Il dibattito scatenato dall’editoriale del New York Times fa traballare il presidente Usa

Se la stampa funziona non c’è Trump che tenga

Donald Trump

WASHINGTON (Usa) – La poltrona di “commander in chief” non è mai stata così traballante per il presidente americano Donald Trump. A far tremare le pareti dello studio ovale è il dibattito scatenato dall’editoriale pubblicato recentemente dal New York Times in cui un anonimo alto funzionario della Casa Bianca critica aspramente Trump, mettendone in dubbio non solo l’integrità ma anche la capacità stessa di ricoprire il suo ruolo.
Il misterioso collaboratore ha rivelato come nei corridoi della West Wing sia stata oggetto di conversazione l’ipotesi – difficilmente praticabile – di destituire Trump con il 25° emendamento della Costituzione.
Negli Stati Uniti è possibile percorrere due diversi iter istituzionali per rimuovere un presidente dal suo ufficio: uno è la messa in stato di accusa ovvero il cosiddetto impeachment; l’altro è l’applicazione della quarta sezione del 25° emendamento.

IMPEACHMENT
La procedura di impeachment parte dalla Camera che indica i capi di accusa e vota a maggioranza semplice. Il passo successivo è in Senato, dove però occorre il voto favorevole dei 2 terzi. Nel caso specifico di Trump, si potrebbe avanzare l’accusa di ostruzione della giustizia in seno alle indagini del Russiagate condotte dal procuratore speciale Robert Mueller.
Nella storia americana, sono stati soltanto due i presidenti messi in stato di accusa, ovvero Andrew Johnson nel 1868 per abuso di potere e Bill Clinton nel 1998 per aver mentito sull’affare con Monica Lewinsky. Entrambi furono assolti in Senato.

IL 25° EMENDAMENTO
Per attivarlo, non occorrono accuse specifiche, basta una dichiarazione ufficiale sulla “incapacità” del presidente di svolgere la sua funzione, firmata dal vicepresidente e dalla maggioranza dei membri del gabinetto e poi consegnata al Congresso. Il presidente in carica viene sostituito dal vicepresidente, ma potrebbe comunque opporsi alla decisione. Il Congresso ha poi tre settimane per pronunciarsi definitivamente chiedendo anche il supporto di medici ed esperti.
Questo emendamento fu introdotto nel 1965 – e ratificato due anni dopo – per colmare il vuoto giuridico messo in evidenza a seguito dell’assassinio di John F. Kennedy nel 1963. Mentre la Costituzione era chiara in caso di morte del presidente, non lo era allorché subentrassero gravi impedimenti fisici o qualora ci si trovasse dinnanzi all’incapacità mentale di svolgere il proprio lavoro. (agi)

Con un tweet rischiò di scatenare la guerra con la Corea del Nord

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rischiò di scatenare una guerra con la Corea del Nord con un tweet che aveva pensato di pubblicare. Lo ha raccontato in un’intervista alla Cbs il giornalista Bob Woodward, anticipando un estratto dell’attesissimo libro “Fear: Trump in the White House” in uscita martedì. “Stiamo per ritirare il nostro personale dalla Corea del Sud – e i 28.000 famigliari presenti nel Paese”, è il testo del tweet citato da Woodward che non sarebbe stato mai pubblicato perché i vertici del Pentagono avvertirono il presidente che poteva essere interpretato da Pyongyang come un segnale che gli Usa stavano per sferrare un attacco.
I vertici militari, stando al giornalista, pensarono: “Dio mio, dalle informazioni affidabili che abbiamo, questo tweet sarà interpretato dai nordcoreani come l’indicazione di un attacco imminente”.
Nel suo libro, Woodward descrive il presidente degli Stati Uniti come disinformato e impulsivo al punto tale da rasentare
l’incoscienza. I suoi stessi assistenti alla Casa Bianca a volte avrebbero rimuovevano i documenti dalla sua scrivania per impedirgli di compiere scelte avventate. (agi)

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