Intervista al sottosegretario: “Una catastrofe che insegna il valore della pace”

Lotti: “Dalla Grande Guerra la nostra Europa”

Luca Lotti

Grande GuerraROMA – «Se domattina sarà finito tutto, allora non avremo raggiunto l’obiettivo», dice il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti. Ma non è preoccupato: è contento di essersi ritrovato addosso le celebrazioni per il centenario dell’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale dopo i settant’anni della Liberazione. «La storia mi è sempre piaciuta. Da bimbo andavo avanti sul libro di scuola e quando ho incontrato i membri del comitato scientifico per gli anniversari non mi pareva vero: Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Sabbatucci, Mario Isnenghi. Avevo studiato sui loro testi».
Invece che dovrebbe succedere domani mattina?
«Dovrebbe cominciare tutto. Vorrei che nei ragazzi si accendesse la scintilla della curiosità. La struttura di missione che presiedo, e che è nata sotto il governo Prodi su impulso di Giorgio Napolitano per il 150esimo dell’Unità d’Italia, ha due scopi: il recupero con uno stanziamento di circa 30 milioni in cinque anni di musei, ossari, trincee, fortini e il racconto della tragedia della Grande Guerra perché non se ne perda la memoria».
La memoria pare già abbastanza persa.
«È così. Se si va fuori dalle scuole e si fanno due domande si vedono spesso ragazzi a bocca aperta. E i genitori né più né meno. È stata anche colpa della politica. Eppure l’Italia di oggi è tale perché c’è stata Tangentopoli, la contestazione degli anni Settanta, il boom economico e tanto altro, compresa la Grande Guerra. Penso una cosa, e vorrei ci riflettessero gli studenti: non soltanto l’Italia ma anche l’Europa come la conosciamo oggi è nata nelle trincee».
L’incontro fra ragazzi?
«Esatto. Quei ragazzi pensavano che il nemico fosse il demonio. Poi c’erano le tregue, come quelle natalizie, e col nemico si incontravano nella terra di nessuno. Capivano di essere uguali, di essere partiti alla guerra per gli stessi ideali, magari distorti, malintesi, ma identici. E però i nostri figli non sanno che nelle trincee soprattutto si moriva dopo battaglie infinite e orribili per la conquista di dieci metri; ecco, quando partono con l’Erasmus vorrei che, trovandosi a fianco di un coetaneo di altra nazionalità, pensassero: cento anni fa ci saremmo sparati addosso, ora non più».
La pace ci sembra una conquista per sempre. Ma non è così.
«No. Soltanto cento anni fa l’intera Europa era in fiamme per una guerra che oggi definiremmo civile. E può risuccedere: se non si conosce il passato non si costruisce il futuro. Come diceva Elie Wiesel: senza memoria non c’è cultura, non ci può essere civiltà né società, senza memoria non c’è futuro».
Lei siede in un governo che, come si è visto per il Settantesimo della Liberazione, ha un’idea politica della storia. Fabio Martini sulla Stampa ha notato che avete usato meno del solito la parola «fascismo» nelle celebrazioni.
«Ho usato spesso la parola “antifascismo” nel celebrare il 25 aprile ma è vero che la festa è di tutti e fin qui è stata usata dai partiti per stabilire chi fosse degno e chi no di stare in piazza. Intendiamoci: ho ben chiaro che nel ’45 erano dalla parte giusta partigiani e americani e dalla parte sbagliata fascisti e tedeschi, ma non vogliamo più che Resistenza e Liberazione siano usati per dividere gli italiani. La memoria deve unire».
È stato così anche per la Grande Guerra?
«A lungo: quelli di destra che santificavano la vittoria e quelli di sinistra che la svilivano. Non ha senso. Cogliamo l’occasione del centenario per recuperare una memoria e stabilire un equilibrio. Oggi non dovrebbe essere difficile: insomma, il Novecento è finito da un po’…».
Molta della battaglia politica, dal parlamentarismo ai diritti acquisti, è eredità del Novecento.
«Come le grandi conquiste del Novecento sono state in parte eredità dell’Ottocento: è sull’Unità d’Italia costruita nell’Ottocento che, dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo edificato la Repubblica e scritto la Costituzione. Per conservare i valori originari dei padri costituenti dobbiamo cambiare la seconda parte della Carta, quella che quei valori dovrebbe concretamente realizzare, eliminando ciò che rende lenta e goffa la macchina dello Stato, come il bicameralismo perfetto».
L’ambizione unificante sembra far parte del renzismoonnivoro che non prevede alternative.
«Ma se abbiamo appena approvato la prima legge elettorale bipolarista a tendenza bipartitica della storia d’Italia!».
Torniamo alla Grande Guerra: come si risveglia la curiosità?
«Abbiamo progetti che durano fino al 2018 e comprendono restauri, percorsi multimediali, iniziative della Rai…».
È tutto sul sito www. centenario 1914-1918.it. Ma uscendo dall’accademia, a un ragazzo che film consiglierebbe?
«Ce ne sono di meravigliosi, dalla Grande Guerra di Monicelli a Orizzonti di Gloria di Kubrick. Mi è piaciuto moltissimo. Torneranno i prati di Ermanno Olmi, uscito da pochi mesi. Racconta la vita e l’orrore quotidiano in trincea».
È un film che dovreste mandare nelle scuole.
«Qualche istituto ce lo ha chiesto e lo ha avuto. Però on line ci sono altri film, documentari eccellenti. Le biblioteche sono piene di romanzi indimenticabili, da Hemingway a Remarque: basta allungare le mani».

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