La Corte di Cassazione riconosce il rapporto di lavoro subordinato e condanna la società

Inpgi batte Elemedia: 4 pubblicisti sono dipendenti

ROMA – Nuova vittoria definitiva dell’Inpgi contro Elemedia. A distanza di pochi giorni da un altro verdetto analogo la Cassazione Sezione lavoro ordinanza n. 24780 del 5 novembre 2020 (presidente Guido Raimondi, relatore Antonella Pagetta), ha di nuovo condannato la società Elemedia a pagare circa 100 mila euro all’ente previdenziale, assistito dall’avvocato Gavina Maria Sulas, per i contributi dovuti a seguito del riconoscimento della natura subordinata dei rapporti intercorrenti con quattro giornalisti pubblicisti formalmente legati alla società con contratto di lavoro autonomo.
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LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Corte di Cassazione Sezione lavoro ordinanza n.  24780 del 5 novembre 2020 (presidente Guido Raimondi, relatore Antonella Pagetta),

ORDINANZA

sul ricorso 11252-2017 proposto da:
Elemedia spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, piazza Mazzini 27, presso lo Studio legale Trifirò & Partners, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Zucchinali, Giacinto Favalli;
– ricorrente –

contro

Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Gabriele Camozzi, 9, presso lo studio dell’avvocato Gavina Maria Sulas, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4921/2016 della Corte d’appello di Roma, depositata il 24 ottobre 2016 r.g.n. 2765/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8 settembre 2020 dal Consigliere dott. Antonella Pagetta.

Rilevato che

1. la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’opposizione di Elemedia s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’Inpgi per l’importo di euro 98.548 a titolo di contributi non versati, somme aggiuntive e sanzioni di legge, in relazione alla ritenuta natura subordinata dei rapporti intercorrenti tra l’opponente e quattro giornalisti pubblicisti formalmente legati alla società con contratto di lavoro autonomo;
1.1. ha ritenuto il giudice di appello che la prova orale aveva confermato sia il contenuto tipicamente giornalistico dell’attività prestata (consistente nella raccolta delle notizie, preparazione dei testi e lettura degli stessi nei notiziari mandati in onda dall’emittente di proprietà della società), riconducibile alla figura professionale del redattore, sia l’espletamento della prestazione con modalità rivelatrici della natura dipendente del relativo svolgimento, quali la necessità di assicurare la continuità del servizio, l’osservanza di turni mensilmente predisposti da dipendente della società, la fruizione delle ferie in termini compatibili con la copertura del servizio, la percezione di un compenso mensile fisso, l’utilizzazione di strutture aziendali (computer e scrivanie); ha ritenuto non specificamente contestati i conteggi alla base della pretesa dell’istituto previdenziale e inammissibile la richiesta di chiamata in causa dell’Inps, non consentita in sede di appello in ragione del vincolo scaturente dal principio del doppio grado di giudizio;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Elemedia s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

considerato che

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. censurando, in sintesi, la sentenza impugnata per avere condotto la verifica della natura dipendente dei rapporti alla base della pretesa dell’Inpgi sulla scorta di parametri non conformi alla nozione legale di subordinazione e, in particolare, pretermettendo del tutto il riferimento alla volontà delle parti espressa nei contratti di lavoro autonomi stipulati con la società;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce omesso esame di fatto controverso e decisivo; richiamate (e trascritte) le deposizioni testimoniali poste a fondamento del decisum di secondo grado, sostiene che l’accertamento della natura subordinata dei rapporti in controversia era scaturito dalla valorizzazione di elementi neutri o, comunque, privi di decisività, non essendo dato intravedere in tali deposizioni il riferimento all’esercizio di un potere disciplinare, direttivo o di vigilanza da parte della società sui giornalisti;
3. il primo motivo di ricorso è infondato;
3.1. come è noto requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative e dall’esercizio del potere disciplinare e che l’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo; non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l’autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo (Cass. n. 19199/2013, n. 4500/2007). Del resto, «ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, essendo l’iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti, diventando l’esecuzione, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all’attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, non solo strumento d’interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro (ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., comma 2), bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale» (v. Cass. 5 luglio 2006, n. 15327); pertanto, sia nell’ipotesi in cui le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un rapporto di lavoro autonomo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia (Cass., n. 19199/2013 cit.), sia nel caso in cui l’espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, sia infine nell’ipotesi in cui, dopo aver voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve a tal fine attribuire valore prevalente – rispetto al nomen iuris adoperato in sede di conclusione del contratto – al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso» (v. Cass. n. 8407/2001, n. 9617/2000, n. 4533/2000);

La Corte di Cassazione al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma (Foto Giornalisti Italia)

3.2. in ordine alla qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in presenza di prestazione con elevato contenuto intellettuale, questa Corte ha costantemente affermato che è necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell’attività lavorativa in funzione dell’assetto organizzativo aziendale (cfr. Cass. n. 18414/2013, n. 7517/2012, n. 3594/2011), potendosi ricorrere altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l’inserimento nell’organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l’inerenza al ciclo produttivo, l’intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato; in particolare, ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale – nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente – il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell’ambito di un contesto caratterizzato dalla cosiddetta subordinazione attenuata aziendale (Cass. n. 3640/2020, n. 9463/2016, n.7517/2012);
3.3. in particolare, in caso di prestazioni di natura intellettuale aventi contenuto creativo, quale è indubitabilmente quella giornalistica (Cass. n. 22785/2013), l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui si presenta in forma attenuata in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell’atteggiarsi del rapporto, sicché occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (Cass. n. 5436/2019, n. 13858/2009, n. 10043/2004, n. 3471/2003, n. 11182/2000; Cass. Sez. Un. n. 379/1999);
3.4. la decisione di appello risulta coerente con tale impostazione sia laddove, rispetto alla qualificazione operata dalle parti, riconosce come prevalenti le concrete modalità di svolgimento del rapporto sia perché la valorizzazione dei cd. indici sussidiari è frutto della specifica considerazione delle caratteristiche dell’attività dedotta la quale, per i suoi elevati contenuti intellettuali, non si presta ad essere oggetto di penetranti poteri conformativi della parte datoriale (v. in tema di criteri di qualificazione riferiti al lavoro giornalistico Cass. n. 6983/2004, 7931/2000, n. 833/2001) ;
3.5. le ulteriori deduzioni del ricorrente, intese a contrastare la valenza probatoria degli elementi utilizzati dal giudice di merito sulla base di un diverso apprezzamento degli stessi, sono inammissibili in quanto la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che siano idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che se, come nel caso di specie, immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. n. 16681/2007, n. 14160/2014);
4. il secondo motivo di ricorso non è articolato con modalità coerenti con l’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.. La giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (tra le altre Cass., Sez. Un. 33679/ 2018) nell’affermare che:
– il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (come riformulato dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
– l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
– neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
– nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. (non denunciata nella fattispecie);
4.1. la parte ricorrente non individua alcuna specifico fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito ma prospetta, in concreto, una diversa ed a sé più favorevole lettura del complesso delle deposizioni testimoniali, del cui avvenuto esame la Corte di merito ha dato peraltro espressamente atto; le ragioni di critica si risolvono quindi nella sollecitazione di un diverso apprezzamento delle acquisizioni istruttorie, denunzia preclusa in sede di legittimità secondo quanto già osservato in precedenza (v. parag .3.5.);
5. al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
6. sussistono i presupposti processuali per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, se dovuto il contributo;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 5.000 per compensi professionali, euro 200 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15/% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

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