È scritto nelle motivazioni della sentenza di ergastolo per Virga e Mazzara

Mauro Rostagno fu assassinato dalla Mafia

Mauro Rostagno

Mauro Rostagno

ROMA – Il giornalista Mauro Rostagno, anima della tv trapanese Rtc, ucciso nella campagna di Lenzi il 26 settembre del 1988, fu vittima della Mafia. Non ci sono più dubbi. Nè piste alternative. Lo dicono, nero su bianco, le motivazioni della sentenza con cui sono stati condannati all’ergastolo, nel maggio dell’anno scorso, i mafiosi trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara. A darne notizia, riportando ampi stralci delle tremila pagine di motivazioni che, dopo quasi trent’anni, fanno finalmente chiarezza sull’omicidio del giornalista siciliano che denunciava senza paura i crimini di Cosa Nostra, è Il Fatto Quotidiano. “L’indagine sul movente dell’omicidio di Mauro Rostagno, che ha impegnato larga parte dell’istruzione dibattimentale, ha consentito di misurare tutta l’inconsistenza delle piste alternative a quella mafiosa, – si legge nelle motivazioni della sentenza – che pure sono state esplorate, senza preconcetti, e dando il più ampio spazio alle istanze e agli impulsi delle parti interessate a coltivarle”.
“Di contro, a partire proprio da una ricognizione dei contenuti salienti del lavoro giornalistico della vittima, – riporta, ancora, Il Fatto – di talune sue inchieste in particolare, ma del suo stesso modo di concepire e soprattutto di praticare il giornalismo e l’informazione come terreno di elezione di una ritrovata passione per l’impegno civile, profuso anzitutto nel contrasto al fenomeno della droga, nel solco dell’equazione lotta alla droga=lotta alla mafia, è emerso come Cosa Nostra avesse più di un motivo, e uno più valido dell’altro, dal suo punto di vista, per volere la morte di Rostagno”.
Nelle motivazioni della sentenza che ha portato all’ergastolo di Virga e Mazzara si ritrova anche la “spiegazione” della volontà mafiosa di eliminare Rostagno, evidentemente troppo scomodo per il suo acume investigativo: “E’ stato possibile portare alla luce anche una parte ‘sommersa’ del lavoro d’inchiesta del sociologo torinese che attesta la profondità e l’acutezza del suo sforzo di approfondimento e di studio del fenomeno mafioso come concrezione violenta di un sistema di potere di cui egli indagava, con metodo scientifico e da sociologo qual era le radici strutturali, ma senza trascurare l’immersione nell’attualità e nella concretezza del fenomeno criminale. E con questa profondità visiva che gli veniva dal possesso degli strumenti e delle attitudini di studioso egli stava approfondendo una sua personale ricerca dei retroscena dei più eclatanti delitti che avevano insanguinato la provincia trapanese negli ultimi anni, nella convinzione che vi fosse un filo che li legava gli uni agli altri, rimontando indietro fino alla strage di via Carini, all’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, intravedendo nell’omicidio Lipari un delitto di rilevanza strategica, rivelatore di una competizione in atto con una nuova mafia che contendeva con crescente successo alla vecchia guardia l’egemonia”.

I commenti sono chiusi.