Nostra intervista ai due giornalisti su un libro di appunti per ricordare e non sbagliare

La Libia inedita di Andrea Camaiora e Mario Nanni

Mario Nanni

ROMA – Appena fresco di stampa “Libia 110 anni dopo. Appunti per ricordare (e non sbagliare)”, scritto a quattro mani dai giornalisti Mario Nanni, direttore editoriale di Bee Magazine, e Andrea Camaiora. Un saggio storico ed emozionale.
Il veterano e il giovane, il passato e il futuro, l’analisi e il sentimento, il cronista navigato di altri tempi e lo spin doctor dei tempi dei social, un mix esplosivo che a volte funziona benissimo, altre volte fa saltare il banco, ma in questo caso il risultato è assolutamente vincente e convincente.

Andrea Camaiora

Il prodotto finale è un libro scritto a quattro mani da due esperti della comunicazione, giornalisti che per una fase della propria vita professionale diventano anche storici e commentatori di politica estera. Ne è venuto fuori un saggio veloce, croccante, pieno di aneddoti che solo un grande cronista come Mario Nanni avrebbe potuto tirar fuori dai verbali segreti della storia e degli archivi di Stato, e che solo un giovane e sofisticato digital marketing come Andrea Camaiora avrebbe potuto trasformare in un prodotto di grande interesse mediatico.
Ecco cos’è, “Libia 110 anni dopo. Appunti per ricordare (e non sbagliare) di Mario Nanni e Andrea Camaiora, (The Skill Press, 183 pagine, 20 euro). Un libro scritto in occasione dei 110 anni dal conflitto italo-turco e dalla conseguente annessione della Libia (pubblicato non nel 2021 ma nel 2022 perché, si legge nella premessa del volume, «è nel 2012 che il Trattato di Ouchy sancisce come l’Italia abbia prevalso sull’Impero ottomano e definisce il nuovo equilibrio»).
Il volume ripercorre oltre un secolo di storia libica attraverso i principali passaggi politici e le figure chiave che ne hanno determinato gli eventi, con un occhio alle relazioni con gli altri Paesi, tra cui principalmente il nostro.

Muammar Gheddafi

Al centro del volume rimane prepotente e quasi ossessionante la presenza e la figura di Muammar Gheddafi, rimasto al potere per ben 42 anni, dal colpo di Stato con cui depose il re Idris dal trono nel 1969 fino al tragico epilogo nel 2011: di lui nella prima parte del libro si racconta la condotta politica (tra cui gli atteggiamenti ondivaghi verso l’Italia, con le continue richieste di risarcimenti per i danni subiti nel periodo coloniale da un lato e l’“amicizia” sancita nei Trattati dall’altro, e la sua posizione sempre conflittuale nei confronti degli Stati Uniti), ma anche il lato umano, così come i rapporti intrattenuti con Bettino Craxi e Giulio Andreotti prima, e con Silvio Berlusconi poi.
Di grandissimo valore storico è la parte relativa ai colloqui intercorsi tra i rappresentanti dell’amministrazione statunitense all’epoca della presidenza di Ronald Reagan e la diplomazia italiana (con Craxi e Andreotti appunto): «Dai dialoghi riportati – spiega Mario Nanni a Giornalisti Italia – emerge il diverso atteggiamento dei due Paesi verso la Libia, emblema di due culture politiche differenti. Se gli Usa erano impazienti di colpire con le armi il regime di un leader ritenuto un terrorista (l’attacco arrivò infatti nel 1986 e, forse, Craxi avvisò in tempo Gheddafi permettendogli di mettersi in salvo), l’Italia invece, assimilando la lezione realista di Machiavelli (il nemico o lo abbatti o ci vieni a patti), è sempre stata convinta della necessità di mantenere un dialogo aperto».

Bettino Craxi e Giulio Andreotti

Attualissimo il grande dilemma storico che da sempre si muove attorno a questa delicata pagina di storia internazionale. A 11 anni dall’intervento militare internazionale in Libia, 2011, che portò alla fine del regime libico e alla fine anche fisica di Gheddafi, l’Italia ha vinto la guerra?
Mario Nanni sorride, consapevole di avere la risposta forse più credibile che si possa dare a questa domanda e da instancabile topo da biblioteca riconosce: «L’Italia, allora c’era Berlusconi al Governo, fu trascinata quasi per i capelli. È noto che Berlusconi, che vantava rapporti anche personali con il rais libico, era contrario.

Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi

Ma poi ci fu un’accelerazione: da una parte il presidente francese Sarkozy spingeva per la guerra, per liberarsi – si disse – di un testimone scomodo, e a sua volta convinse il premier britannico Cameron; l’Onu approvò una risoluzione, e alla fine l’Italia dovette acconciarsi ad aderire alla coalizione. Quella guerra ha tolto di mezzo un dittatore, Gheddafi, ma non ha risolto nessuno dei problemi: la Libia è ancora in uno stato di disordine, le migrazioni sono incontrollate. Quella guerra, insomma, all’Italia ha portato più problemi di quanti non ne abbia risolti».

Nicolas Sarkozy e Muammar Gheddafi a Tripoli

E qui il grande giornalista parlamentare si trasforma in analista di politica estera. Nei rapporti diplomatici con Gheddafi, figure chiave sono state quelle di Andreotti e Craxi.
– Quale strategia ha funzionato di più rispetto agli americani e al loro atteggiamento verso il rais libico?
Il veterano del giornalismo parlamentare non ha dubbi: «Nei riguardi di Gheddafi, Andreotti e Craxi – risponde – hanno tenuto una linea sostanzialmente unitaria. Andreotti a ogni incontro con il leader libico si doveva sorbire le richieste di risarcimenti per i danni arrecati dagli italiani in tanti anni di occupazione del Paese.

Ronald Reagan

L’allora ministro degli Esteri con soave fermezza gli ricordava puntualmente che i libici erano stati già risarciti con gli accordi del 1956, e offriva al massimo un gesto simbolico, come la costruzione di un ospedale.
A sua volta, Craxi salvò una volta Gheddafi avvertendolo dell’imminente bombardamento americano, e così il rais poté rifugiarsi in un bunker. L’ex segretario del Partito Socialista Italiano in realtà non voleva favorire Gheddafi, ma evitare ripercussioni pericolose per l’Italia. Per questo, sia Craxi sia Andreotti cercarono di frenare l’impazienza americana di bombardare la Libia, cercando di convincere Reagan a dialogare con il rais libico, che il presidente americano considerava un terrorista irrecuperabile».
Mario Nanni è un fiume in piena, dal modo come spiega il suo saggio si coglie con mano forse la consapevolezza di essere finalmente riuscito a ricostruire la verità storica di quegli anni, forte probabilmente del fatto di aver potuto analizzare con i tempi necessari per farlo i tanti documenti un tempo top secret di Stato.

Muammar Gheddafi ricevuto al Quirinale da Giorgio Napolitano

Ma solo così si può scrivere un saggio di questo peso e di questo interesse. Scritto per altro alla sua maniera, lui maestro di giornalismo, dà anche qui il meglio di sé stesso, raccontando una delle fasi storiche più complesse della storia italiana con la leggerezza di un racconto d’appendice, come ormai ci ha abituato con i suoi saggi pieni di emozioni e ricordi personali.
Scrittura emozionale, insomma, al servizio della storia.

Muammar Gheddafi con Romano Prodi a Bruxelles

Nella seconda parte, scritta da Andrea Camaiora, il libro torna invece sulla guerra in Libia del 1911-12, offrendo una attenta analisi del conflitto alla luce del contesto internazionale, tra rapporti di forza ed equilibri delicati. Seguendo il filo della storia, ripercorrendo mosse giuste e passi falsi, il volume permette di ricollegarci ai tempi attuali, evidenziando quanto in una regione inquieta e fondamentale (per l’economia, ma anche per la pace) come quella del Mediterraneo ci sia la necessità oggi più che mai di una politica “alta”, attenta e lungimirante, capace di affrontare la complessità di un contesto in continua evoluzione e nel quale ogni Paese (le nazioni europee, la Russia e la Turchia, gli Usa e anche la Cina) vuole giocare la propria partita (e vincerla).
Anche qui una domanda di fondo.
– Con la guerra in Ucraina sono riemerse le foto che testimoniano il rapporto amichevole tra Berlusconi e Putin. Stesse relazioni con il colonnello libico. Atteggiamenti da biasimare o utili per le relazioni internazionali?

