Stefano Maria Bianchi e i suoi colleghi di Sciuscià e Annozero vincono in Cassazione

Programmisti registi: l’Inpgi batte la Rai

ROMA – Sono dovuti all’Inpgi 1 i contributi previdenziali di un gruppo di programmisti registi Rai, tra i quali il giornalista Stefano Maria Bianchi, per 23 anni collaboratore di Michele Santoro nei programmi Sciuscià e Annozero.

Stefano Maria Bianchi

Lo ha definitivamente stabilito la sezione lavoro della Cassazione con ordinanza n. 27544 del 2 dicembre 2020 (presidente Federico Balestrieri, relatore Rosa Arienzo), confermando il decreto ingiuntivo emesso una dozzina d’anni fa a favore dell’Inpgi per la somma di 100 mila euro a titolo di contributi e sanzioni per omissioni contributive dovute dalla Rai, essendo stata riconosciuta – in linea con il servizio ispettivo dell’ente previdenziale – come giornalistica l’attività svolta da Stefano Maria Bianchi e dagli altri programmisti registi.
Il giornalista Bianchi, 57 anni, pugliese di Taranto, é autore di importanti inchieste di rilievo sociale e professionale ed ha ottenuto due volte il Premio Ilaria Alpi. Un anno fa, assistito dall’avvocato Vincenzo Iacovino, ha vinto la sua battaglia giudiziaria contro la Rai, essendogli stato interamente riconosciuto dalla Corte d’Appello di Roma il suo rapporto di lavoro subordinato con l’azienda pubblica. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Cassazione Sezione Lavoro Ordinanza n. 27544 del 2 dicembre 2020
(Presidente Federico Balestrieri, relatore Rosa Arienzo)

ORDINANZA

sul ricorso 440-2015 proposto da:
Rai Radiotelevisione Italiana spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po 25-B, presso lo studio degli avvocati Roberto Pessi e Maurizio Santori. che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –

contro

Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani;
– intimato

nonché contro

Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi, Carla D’Aloisio, Ester Ada Sciplino, Lelio Maritato, Giuseppe Matano, Emanuele De Rose;
– resistente con mandato –

avverso

la sentenza n. 10717/2013 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 15 gennaio 2014 r.g.n. 5801/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 settembre 2020 dal Consigliere dott. Rosa Arienzo.

RILEVATO CHE:

1. il Tribunale di Roma aveva rigettato l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’Inpgi per la somma di € 100.075,00 a titolo di contributi e sanzioni per omissioni contributive dovute dalla Rai s.p.a., riguardanti la posizione di Stefano Maria Bianchi ed altri lavoratori, inquadrati come programmisti registi, ma ritenuti dall’istituto previdenziale giornalisti per le caratteristiche dell’attività svolta;
2. con sentenza del 15.1.2014, la Corte d’appello di Roma respingeva il gravame proposto dalla Rai s.p.a. osservando che il termine prescrizionale anche quinquennale non era decorso e che il Tribunale aveva ritenuto, in conformità ad orientamento giurisprudenziale di legittimità, che il verbale di accertamento redatto dai funzionari dell’ente previdenziale rendeva superfluo l’espletamento della prova orale quando, come nella specie, il suo contenuto probatorio o il concorso di altri elementi costituisse base probatoria già sufficiente ai fini considerati; per di più, la Corte riteneva opportuno procedere alla prova testimoniale, il cui esito era favorevole alla tesi dell’istituto quanto a natura giornalistica dell’attività espletata dai lavoratori, con conseguente onere contributivo in favore dell’ente, senza obbligo per lo stesso di applicazione del regime sanzionatorio più favorevole previsto dall’art. 116 della legge 388/2000;
3. di tale pronuncia domanda la cassazione la Rai, affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.;
l’Inps ha rilasciato procura speciale in calce alla copia del ricorso notificata, laddove l’Inpgi è rimasto intimato.

