Rischia di non poter più incassare i contributi previdenziali dei dipendenti pubblici

Inpgi: allarme rosso in Cassazione

ROMA – Come un fulmine a ciel sereno una nuova grave minaccia incombe sul futuro dell’Inpgi 1, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, ente previdenziale privatizzato come Fondazione dal 1994, ma unico ente sostitutivo dell’Inps in Italia in base alla legge Rubinacci n. 1564 del 1951 tuttora in vigore da 69 anni. E paradossalmente questo inatteso fulmine arriva proprio a ridosso dei tentativi di salvataggio in extremis dell’ente da tempo a corto di liquidità sia per la pesantissima e strutturale crisi dell’editoria che si protrae ormai da almeno da 10 anni e si é aggravata per la pandemia da coronavirus Covid-19, sia per aver svolto anche le funzioni di bancomat per gli stessi editori, sia soprattutto per la mancanza di attenzione e di sensibilità da parte dello Stato che non si é comportato sul fronte dell’“assistenza” come, invece, avviene da sempre con l’Inps.

Pierluigi Roesler Franz

Anzi, lo Stato si é praticamente disinteressato dell’ente dei giornalisti lavoratori subordinati, costringendolo ad attingere al suo stesso patrimonio per poter pagare puntualmente le pensioni e gli ammortizzatori sociali della categoria (disoccupazione, cassintegrazione, contratti di solidarietà, tfr in caso di fallimento, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere in base all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori sulle pensioni dei numerosi giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, governatori di Regioni, ecc.).
Dal 2011 ad oggi l’Inpgi 1 é stato quindi costretto a disinvestire titoli, fondi ed immobili addirittura per 1 miliardo e 200 milioni di euro e la sua riserva tecnica reale (rapporto tra le pensioni in corso di pagamento ed il suo patrimonio) é scesa a soli 2 anni contro i 5 anni previsti per legge. Il 31 dicembre prossimo scadrà infatti il termine previsto dalla legge per presentare un nuovo e dettagliato bilancio tecnico-attuariale dell’Inpgi 1 che eviti un suo possibile Commissariamento (per l’Inpgi 2, ente che con gestione separata assicura i giornalisti lavoratori autonomi, non vi é, invece, alcun problema perché naviga a gonfie vele con le casse piene e un boom di iscritti).

Andrea Martella

Ebbene mentre il sottosegretario all’Editoria Andrea Martella (Pd) si sta da tempo adoperando per trovare tutte le soluzioni possibili al fine di garantire la sopravvivenza dell’Inpgi 1, ente incaricato di pubbliche funzioni in base all’art. 38 della Costituzione (la legge di stabilità per il 2021 può rappresentare l’ultima spiaggia utile), e in particolare anticipando di due anni rispetto al 2023, come previsto dall’art. 16 quinquies del decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019 varato dal 1° governo Conte su proposta dell’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (Lega) e convertito in legge n. 58 del 28 giugno 2019, l’ingresso nell’Inpgi 1 di circa 14 mila “comunicatori” che oggi versano all’Inps il 2021 ed accantonando ora per allora complessivamente circa un miliardo e mezzo di euro dei loro futuri contributi previdenziali fino al 2031 proprio per garantire la tenuta e la sostenibilità dell’ente dei giornalisti, a sorpresa al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma é stato rimesso in discussione il versamento che sembrava ormai pacifico all’Inpgi 1 dei contributi previdenziali dei dipendenti di pubbliche amministrazioni addetti ad attività di informazione e comunicazione anche costituite in ufficio stampa, ma iscritti all’Albo dei giornalisti come pubblicisti o professionisti.

