato in giovanissima età, di continuare ad organizzare, come faceva da 15 anni, una festa in onore dei Santi Medici, e storie e storielle legate alla masseria del Fiume ed al massaro Paolo (per i non pugliesi, è il “capo” della masseria, oggi pressoché solo un complesso di edifici sovente destinati ad attività turistica, ma a lungo una sorta di microvillaggio autonomo nelle campagne di Puglia: centro amministrativo ed abitativo delle tenute agricole, stalla e luogo di produzione di latticini, dotato di chiesa per le funzioni religiose della domenica e delle feste comandate e spesso anche di scuola rurale), ma anche ad oggi desuete figure tipiche di una civiltà contadina o di paese, il narratore, una via di mezzo fra il cantastorie ed il giornalista di gossip legato ad ambiti microterritoriali, artigiani o praticanti di mestieri ormai quasi scomparsi (il calzolaio, la stagnaro, il massaro, il fattore, l’apprezzatore…), o a vicende di gelosia e corna vere o presunte, ma che anche quando solo tali nel microcosmo circolavano più veloci delle fake news sul web, e facevano male.

Giuseppe Mazzarino

Io Mario Nanni l’ho conosciuto in quel magico crogiuolo di informazione, di vita in comune, di osmosi fra giornalismo e politica che è tuttora, anche se molto meno, e non solo a causa della pandemia, il quadrilatero sghembo che include il Transatlantico di Montecitorio, la buvette, la sala di lettura e la sala stampa della Camera. In questo libro ne trovo uno assai differente: sempre acuto, bonario osservatore, ma in diacronia e di un mondo perduto, in cui la campagna domina ancora sulla città… è il nostro inviato nell’altrove e nell’altroquando; dobbiamo immaginarcelo nella versione successiva del megaron dei signori micenei (i loro complessi palaziali erano in fondo masserie un po’ più sontuose), un’aia esterna invece di un cortile interno, che racconta alle famigliole assiepate intorno ad un fuoco centrale fatti e fatterelli, intervallati da motti sapienziali, arguzie, giochi di parole dialettali intraducibili, poesie, consigli ai giovani ed alle giovani.
Come nei cartelloni dei cantastorie d’un tempo, ormai scomparsi, come gli organi di Barberìa, fioriscono nel libro di Nanni immagini dai vivaci colori, ed altre che sembrano monocromi e bizzarri dagherrotipi virati in viola, come la carrozzella del mendicante paralitico trainata da due cani; o i ricordi di scuola, una scuola che profumava di menta selvatica, e dove, per i bambini poveri, c’era la refezione (questo non c’entra col libro di Nanni, ma oggi, ahinoi, le mense nelle scuole, e non solo elementari, ma anche superiori, laddove i rientri pomeridiani sono frequentissimi, restano una specie di irrealizzabile sogno…), e per tutti c’erano le letture edificanti; e per i discoli le bacchettate sul palmo della mano, magari rimpiante (non da Nanni, meno che mai da me) dagli anacronistici laudatori di una scuola repressiva che era anche disfunzionale.

Mike Bongiorno

Ma insieme con i ricordi d’infanzia o mediati dai racconti di anziani che rievocavano la propria, di infanzia, nella giostra della memoria c’è anche un inedito Mario Nanni maestro elementare, studente universitario alle prese con gli esami di Filosofia e la tesi sull’Estetica, concorrente del Rischiatutto di Mike Bongiorno, candidato socialista alle comunali, tradito da un compagno di cordata, studente ginnasiale che poi passa al magistrale per poter iniziare prima a lavorare… e in chiusura della lunga cavalcata memoriale, torna il Nanni cronista parlamentare; ci racconta sensazioni, non solo episodi, e si leva qualche sassolino dalle scarpe, a proposito di quelle querele temerarie con le quali spesso potenti o presunti tali cercano di imbavagliare i giornalisti, ma anche di avvocati non proprio solleciti nella difesa del proprio cliente. E c’è anche una gustosa sezione di aneddoti bonariamente anticlericali, di vecchia tradizione socialista, taluno ambientato nell’immediato secondo dopoguerra, dove un parroco molto attivista democristiano arriva ad accusare di comunismo… un monarchico, perché comunque non aveva votato Dc.
Nel piacevolissimo sfaccettato volume c’è anche una piccola antologia di poesie e cantilene popolari, in dialetto, alternate a qualche verso di Bodini, cantore pure lui – ma in lingua, e proveniente addirittura da esperienze futuriste – di un Salento metatemporale.
Da leggere, come a piccoli sorsi d’acqua fresca, nell’infuocato Salento di quest’estate flagellata da Lucifero, per dissetare la memoria. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

Un commento

  1. Grazie Mario, per questo tuo ulteriore lodevole contributo sulla cultura antropologica salentina. Antonio de Ferraris nel “DE SITU IAPYGIAE” (1511) scriveva: “recuperare le scarne memorie del passato che il tempo insidia e divora inesorabilmente, e documentare il poco che c’è per farlo conoscere a coloro che verranno dopo di noi diventa impegno preciso e indifferibile, una battaglia di cultura e di civiltà”.

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