Arrestati dalla polizia di Erdogan dopo lo scoop sulle armi forse finite in mano all’Isis

Istanbul al fianco dei giornalisti di Cumhuriyet

CumhuriyetISTANBUL (Turchia) – “A che punto siamo arrivati se l’informazione diventa la notizia!”. Scritto a mano con un pennarello nero, il cartello spontaneo si perde tra le centinaia preparati per la manifestazione di Istanbul a sostegno dei giornalisti di Cumhuriyet arrestati giovedì sera. Molti ancora non ci credono.
Il direttore Can Dundar, uno dei più noti e autorevoli esponenti della stampa turca, è stato portato in carcere insieme al caporedattore dell’ufficio di Ankara, Erdem Gul. Una misura cautelare in attesa di giudizio, ha deciso il tribunale. I loro capi d’accusa, che vanno dallo “spionaggio” alla “propaganda terroristica”, si basano su un articolo in cui rivelarono un presunto passaggio di camion carichi di armi dalla Turchia alla Siria, inviati a gruppi ribelli anti-assad ma che per qualcuno potrebbero anche essere finiti in mano all’Isis.
Uno scoop clamoroso pubblicato alla vigilia del voto del 7 giugno, in cui l’Akp del presidente recep tayyip erdogan perse la maggioranza assoluta. Gli autori pagheranno “un caro prezzo”, aveva minacciato allora Erdogan. Adesso, a poche settimane dal suo trionfo nelle elezioni anticipate, sono in galera.
“Assurdo” è il termine usato al megafono da uno dei giornalisti del quotidiano, voce storica del laicismo turco e da anni in prima linea contro il presidente. Mentre ringrazia per la solidarietà, e promette che “il giornalismo in turchia non verrà zittito”, la gente sventola la prima pagina di Cumhuriyet: “il giorno nero della stampa”.
Chi è venuto a manifestare per la libertà d’informazione, scandisce anche slogan contro Erdogan. “E la stessa cosa, è lui il mandante di tutto questo”, dice uno degli studenti della facoltà di comunicazione dell’Università di Istanbul. “Saremo giornalisti”, recita il loro striscione sopra una frase che assicura: “Can Dundar e Erdem Gul non sono soli”.
Davanti alla redazione di Cumhuriyet non lo sono di certo. A mezzogiorno centinaia di persone si spintonano per cercare dientrare nella stradina che conduce all’ingresso del giornale nel quartiere degli affari di Sisli. L’accesso è unico, la polizia in assetto antisommossa ha transennato l’altro lato e perquisisce chi arriva con una borsa in spalla.
Un mese fa le autorità assegnarono una sorveglianza al giornale, ritenuto a rischio dopo la strage di Ankara del 10 ottobre. In un paese sempre più nel mirino per gli attacchi all’informazione, con decine di giornalisti arrestati o sotto processo e l’eco ancora forte del blitz pre-elettorale in giornali e tv di Fethullahgulen, nemico di Erdogan, a molti Dundar sembrava troppo in vista per essere toccato.
“Il suo arresto vale più di mille minacce. Tanti altri resteranno in silenzio per paura. hanno ucciso la libertà di stampa”, accusa Murat, sindacalista. In mano tiene un cartello con una copia dello scoop incriminato, tornato d’attualità anche per il moltiplicarsi delle accuse alla Turchia di sostegno all’Isis. il titolo diceva: “Ecco le armi che erdogan ha detto che non c’erano”. (Ansa)

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