Claudio Durigon

Il dilemma se i contributi previdenziali di questi dipendenti pubblici non contrattualizzati con contratti giornalistici, ma di altro tipo, debbano essere versati all’Inps – come avveniva fino al 2000 – o, invece, all’Inpgi 1 dovrà essere sciolto tra pochi mesi dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione. Ma la loro decisione avrà di fatto valore di legge. Ecco perché si può, anzi, si deve parlare di “allarme rosso” per l’ente di via Nizza.
Appare, infatti, evidente che la prossima decisione che prenderanno gli “ermellini” potrebbe avere effetti dirompenti sul bilancio dell’Inpgi 1 e se sarà affermato il principio che sia, invece, esclusivamente l’Inps il destinatario dei versamenti contributivi previdenziali da parte di un datore di lavoro pubblico per i propri dipendenti iscritti all’albo dei giornalisti, la sorte dell’ente di via Nizza sarebbe, purtroppo, inesorabilmente segnata perché verrebbero a mancare per sempre delle entrate contributive di peso fondamentale.
A rimettere la delicatissima questione al massimo organo interpretativo del diritto in Italia é stata la sezione lavoro della stessa Suprema Corte, presieduta da Amelia Torrice, con un’articolata ordinanza interlocutoria di 18 pagine (é la n. 27173 del 27 novembre scorso, redatta dal consigliere Irene Tricomi, ritenendo la questione di particolare importanza quanto ai profili sistematici, nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico, in quanto investe anche l’esame del rilievo, a tale specifico fine, della contrattualizzazione dei profili professionali relativi a informazione e comunicazione rispetto alle caratteristiche della professione del giornalista, come delineata dalla legge istitutiva n. 63 del 1969.
Il caso esaminato riguarda l’esito di un’ispezione dell’Inpgi 1 del 15 marzo 2007 in cui era stato contestato alla Asl di Pescara il mancato versamento dei contributi previdenziali per circa 140 mila euro, per il periodo 1° gennaio 2001 – 31 dicembre 2006, relativi alla posizione di due dipendenti, entrambi giornalisti pubblicisti, rispettivamente, responsabile ed addetto dell’ufficio stampa dell’Azienda ospedaliera.
Il Tribunale di Roma aveva accolto l’impugnativa dell’Usl di Pescara, ma la Corte d’Appello di Roma aveva ribaltato il verdetto dando pienamente ragione all’Inpgi 1. Su ricorso dell’Usl, esaminato a ben 13 anni di distanza dalla data dell’ispezione, il sostituto procuratore generale della Cassazione Alessandro Cimmino ha chiesto l’annullamento della sentenza di appello perché l’attività svolta dai due dipendenti applicati all’ufficio stampa aziendale non integrava attività giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale.
Ma la Sezione lavoro della Suprema Corte, dopo aver analiticamente ricostruito la vicenda e la storia dell’Inpgi dalla sua nascita e bilanciato le contrapposte tesi, ha preso tempo. E considerando la questione di diritto di particolare rilievo, ha ritenuto opportuno rivolgersi alle Sezioni Unite che nei primi mesi del 2021 dovranno dirimere una volta per tutte l’intricata questione a favore dell’Inps o dell’Inpgi 1. A meno che nel frattempo per sbloccare la situazione non entri in vigore un’apposita “leggina” chiarificatrice. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Corte di Cassazione Sezione Lavoro ordinanza n. 27173 del 27 novembre 2020
(Presidente Amelia Torrice, relatore Irene Tricomi)

ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 12853-2015 proposto da:

Azienda Usl di Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Pasubio 15, presso lo studio dell’avvocato Dario Buzzelli, rappresentata e difesa dall’avvocato Dante Angiolelli;
– ricorrente –

