Intervista al Corriere della Sera: «Ho presentato un’offerta al proprietario Pessina»

Michele Santoro vuole comprare l’Unità

Michele Santoro

ROMA – «Ho sfaccettature complicate. Non smentisco chi mi dà del comunista. Ma credo nel mercato e nella meritocrazia», Michele Santoro si confessa al Corriere della Sera e in un’intervista a Stefano Lorenzetto ricorda che la Rai è «la casa dove sono nato, ma vivo bene anche lontano dalle telecamere», tant’è che ha pensato di comprare il quotidiano l’Unità: «Ho presentato un’offerta al proprietario, il costruttore Massimo Pessina».
Il giornalista del Corriere lo ha incontrato nella sede della sua Zerostudio’s e gli ha subito chiesto perché si è candidato per il cda Rai: «Per costringerli a scegliere persone migliori di me. Ora la Lega ha presentato un’interrogazione alla Camera contro un mio programma che non c’è. Ho scritto al presidente Roberto Fico. Manco mi ha risposto. In Italia si fa così».
Quindi ha aggiunto di avere incontrato il direttore di Rai2: «Con lui ho parlato del più e del meno. Subito hanno rivisto in Santoro lo spettro del passato. Carlo Freccero mi ricorda una definizione di Giancarlo Pajetta (“È contemporaneamente un opportunista di destra e di sinistra”). Mi limito a gestire il mio sito, un laboratorio che sonda gli umori della Rete e produce contenuti. Finché potrò permettermelo».
Michele Santoro spiega anche la sua “conversione” a Internet: «Quando ideai “Tempo reale”, il Web contava appena 10.000 utenti. Con la Olivetti sperimentai il rapporto fra computer e televisione. Una volta per andare in onda dovevi saper ballare, cantare, presentare. Oggi un ragazzo di borgata diventa una star di YouTube interpretando solo sé stesso».
Tornando alla Rai, Santoro ricorda: «A via Teulada avevo un intero piano. Dopo l’editto bulgaro mi lasciarono solo una stanzetta. Due anni senza lavorare. Era la più bella tv d’Europa e divenne la più povera, fatta su misura per Berlusconi». Quindi ricorda il suo “maestro”: «Angelo Guglielmi, il direttore di Rai3. Tu parlavi e lui intanto soffiava su una carta velina, come se fosse un’armonica. Era il suo modo di ascoltarti». E il miglior direttore generale: «Biagio Agnes. Trattava alla pari con i politici. Impose la terza rete. Al Tg3 prima ci disputavamo le poche macchine per scrivere della redazione». Mentre di Enzo Siciliano, quello che a chi gli faceva il suo nome rispondeva «Michele chi?», dice: «Però prima di andarsene mi chiese scusa. Sono l’unico direttore votato all’unanimità, su indicazione del presidente Letizia Moratti, che non fu mai insediato in un tg. Il dg Raffaele Minicucci bloccò la nomina per ordine del Pds. Mi risarcirono garantendo autonomia a “Tempo reale”. Appena Romano Prodi vinse le elezioni, la struttura fu sciolta». (giornalistitalia.it)

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