Vladimir Putin e Silvio Berlusconi

Andrea Camaiora ha la sue certezze: «Le relazioni internazionali sono da sempre mantenute e intessute secondo logiche che rispettano la realpolitik, un termine non a caso non italiano, ma che nasce nella Germania bismarckiana. Il nostro libro ripercorre alcuni frammenti della storia degli ultimi 110 anni e invita proprio a mettersi alle spalle retoriche buoniste che sono al bando in altre grandi nazioni. È giusto parlare con un capo di governo, per quanto criticabile, finché costui rappresenta il proprio popolo e la propria realtà statuale con la quale l’Italia ha rapporti più o meno stretti e, restando alla sua domanda, il nostro Paese ha rapporti stretti storicamente sia con la Libia sia con la Russia. Inoltre, per quanto vogliamo essere critici, in Italia non abbiamo – come nella socialdemocratica Germania – un ex cancelliere o presidente del Consiglio a libro paga del governo russo da moltissimi anni».
– Andrea, della storia italiana in Libia ci sono anche alcune ombre, come raccontato dal film anticoloniale “Il leone del deserto”. Cosa non dobbiamo dimenticare?
«Sicuramente non dobbiamo dimenticare che la nostra guerra di conquista e poi di occupazione è stata portata avanti con violenza, spietata determinazione, incessante determinazione, spezzando vite, distruggendo famiglie, causando orrore, dolore, morti. Ma occorre anche dire che la breve esperienza coloniale nazionale impallidisce, per risultati e spietatezza, di fronte ai più consolidati esperimenti britannici, francesi ma anche belgi».
– Cosa rimane dell’Italia in Libia?

L’ingresso della Fiera di Tripoli

«Nonostante decenni e gli ultimi anni di guerra, resta buona parte delle nostre opera infrastrutturali e urbane, restano le tracce del sacrificio dei nostro coloni, cacciati in modo ingiusto da Gheddafi, restano gli investimenti realizzati nel tempo e ancora portati avanti, con enormi sacrifici, da soggetti di primo piano dell’economia nazionale come Eni. Nonostante la guerra resistono a Tripoli la parte storica e centrale della città, quella che dalla medina e dall’attuale Piazza dei Martiri (l’ex Piazza Verde) si sviluppa intorno alle vecchie arterie stradali italiane: corso Vittorio Emanuele III, corso Sicilia, via Lazio, via Lombardia e via Piemonte».
C’è una parte del libro che ci aiuta a sognare, perché evoca un mondo quasi immaginario e lontano nel tempo, se non nello spazio, che Mario Nanni ha evocato con pochi ma significativi tratti.
«Dai film alle canzoni (come “Tripoli bel suol d’amore”) – scrive l’esperto vecchio cronista parlamentare – l’influenza culturale che il Paese africano ha lasciato all’Italia è tanta. Si può parlare di “immaginario libico” per gli italiani di una certa età. Ma anche i più giovani avranno sentito parlare dai nonni di questo Paese mediterraneo di fronte all’Italia, che Mussolini chiamò la “quarta sponda” e su cui poeti nazionali hanno speso loro discorsi.
Oltre a D’Annunzio, figura di poeta-soldato, che è già più scontata, c’è da ricordare Giovanni Pascoli con il suo discorso del 1912 “La grande proletaria si è mossa”. Poi ci sono film come “Bengasi”, canzoni come “Tripoli bel suol d’amore”, Giarabub. La Libia resta come memoria anche nella toponomastica di tante città italiane e piccoli centri, dove ci sono vie intitolate alle principali città libiche”. Il resto lo troverete nel libro. (giornalistitalia.it)

Pino Nano

Mario Nanni con il procuratore Nicola Gratteri

2 commenti

  1. Andreina De Tomassi

    Da “vecchia” tripolina non vedo l’ora di leggerlo. Grazie!

  2. Pietro de Angelis

    Caro Mario, tu in pensione non ci sei mai andato. Ti vedo impegnato in questa ennesima fatica letteraria. Complimenti e auguri. Me lo procurerò subito e lo leggerò con grande interesse.

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