contro

Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Gabriele Camozzi 9, presso lo studio dell’avvocato Gavina Maria Sulas, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente
– avverso la sentenza n. 6484/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 19 novembre 2014 R.G.N. 8972/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 settembre 2020 dal Consigliere Dott. Irene Tricomi;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro Cimmino che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso;
udito l’Avvocato Paola Campilii per delega verbale Avvocato Dante Angiolelli;
udito l’Avvocato Marco Gustavo Petrocelli per delega verbale Avvocato Gavina Sulas.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6484 del 2014, ha accolto l’appello proposto dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Giovanni Amendola (Inpgi) nei confronti dell’Azienda Usl di Pescara avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma. Il giudice di secondo grado, in riforma della sentenza appellata, ha rigettato le domande proposte dalla Azienda Usl con ricorso al Tribunale di Roma del 27 marzo 2008 e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’Inpgi, ha condannato l’Azienda a pagare in favore di quest’ultimo la somma di euro 138.838.00, a titolo di contributi, interessi e sanzioni, dovuti relativamente alla posizione dei dipendenti Cytron Muni Renato e Perolino Claudio per il periodo 1° gennaio 2001 -15 marzo 2007, oltre interessi e sanzioni dal 15 marzo 2007 al saldo.
2. l’Ausl aveva impugnato il verbale di accertamento del 15 marzo 2007, con il quale il personale ispettivo dell’Inpgi le aveva contestato il mancato versamento dei contributi previdenziali, per il periodo 1° gennaio 2001- 31 dicembre 2006, relativi alla posizione dei suddetti dipendenti, entrambi giornalisti pubblicisti, rispettivamente responsabile ed addetto dell’ufficio stampa dell’Azienda ospedaliera.
3. Il Tribunale aveva dichiarato l’insussistenza dell’obbligo di versamento dei contributi all’Inpgi, atteso che l’attività dei due lavoratori non era di tipo giornalistico.
4. La Corte d’Appello ha richiamato l’art. 9 della legge n. 150 del 2000, che prevede, tra l’altro, che gli uffici stampa delle amministrazioni pubbliche sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, la direttiva del Dipartimento della funzione pubblica del 7 febbraio 2002 che precisa l’attività degli uffici stampa degli enti pubblici, e il parere del Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, secondo cui i dipendenti delle pubbliche amministrazioni ai quali è affidato incarico giornalistico, o che svolgono attività giornalistica, devono essere iscritti presso l’Inpgi. Quindi, ha ricordato che l’art. 17, comma 3, della legge n. 503 del 1992, stabilisce che i dipendenti giornalisti professionisti o praticanti giornalisti, i cui rapporti di lavoro sono regolati dal contratto nazionale giornalistico, sono obbligatoriamente iscritti presso l’Inpgi. L’art. 76 della legge n. 388 del 2000, e dunque dal 1° gennaio 2001, ha poi stabilito che l’Inpgi provvede alla gestione delle forme di previdenza obbligatorie anche in favore dei giornalisti pubblicisti … titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica. Pertanto, l’iscrizione all’Inpgi è obbligatoria anche per i giornalisti pubblicisti che svolgano in regime di subordinazione un’attività di tipo giornalistico, anche alle dipendenze di soggetti diversi dagli editori di testate, ed anche con contratto di lavoro non giornalistico. Tanto premesso, il giudice di appello ha affermato che, comunque, l’obbligo di iscrizione all’Inpgi presuppone che l’attività svolta sia effettivamente giornalistica. Dagli atti di causa risultava che l’Azienda Usl di Pescara con delibera del 7 marzo 2000 istituiva l’ufficio stampa aziendale, specificandone i compiti, e conferiva l’incarico di dirigente dell’ufficio stampa aziendale al dott. Muni Cytron, dirigente sociologo, in possesso dell’iscrizione all’ordine dei giornalisti e della necessaria esperienza in campo giornalistico. Con successiva delibera dell’8 aprile 2003, preso atto dell’entrata in vigore della legge n. 150 del 2000, l’Azienda confermava l’assegnazione definitiva dell’assistente amministrativo Claudio Perolino – già assegnato all’ufficio relazioni con il pubblico il 4 settembre 1999, con mansioni di addetto stampa – come addetto stampa collaboratore, con specifico incarico di provvedere alla realizzazione dei media aziendali e di curare il corretto rapporto con la stampa, al quale sarebbe stato applicato il contratto giornalistico come consentito dalla legge n. 150 del 2000. Entrambi i lavoratori erano iscritti all’albo dei giornalisti pubblicisti (Cytron Muni dal 9 febbraio 1990, Perolino dal 1° marzo 1985). Ritenuto non rilevante per escludere la natura giornalistica dell’attività svolta, il rapporto di subordinazione gerarchica dei due dipendenti, la Corte d’Appello rilevava che nell’attività svolta dagli stessi non mancava quell’attività di mediazione tra il fatto e la diffusione della notizia che contraddistingue l’attività giornalistica. Pertanto per gli stessi andava ritenuta obbligatoria l’iscrizione all’Inpgi, e non potevano ritenersi liberatori i pagamenti effettuati all’Inpdap, salva la facoltà di recupero dei contributi versati.
5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Azienda Usl di Pescara, prospettando quattro motivi di ricorso.
6. Resiste l’Inpgi con controricorso, eccependo in via preliminare inammissibilità dei primi due e del quarto motivo di ricorso in quanto volti a contestare statuizioni conformi alla giurisprudenza di legittimità, e del terzo motivo per genericità. Nel merito, il controricorrente ha chiesto il rigetto del ricorso.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza pubblica.