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo è dedotta violazione/o falsa applicazione della I. 335/1995, sostenendo la Rai che dovevano ritenersi prescritti i contributi dovuti per il Bianchi relativi al periodo 2.9.1998/26.5.1999, dal momento che la notifica del verbale di accertamento era risalente alla data del 30 giugno 2004 e che nessuna denuncia del dipendente era stata effettuata, non potendosi considerare tale il modulo sottoscritto in data 20 ottobre 2003 su sollecito degli ispettori Inpgi;
1.1. assume la società che la circostanza secondo cui il versamento può essere effettuato fino al 20 del mese successivo alla scadenza costituisca null’altro che una mera prassi burocratica che rimane estranea alla struttura genetica dell’obbligazione contributiva e che il predetto differimento sia inidoneo a provocare la sospensione del decorso del termine prescrizionale, con la conseguenza che la sentenza debba essere cassata nella parte in cui non ha ritenuto prescritti i contributi relativi al periodo anteriore al 20 ottobre 1998;
2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione della legge n. 69 del 1963, della legge n. 633 del 1941 anche in relazione all’art. 2575 c.c., violazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 39 Cost., dell’art. 1 Cnlg e Ccl Rai nella parte in cui prevede la declaratoria del profilo di “programmista regista”, sostenendo che l’elemento connotante l’attività giornalistica e, quindi, in primo luogo la creatività dell’elaborazione, selezione, valutazione ed esposizione delle notizie con apporto soggettivo ed inventivo prescinda dalla iscrizione all’albo dei giornalisti e trovi riscontro nella interpretazione fornitane dalla S.C., che ha in più occasioni evidenziato il ruolo di mediatore fra il fatto e la diffusione della sua conoscenza necessario ai fini dell’individuazione di attività propriamente giornalistica;
3. con il terzo motivo, la società si duole della violazione della legge 69/1963, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle dichiarazioni testimoniali acquisite in giudizio, assumendo che le stesse non abbiano confortato sul piano probatorio l’asserita valenza giornalistica del contributo apportato, privo dei caratteri dell’originalità, creatività, selezione e critica, atteso che anche i programmi cui gli stessi lavoratori hanno collaborato non siano caratterizzati dalla prevalenza dell’apporto informativo proprio dell’attività giornalistica;
4. con il quarto motivo, la Rai ascrive alla decisione impugnata violazione dell’art. 116, commi 8 e 20, I. 388/2000 e dell’art. 1189 c.c., sul rilievo che non sia stata valutata la sussistenza della buona fede della Rai;
5. quanto al primo motivo, é estranea al decisum la questione della inapplicabilità della prescrizione decennale nuovamente riproposta dalla Rai, poiché la sentenza si fonda sul rilievo del mancato decorso anche della sola prescrizione quinquennale, dovendo aversi riguardo quale termine di decorrenza della stessa al termine di versamento, coincidente con il giorno 20 del mese successivo alla scadenza e quindi con la data del 20.10.1998, rispetto al quale non si era compiuto il quinquennio avendosi riguardo alla denuncia presentata il 20.10.2003;
5.1. rispetto a tale motivazione non risulta pertinente la prima parte della censura, che, peraltro, si fonda sul rilievo che la denuncia per il recupero di contributi assicurativi era nella specie rappresentata da una dichiarazione rilasciata dal lavoratore che non faceva alcun riferimento al tipo di attività svolta in concreto, né conteneva alcuna rivendicazione in tal senso o denuncia contributiva;
5.2. ciò è dedotto in dispregio dei principi che regolano il giudizio di legittimità, che non consente tale tipo di critica se non attraverso l’adempimento dell’onere di specificità, che richiede la trascrizione dell’atto di riferimento e la contestazione della interpretazione compiutane attraverso il richiamo alla violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.;

La Corte di Cassazione al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma (Foto Giornalisti Italia)

5.3. quanto, poi, alla dedotta violazione della normativa in riferimento all’erronea individuazione del termine di decorrenza della prescrizione prescindendosi dal riferimento alla data di venuta ad esistenza ed esigibilità del diritto contributivo, la tesi sostenuta alla Rai è infondata per essere pacifico il principio alla cui stregua i contributi si prescrivono in via generale in cinque anni dal giorno di scadenza dei termini per il relativo versamento, poiché è da tale termine che l’ente creditore può fare valere il proprio diritto;
6. in ordine al secondo motivo, al di là di un generico richiamo alla declaratoria di programmista regista contenuta nel c.c.n.l., la ricorrente censura la mancanza di idonea motivazione a supporto della ritenuta qualificazione come attività giornalistica della prestazione resa dai lavoratori, senza riferimenti critici al processo sussuntivo compiuto dal giudice del gravame e peraltro la decisione non risulta fondata, come parrebbe in forza della focalizzazione della critica avanzata sulla ritenuta decisività dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti, sulla sussistenza di tale requisito, quanto piuttosto sulla natura sostanziale dell’attività espletata, caratterizzata dalla raccolta, elaborazione ed interpretazione critica delle notizie con l’apporto creativo richiesto; inconferente è, poi il richiamo alla violazione dell’art. 2575 c.c. (diritto d’autore) senza ulteriori specificazioni delle ragioni critiche che valgano a connotarne i termini;
7. quanto alla censura prospettata con il terzo motivo, seppure l’intestazione della rubrica rimanda alla violazione delle norme richiamate, la critica investe il merito e come tale è palesemente inammissibile per quanto reiteratamente affermato da questa Corte con riguardo alla dedotta violazione, in quanto un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi rispettivamente che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge o abbia fatto ricorso alla propria scienza privata, ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici ed abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr., tra le altre, Cass. 17.1.2019 n. 1229, Cass. 27.12.2016 n. 27000): nessuna di tali situazioni è rappresentata nel motivo anzidetto, per cui le relative doglianze sono da ritenere mal poste, tendendo unicamente ad una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità;
7.1. ugualmente inammissibile è la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., non essendosi realizzata un’inversione dell’onere probatorio e non essendo il motivo incentrato su tale violazione;
8. infine, la pretesa applicabilità all’Inpgi del nuovo regime delle sanzioni di cui all’art.116, comma 20, della legge 388/2000 contrasta con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato in modo meditato, con indirizzo oramai consolidato, che la legge 388 del 2000 non è applicabile all’Inpgi automaticamente, poiché l’Istituto, per assicurare l’equilibrio del proprio bilancio in ottemperanza dell’obbligo di cui all’art. 2 del d. Igs. n. 509 del 1994, ha il potere di adottare autonome deliberazioni (cfr. Cass. 9047/2016; Cass. 12208/2011);
9. alle svolte considerazioni segue il rigetto dell’impugnazione;
10. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo l’Inpgi rimasto intimato e non avendo l’Inps svolto alcuna attività difensiva;
11. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 15 settembre 2020

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