“Giornalisti e comunicatori devono porsene e porne di più per ridurre la confusione”

Pandemia e infodemia: il rimedio? Più domande

ROMA – L’overload informativa su Covid-19 induce inevitabile confusione nei pubblici, ma al riguardo dobbiamo sfatare due miti. Il primo è quello per cui, secondo un vetusto approccio ipodermico, le notizie errate o false determinerebbero automaticamente comportamenti conseguenti: se così fosse, non ci spiegheremmo come mai a fine 2017, dopo un anno di grancassa dei no-vax contro la legge sull’obbligo vaccinale, i pro vax siano cresciuti.
Evidentemente proprio le polemiche e la possibilità, per i ricercatori, di affermare le loro ragioni scientifiche hanno maggiormente coscientizzato i cittadini sulla necessità di questo presidio sanitario per mantenere l’immunità di gregge. Quest’accortezza ci dovrebbe guidare anche rispetto ai social network, arena di bufale, negazionismi e complottismi che però possono essere cavalcati come una straordinaria opportunità di veicolare informazione corretta nello spettro crossmediale.
Altro luogo comune smentito dalla realtà e dalle analisi è che l’Italia sia più soggetta di altri paesi all’influenza delle fake news, in quanto meno alfabetizzata scientificamente. Quest’ultimo dato è purtroppo innegabile e, per quanto assurdo paia, la quota di popolazione incapace di affermare con certezza se il Sole è una stella o un pianeta è tutt’altro che irrisoria. Eppure il nostro Paese sta reggendo l’ondata pandemica meno peggio di altri partner europei e internazionali ritenuti più “avanzati”. E ricordiamo che gli atteggiamenti antiscientisti più insidiosi giungono da persone di ceto socio-culturale medio-alto, a causa del cosiddetto effetto Dunning-Kruger per il quale le nostre parziali conoscenze diventano il maggiore ostacolo alla loro crescita e modifica.

Marco Ferrazzoli

Il gap più serio, comunque, non è quello sulle informazioni scientifiche ma sul metodo scientifico, che andrebbe spiegato e applicato a qualunque aspetto della realtà si voglia analizzare e commentare.
Non dobbiamo insomma fare sconti alla complessità dell’attuale situazione mediologica, che risente dell’incertezza e del dubbio non meno di quella epidemiologica. Se in epistemologia Karl Popper ha statuito come criterio identificativo della scienza la fallibilità, lo stesso principio può essere applicato all’informazione e alla comunicazione.
Il prodotto tra questi due fattori è di gestione non semplice: come spiegare ai cittadini che da un lato devono accettare l’imperfezione e l’impreparazione della ricerca scientifica nel combattere questo virus e, allo stesso tempo, dire loro che nonostante ciò la voce della ricerca è l’unica che politica e società debbono ascoltare in questo frangente? Come spiegare che i microrganismi sono gli esseri viventi più antichi e più diffusi sulla Terra, che probabilmente sopravvivranno a tutti gli altri, senza che questa sembri una dichiarazione di resa?
Non possiamo banalizzare e semplificare oltre misura una problematica che investe aspetti fondamentali come la democrazia mediatica e civile. Il principio di par condicio che si assume generalmente come metodo di equilibrata informazione e quello per cui una testa vale un voto, nel caso della pandemia e delle questioni scientifiche non contano. Se anche la maggioranza decidesse che “non ce n’è Coviddi”, questo continuerebbe a contagiare. E non è corretto né sensato contrapporre sul tema uno scienziato e un anti-scientista, come purtroppo accade.
Al di là di queste contrapposizioni frontali e degli estremismi, poi, ci sono sfumature insidiose nella rappresentazione mediatica della Covid-19. La tendenza a rappresentare il pericolo in termini di vittime, per esempio, induce una sorta di impietosa e inefficace guerra tra poveri, nella quale le patologie oncologiche e cardiologiche possono esibire cifre enormi, mentre le cosiddette malattie rare e orfane rischiano di essere sempre più ignorate in quanto tali.
La ragione per cui dobbiamo tener desta la nostra attenzione su Sars-Cov-2 è che si tratta dell’ennesimo contagio che ci aggredisce, smentendo la percezione di immunità e impunità che l’Occidente ricco e avanzato coltiva stoltamente; la rapidità e ampiezza della sua diffusione, inoltre, lo rendono un terribile paradigma dei costi connessi alla globalizzazione.
Ci sono alcuni modi con cui giornalisti e comunicatori possono approcciare una situazione tanto complessa e delicata, per ridurre la inevitabile confusione. Porsi e porre più domande, anziché dare spazio a presunte certezze apodittiche. Non indurre paura, sempre cattiva consigliera, ma spiegare il principio di cautela per cui le misure di sicurezza su cui tanto si insiste sono necessarie a scongiurare un rischio magari remoto ma infinitamente più serio. Infine, su questi temi un esperto è davvero tale se vanta non una generica laurea in medicina o una specializzazione dedicata, ma un curriculum attestato da indici e ranking riconosciuti a livello internazionale: un sistema del quale dovremmo essere più consapevoli. (giornalistitalia.it)

Marco Ferrazzoli
capo Ufficio stampa CNR, Università Roma Tor Vergata

 

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