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000, in relazione all’art. 76 della legge n. 388 del 2000, e dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, nonché del CCNL Comparto sanità. La ricorrente contesta che, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello, dal combinato disposto dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000, e dell’art. 76 della legge n. 388 del 2000, discenda l’obbligo di contribuzione in favore dell’Inpgi. Ed infatti il citato art. 9 prevede che negli uffici stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali siano affidate alla contrattazione collettiva nell’àmbito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti. Di talchè, ad avviso della ricorrente, il legislatore ha previsto una specifica area di contrattazione da applicare al personale interno all’amministrazione che è destinato all’ufficio stampa, con la conseguenza che i contributi previdenziali dovevano essere versati all’Inpdap, ora Inps. Argomenti a sostegno si potevano desumere dalla sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2007, secondo la quale i profili professionali e il trattamento economico degli addetti agli uffici stampa devono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva di appartenenza. Nella specie, l’attività dei suddetti lavoratori non era che una delle attività che l’Azienda offriva, per cui doveva farsi riferimento per tutto il personale al Ccnl Comparto sanità, che accanto all’attività sanitaria prevedeva anche un profilo professionale tecnico e amministrativo. Dunque, assume la ricorrente, l’obbligo di contribuzione all’Inpgi sussiste solo per i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale, ai quali si applica il contratto nazionale di categoria dei giornalisti, mentre è facoltativo per i giornalisti pubblicisti. Con riguardo all’ufficio stampa della Usl, la facoltà di iscrizione all’Inpgi può essere consentita solo per coloro a cui viene applicato il contratto nazionale giornalisti, e cioè a coloro che sono assunti come personale esterno alla pubblica amministrazione, per svolgere attività di informazione, comunicazione e promozione aziendale. Diversa è la situazione dei due dipendenti della Azienda Usl di Pescara, assunti con qualifica propria del pubblico impiego, e che fanno capo al Comparto sanità, ai quali non si applica il contratto di lavoro giornalistico, e la relativa contribuzione va versata all’Inps.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, in relazione all’art. 76 della legge n. 388 del 2000, e all’art. 9 della legge n. 150 del 2000. È contestata la statuizione che afferma l’obbligatorietà della contribuzione all’Inpgi, in quanto l’attività espletata dai due dipendenti della Azienda USL di Pescara, aveva natura giornalistica. Assume la ricorrente che condizione unica per il versamento dei contributi all’Inpgi, è l’essere il rapporto di lavoro regolato dal Ccnl dei giornalisti. Ciò, tenuto conto dell’art. 17 cit., che àncora il versamento dei contributi all’Inpgi esclusivamente alla regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti mediante contratto di lavoro nazionale giornalistico, e non alla natura giornalistica dell’attività svolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso è illustrata la violazione e/o falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2575, cod. civ., e della legge n. 633 del 1941. Assume la ricorrente che l’attività svolta dai due dipendenti applicati all’ufficio stampa aziendale non integrava attività giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale. Nella attività espletata dagli stessi mancavano tutti gli elementi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità al fine di definire l’attività giornalistica quale attività intellettuale che, utilizzando il mezzo di diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare, ad una massa indifferenziata di utenti, idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai campi più diversi della vita spirituale, politica, economica, scientifica e culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunte da valutazione critica. L’attività giornalistica, inoltre, è contraddistinta dalla creatività di colui che, con prestazione d’opera professionale, raccoglie ed elabora le notizie. Nella specie, tali caratteristiche non erano ravvisabili e andava considerato che l’ufficio stampa era sotto la direzione dell’ufficio programmazione ed organizzazione dell’Azienda Usl di Pescara, il quale insieme all’Urp era sottoposto a supervisione e coordinamento. Andava, inoltre, considerato che, da un lato, non costituisce attività giornalistica il semplice riferimento di notizie, e dall’altro, il vincolo della subordinazione è attenuato. Come era risultato dall’istruttoria espletata: mancava l’autonomia tipica dell’attività giornalistica; non sussisteva l’attività di reperimento della notizia: mancava il requisito della creatività; mancava l’autonomia dell’informazione atteso che la funzione dell’ufficio stampa era quello di presentare le iniziative dell’azienda, con funzione di promozione e comunicazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1189 cod. civ. La ricorrente si duole della statuizione che l’ha condannata al pagamento di interessi e sanzioni sui contributi in questione, atteso che avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1189 cod. civ., non valendo ad escludere l’applicazione di tale norma né il riferimento alla nota del Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, né quello ad un asserito contratto giornalistico, mai applicato al Cytron Muni e al Perolino. I due lavoratori, quali dipendenti della Azienda Usl erano soggetti solo al Ccnl di categoria del personale sanitario, e inseriti nell’ente previdenziale di appartenenza degli stessi. Le sanzioni, quindi, non potevano trovare applicazione, atteso che l’adempimento vi era stato, seppure nei confronti di un altro ente. Dunque, al più avrebbe dovuto operare la compensazione legale tra gli importi richiesti dall’Inpgi e quelli già versati all’Inpdap senza il pagamento di interessi o sanzioni.
5. I suddetti motivi sono resistiti dall’Inpgi, secondo cui, in particolare, ai fini del versamento della contribuzione in proprio favore, proprio in ragione della disciplina richiamata dalla ricorrente, è sufficiente l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto attività giornalistica, essendo irrilevante la natura del datore di lavoro. Ciò, sia per i giornalisti professionisti che per i pubblicisti, sussistendo la natura giornalistica del rapporto di lavoro subordinato. Nella specie, peraltro, le risultanze testimoniali deponevano a favore dello svolgimento di attività giornalistica. Quanto alla prospettata applicabilità dell’art. 1189 cod. civ., la stessa andava esclusa poiché mancava la prova della buona fede da parte della Azienda.
6. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
7. I motivi di ricorso superano il vaglio di ammissibilità in quanto evidenziano in modo specifico e circostanziato le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie.
8. L’esame dei motivi postula la ricognizione del complesso quadro normativo e contrattuale in materia, nonchè della giurisprudenza della Corte costituzionale e di quella di legittimità, con riguardo anche ai recenti arresti di entrambe.
9. L’art. 38 della legge n. 416 del 1981, come sostituito dall’art. 76 della legge n. 388 del 2000, ha previsto che l’Inpgi, ai sensi delle leggi n. 1564 del 1951, n. 1122 del 1955, e n. 67 del 1987, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti, titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica. I giornalisti pubblicisti, entro sei mesi a partire dal l° gennaio 2001, hanno potuto optare per il mantenimento dell’iscrizione presso l’Inps, sicchè l’omesso esercizio di tale opzione ha comportato l’automatica iscrizione all’Inpgi (cfr., Cass., n. 11407 del 2016). L’Inpgi, dunque, gestisce, per espresso disposto normativo, una forma di assicurazione sostitutiva di quella garantita dall’Inps (Cass., n. 19573 del 2019). L’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 503 del 1992, sancisce che i dipendenti giornalisti professionisti iscritti nell’apposito albo di categoria e i dipendenti praticanti giornalisti iscritti nell’apposito registro di categoria, i cui rapporti di lavoro siano regolati dal contratto nazionale giornalistico, sono obbligatoriamente iscritti presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola». In forza del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 vi è stata la trasformazione dell’Inpgi in fondazione di diritto privato. Come affermato dalla Corte cost., con la sentenza n. 67 del 2018 (ma si v. anche la sentenza n. 7 del 2017), con il citato d.lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti ha arretrato la linea d’intervento della legge, lasciando spazio alla regolamentazione privata delle fondazioni categoriali. In proposito, va ricordato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19496 del 2008, hanno osservato come dalla disciplina normativa dell’attività dell’Inpgi emergono una pluralità di elementi dai quali risulta che l’Istituto svolge funzioni diverse dai soggetti previdenziali privati e analoghe, se non identiche, alle funzioni degli enti pubblici di previdenza e assistenza.
Infatti:
a) la provvista finanziaria non proviene da contribuzioni dei professionisti, ma dall’obbligatorio contributo dei datori di lavoro;
b) la previdenza e l’assistenza erogate dall’Istituto sostituiscono le forme di previdenza e assistenza obbligatorie e consistono in prestazioni analoghe a quelle a carico dello Stato;
c) a differenza di quanto avviene per le casse di previdenza dei liberi professionisti, opera il principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali;
d) l’Istituto è dotato di poteri autoritativi, sia per l’accertamento per mezzo del proprio corpo di ispettori dei crediti contributivi, sia per l’irrogazione delle sanzioni;
e) la Corte dei conti non solo esercita il controllo di gestione, ma ha giurisdizione sulla responsabilità amministrativa per danno erariale dei dipendenti;
