La Cassazione boccia l’ingiunzione di 470.392 euro di contributi per 19 giornalisti

Medianews: respinte le richieste dell’Inpgi

ROMA – Dopo una dozzina d’anni di causa é stata definitivamente respinta dalla Cassazione la richiesta dell’Inpgi per ottenere da Medianews il pagamento di circa mezzo milione di euro per contributi omessi in relazione all’attività giornalistica svolta da diciannove collaboratori.
Con ordinanza della sezione Lavoro della Suprema Corte n. 21471 del 6 ottobre 2020 (presidente Antonio Manna, relatore Francesco Buffa) i supremi giudici hanno confermato la precedente decisione della Corte d’appello di Roma che aveva escluso la ricorrenza della subordinazione (seppure attenuata) in capo ai collaboratori in ragione dell’assenza di obbligo di orario, del compenso dei collaboratori a pezzo con ricevuta, dell’assenza dell’obbligo di permanenza a disposizione del datore e di direttive datoriali. (giornalistitalia.it)

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Corte di Cassazione sezione Lavoro ordinanza n. 21471 del 6 ottobre 2020 (presidente Antonio Manna, relatore Francesco Buffa)

ORDINANZA

sul ricorso 4334-2015 proposto da: Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” C.F. 01057021006, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizia 34, presso lo studio dell’avvocato Marco Petrocelli, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

contro

Medianews srl in liquidazione;
– intimata –
avverso la sentenza n. 854/2014 della Corte d’Appello Civile di Rona, depositata il 12 febbraio 2014 r.g.n. 6372/2010.

RILEVATO CHE:

1. Con sentenza del 12.2.14, la Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del tribunale del 29 dicembre 2009, ha accolto l’opposizione proposta da Medianews spa avverso il decreto ingiuntivo emesso dal medesimo tribunale in favore dell’Inpgi, con il quale era stato ingiunto alla predetta società di pagare euro 470.392 oltre interessi e spese, per contributi omessi in relazione all’attività giornalistica svolta da diciannove collaboratori.
2. In particolare, la corte territoriale ha escluso la ricorrenza della subordinazione (seppure attenuata) in capo ai collaboratori in discorso, in ragione dell’assenza di obbligo di orario, del compenso dei collaboratori a pezzo con ricevuta, dell’assenza dell’obbligo di permanenza a disposizione del datore e di direttive datoriali.
3. Avverso tale sentenza ricorre l’Inpgi con tre motivi; è rimasta intimata Medianews, in liquidazione.

CONSIDERATO CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli articoli 2094 c.c., 2 del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti (DPR 153 del 1961), per avere la sentenza impugnata trascurato la rilevanza di indici rivelatori appropriati ed aver invece applicato indici (quale il compenso variabile e l’assenza di orario fisso e di soggezione ai poteri direttivi) non determinanti rispetto alla prestazione giornalistica e non decisivi per escludere il lavoro giornalistico subordinato.
5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nei prospetti dei turni del personale, documentazione ritualmente prodotta e richiamata in appello, avente carattere decisorio in quanto dai turni è desumibile sia un vincolo di orario sia l’obbligo per di permanere a disposizione del datore tra un turno e l’altro, aspetti questi del tutto trascurati dalla sentenza impugnata.
6. Con il terzo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – omesso esame di fatto decisivo per il giudizio consistente nei trasferimenti e nelle trasferte di alcuni collaboratori, fatto sottolineato in appello e ignorato dalla sentenza impugnata, nonostante la sua decisività derivante dall’essere istituti tipici di rapporto di lavoro subordinato, espressione dello ius variandi datoriale e della supremazia gerarchica, nonché correlativamente della soggezione del lavoratore alle direttive del datore.
7. Il primo motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata non ha in alcun modo violato i criteri delineati dalla giurisprudenza di questa Corte circa gli indici sintomatici attraverso i quali distinguere fra autonomia e subordinazione, ma ha operato un giudizio complessivo della natura dell’attività che costituisce pur sempre un insindacabile accertamento in fatto, non censurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13814 del 27/05/2008).
8. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili ex art. 348-ter c.p.c. perché, malgrado la doppia conforme di merito, lamentano un omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Né per evitare tale inammissibilità il ricorso dell’Inpgi rispetta l’onere di indicare le ragioni di fatto della sentenza di primo grado e di quella d’appello per dimostrare che esse sono tra loro diverse.
9. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente precisato (Cass. Sez. L – , Sentenza n. 20994 del 06/08/2019, Rv. 654646 – 01; Sez. 1 -, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03; Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014, Rv. 630359 – 01) che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in Cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
10. Il ricorso deve dunque essere rigettato.
11. Nulla per spese, essendo Medianews spa in liquidazione rimasta intimata.
12. Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, D.p.r. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella adunanza camerale del 7 luglio 2020.

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