IL RICORDO - “È la misura di una civiltà. È la forma visibile dell’anima di un popolo”

Spadolini: “La cultura è il cuore dello Stato”

Giovanni Spadolini (Firenze, 21 giugno 1925 – Roma, 4 agosto 1994)

ROMA – Nel centenario della nascita di Giovanni Spadolini (1925–2025), l’Italia ha il dovere e il privilegio di ricordare uno degli uomini più straordinari del suo Novecento.

Ilda Tripodi

Storico, giornalista, intellettuale, riformatore, politico, ma prima di tutto testimone del sapere. In lui, la parola “cultura” non fu mai una cornice retorica, ma la sostanza stessa del vivere civile. Spadolini non la usò come vezzo, ma come fondamento: credette nella cultura come si crede in una patria interiore, come si crede in ciò che può salvare.
Fu il primo, in un’Italia ancora incerta e divisa, a dare alla cultura dignità istituzionale, fondando nel 1974 il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ma quello che fece non fu semplicemente un atto di governo. Fu un atto simbolico, un gesto potentissimo di riconoscimento: dire che la cultura è un diritto pubblico, che appartiene a ogni cittadino, che va custodita e condivisa, è dire che una nazione vive solo se conosce e ama la propria anima.

Giovanni Spadolini

Spadolini non era un ministro qualsiasi. Era, come pochi altri nella storia repubblicana, un uomo di pensiero che sapeva governare, un uomo di governo che non tradì mai il pensiero.
Con la sua figura solenne, la parlata netta, l’austera eleganza toscana, portava con sé la fierezza dei grandi riformatori laici, capaci di guardare oltre le appartenenze per servire un’idea più grande di sé: l’Italia della memoria e del futuro, del merito e della bellezza, della scuola come culla del sapere e del sapere come culla della libertà.
Diceva: «La cultura non è un ornamento dello Stato. È il suo cuore».
E lo dimostrò ogni giorno: nei suoi articoli, nei suoi discorsi, nelle sue riforme. Portò avanti una battaglia paziente e inflessibile per difendere archivi, tutelare paesaggi, valorizzare biblioteche, salvare monumenti, dare risorse e senso a ciò che molti consideravano secondario. Per Spadolini, non c’era nulla di più urgente del rendere la cultura una priorità pubblica.

Giovanni Spadolini

Ma ciò che rende la sua figura irripetibile è anche l’amore radicale che nutriva per i giovani. Non era un amore paternalistico, ma fiducia autentica. Li voleva pensanti, informati, responsabili. Li voleva appassionati, non spettatori. Credeva nella scuola come luogo del risveglio critico, nell’università come spazio di libertà, nella lettura come strumento di emancipazione. Li esortava ad amare la Storia, ma anche a riscriverla.
«La cultura non serve a ricordare il passato. Serve a costruire un futuro che ne sia degno».
E per questo, anche il suo essere politico fu unico. Non cercò mai il consenso facile, non si lasciò mai contaminare dalle mode, non si piegò ai populismi né alle semplificazioni. Era, in un certo senso, un aristocratico della democrazia: credeva che governare fosse un atto etico e intellettuale, e che solo chi conosce la profondità della propria civiltà possa veramente guidarla. Fu Presidente del Senato e Presidente del Consiglio, ma sempre custode del sapere, scriba della Repubblica, difensore del pensiero complesso.

Carlo Maria Martini, Giovanni Spadolini e Giulio Andreotti (Archivio Andreotti)

E amò l’Italia tutta, senza gerarchie, senza mappe squilibrate e questa da giornalista del Sud lo evidenzio con profonda riconoscenza. Amò la Toscana che gli diede lingua e rigore, ma amò con forza anche il Mezzogiorno, e tra tutte le regioni, la Calabria, che sentiva culla remota della civiltà mediterranea, laboratorio di resistenza, luogo in cui la cultura era ancora speranza e battaglia.
Difese Locri, parlò di Sibari, scrisse di Rossano, visitò Reggio. Non per condiscendenza, ma perché sapeva che da lì passava il senso più profondo dell’identità italiana: da quelle pietre antiche, da quelle biblioteche quasi invisibili, da quei silenzi pieni di storia.
Per Spadolini, non esisteva cultura senza territorio, e nessun territorio era troppo lontano per essere amato.
Fu Unico. Perché non replicabile. Nel centenario della sua nascita, quello che resta non è solo il ricordo di un ministro fondatore, ma la nostalgia viva per una figura che oggi sembra impossibile da ritrovare:
– Un politico colto.
– Un intellettuale concreto.
– Un amante della nazione senza mai essere nazionalista.
– Un uomo laico, eppure quasi mistico, nel rispetto che nutriva per la parola, per la bellezza, per la giustizia della memoria.

Giovanni Spadolini

In un tempo che teme la complessità e tradisce la cultura come se fosse un lusso, Giovanni Spadolini ci ricorda che la cultura è invece l’essenziale. È la misura di una civiltà. È la forma visibile dell’anima di un popolo. E oggi più che mai, nel suo centenario, abbiamo bisogno del suo spirito, della sua voce, della sua visione. Non per celebrarlo. Ma per non perderci.
Chi meglio dello storico Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini e direttore della rivista “Nuova Antologia”, già professore ordinario nella facoltà di scienze politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, può sintetizzarne la figura per Giornalisti Italia.
– Professore Ceccuti, lei che ha condiviso con Giovanni Spadolini non solo l’impegno accademico, ma anche una lunga e profonda vicinanza intellettuale e umana, può raccontare ai lettori di Giornalisti Italia che cosa significava per lui “fare cultura”? Qual era, nella sua visione, il compito della cultura in una democrazia fragile come quella italiana, spesso ferita da diseguaglianze, da dimenticanze, da sud e da nord che non si ascoltano?

Cosimo Ceccuti

«Giovanni Spadolini era solito ripetere di avere tre anime, storico, giornalista e uomo delle istituzioni. In realtà il filo rosso che univa in ogni suo pensiero e in ogni sua azione le tre anime era la cultura intesa non come sapere accademico ma come conoscenza, curiosità di sapere, anelito di continua lettura e insieme esigenza interiore di trasmettere agli altri.
Spadolini ha inventato nelle università italiane la storia contemporanea ovvero lo studio del passato per meglio agire nel presente. E questo ha dimostrato nella sua intensa vita di studioso, di giornalista e di politico al servizio sempre del suo paese, dell’Europa e del mondo». (giornalistitalia.it)

Ilda Tripodi

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