A Bastia Umbra ventenni, sessantenni, rottamati e disperati all’ultima spiaggia

Io tra i tremila “illusi” del concorsone Rai

Il concorso per 100 posti di giornalista precario in Rai nel capannone di Bastia Umbra

Il concorso per 100 posti di giornalista precario in Rai nel capannone di Bastia Umbra

BASTIA UMBRA (Perugia) – Santa pazienza, era Monet o Manet? All’improvviso, il mio futuro dipende da questo quadro, due signori che mangiano sull’erba insieme a un’amica che ha dimenticato i vestiti a casa.
Sono le 11.10 del 1° luglio e in un capannone nel cuore dell’Umbria, a un tiro di schioppo dalla Porziuncola di San Francesco, tremila illusi come me provano a cambiare vita. Obiettivo: la Rai, quella di Alberto Sordi e Bruno Vespa, di Bruno Pizzul e Ilaria Alpi, sintesi inarrivabile tra l’avventura del giornalismo e il posto fisso del parastatale. Sono calati qua da tutta Italia, speranzosi ma già incavolati. Alle 11.10, allineati nei banchi, hanno avuto l’ordine di aprire il questionario. Cento domande per cento posti. E hanno scoperto che il loro futuro dipende da Monet e Manet. O da altri interrogativi che ad alcuni appariranno banali, ad altri imperscrutabili.
È il primo concorso che la Rai ha voluto per scrollarsi di dosso l’immagine di un carrozzone dove si entra solo per spintarella o lottizzazione. Quindi, procedure come nei concorsi pubblici da postino o commissario, che purtroppo nell’immaginario collettivo non hanno fama impeccabile. Però l’Usigrai, il temibile sindacato Rai, ha promesso che vigilerà «perché vincano merito e trasparenza». E soprattutto in giuria ci sono galantuomini come Ferruccio de Bortoli, che si aggira snello e lieve tra i capannoni. Insomma, speriamo: anche se il mugugno degli scettici percorre i banchi, e chi si sente già sconfitto ciancia di ricorsi, Tar e Consigli di Stato, perché se questo è un concorso pubblico allora anche qui vale la regola generale e per ogni somaro c’è un giudice pronto a dargli ragione.
C’eravamo iscritti in tremilaseicento, alla fine ottocento hanno rinunciato, l’Ordine dei giornalisti è insorto accusando la Rai di avere dato poco preavviso e avere scelto una location sperduta; alle lagnanze dei candidati, da dentro la Rai hanno risposto con lo sfottò, «ma come, volete fare gli inviati speciali e non sapete arrivare a Bastia Umbra?». Quasi tremila, infatti, sono arrivati: siamo 2.828. Alla prima scremata ne sopravvivranno 400. Alla successiva, cento: che non verranno assunti ma tenuti lì, nel limbo catodico, in attesa di un contratto, ma con un piede dentro. «Vogliamo la crema, i migliori di voi», tuona il capo del personale Rai. Già, ma come li scegli, i migliori? Come distingui il pigro, il fuoriclasse, l’ignorante? Con cento domande, tempo massimo 75 minuti a partire dal via, l’enorme cronometro scorre implacabile, al fischio finale bisogna alzare il pennarello, pena squalifica. E che domande. Un bravo giornalista secondo viale Mazzini è quello che conosce gli effetti della politica di bilancio di Quintino Sella, anno 1862. Che sa se è entrata prima in Europa la Croazia o la Bulgaria. All’opposto, ci sono domande da sghignazzo, tra i possibili cancellieri tedeschi vengono suggeriti Giscard e Walesa, e Oscar Wilde tra gli autori di Cuore di tenebra. Hosni Mubarak è il capo dell’Isis?
Chini sui banchi, costelliamo di crocette il questionario. Non vola una mosca, nessuno aiuta nessuno, è una gara e gli eletti saranno pochi. D’altronde basta guardarsi in giro e origliare per capire che per molti questa lotteria è l’ultima spiaggia prima di cambiare mestiere o di rassegnarsi a tirare a campare. Tu che fai? «Il freelance , tra Foggia e Roma». «Io dirigo una free press in Sardegna ma è un disastro, nessuno paga. Allora sono venuto a Milano, faccio l’addetto stampa di una gelateria». Il concorso non ha limiti di età, nei banchi si affollano anche cinquantenni, sessantenni, il popolo dei rottamati e degli esodati di una professione flagellata dalla crisi quanto dal progresso. Gente che un posto vero lo aveva, e gente che non l’ha mai avuto, e che adesso ci prova, in una babele di accenti che farebbe la gioia di Novantesimo Minuto. E poi ci sono i giovani, quelli che sono usciti dalle scuole, e che vorrebbero fare i giornalisti, anche se non ce n’è uno che nell’attesa legga un giornale, fosse anche su tablet. Giovani, pessimisti, fieri di sé. «In bocca al lupo a noi che cerchiamo ogni giorno di fare il lavoro più bello del mondo nel paese più str… del mondo». Auguri. (Il Giornale)

Luca Fazzo

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