f) la disciplina della totalizzazione dei periodi assicurativi è quella che vale per gli enti pubblici e non quella dei soggetti privati.
Pertanto le Sezioni Unite hanno affermato che la disciplina dell’attività svolta dall’Inpgi giustifica ampiamente il riconoscimento della natura pubblica delle funzioni assistenziali e previdenziali svolte.
10. L’art. 9 della legge n. 150 del 2000, applicabile ratione temporis, e pertanto nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 25-bis, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, prevede ai commi 1 e 2: «Le amministrazioni pubbliche (…) possono dotarsi, anche in forma associata, di un ufficio stampa, la cui attività e in via prioritaria indirizzata ai mezzi di informazione di massa. (…) Gli uffici stampa sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti. Tale dotazione di personale è costituita da dipendenti delle amministrazioni pubbliche (…) o da personale estraneo alla pubblica amministrazione (…)». Come questa Corte ha già avuto modo di affermare con le sentenze n. 21060 del 2017 e n. 25187 del 2016, ponendo in luce il carattere alternativo tra le due categorie di soggetti, l’art. 9. comma 2, della legge 150 del 2000. con formulazione chiara ed inequivoca, individua il personale da adibire agli uffici stampa esclusivamente tra le due categorie specificamente descritte: soggetti già dipendenti con rapporto di lavoro pubblico della medesima, o di altre amministrazioni pubbliche in posizione di comando o di fuori ruolo, ovvero soggetti estranei alla pubblica amministrazione, utilizzati con incarichi individuali di collaborazione autonoma, quanto a questi ultimi, nei limiti consentiti dal comma 6 dell’art. 7 del d. 1gs. 29 del 1993. Ai sensi del comma 5 dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000: «Negli uffici stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva nell’àmbito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti (…)».
11. Come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 81 del 2019 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma regionale che aveva disposto che nelle more dell’attuazione dell’art. 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000, al personale iscritto all’albo dei giornalisti che presta servizio presso gli uffici stampa istituzionali delle amministrazioni del comparto unico del Friuli-Venezia Giulia e degli enti del servizio sanitario nazionale si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico; si veda anche Corte cost.. sentenze n. 10 del 2019 e n. l 12 del 2020), la legge statale n. 150 del 2000 ha connotati di specialità, anche rispetto alla normativa di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, regolando l’attività di comunicazione e informazione nelle pubbliche amministrazioni, ha tuttavia previsto, nel ricordato processo di contrattualizzazione del pubblico impiego, una specifica area di contrattazione per gli addetti agli uffici stampa nella pubblica amministrazione, prevedendo l’intervento delle organizzazioni rappresentative dei giornalisti. Il citato art. 25-bis, comma I. del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, in riferimento alle sole Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, ha poi autorizzato, in via transitoria e fino al 31 ottobre 2019, l’applicazione al personale degli uffici stampa della disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti, in attesa di una specifica contrattazione collettiva, confermando che la deroga non riguarda il personale degli uffici stampa delle Regioni a statuto ordinario.
12. Il dPR n. 422 del 2001, ha confermato la necessità dell’iscrizione all’albo, stabilendo, in linea generale, che l’esercizio delle attività di informazione nell’àmbito degli uffici stampa di cui all’articolo 9 della legge n. 150 del 2000, è subordinato, oltre al possesso dei titoli culturali previsti dai vigenti ordinamenti e disposizioni contrattuali in materia di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, al possesso del requisito della iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell’albo nazionale dei giornalisti.
13. L’art. I, comma 160, della legge n. 160 del 2019, ha aggiunto al citato art. 9, il comma 5-bis, che detta una norma transitoria volta a regolare le vicende intervenute nel periodo successivo alla legge 150 del 2009 e anteriori all’adozione della prevista contrattazione. Pertanto, «ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma I ai quali, in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile (• • •). La Corte costituzionale, nella sentenza n. 112 del 2020. già sopra richiamata, ha chiarito che si tratta di norma che deve intendersi riferita unicamente ai rapporti di lavoro dei singoli soggetti, ancorché la loro regolazione con il contratto di lavoro giornalistico abbia trovato fonte e ragione in normative regionali, che tale applicazione espressamente autorizzavano, mentre non potrebbe intendersi quale ratifica di tali leggi regionali anche al fine di autorizzazione della spesa da parte dell’ente locale.
14. Il contratto collettivo relativo al personale del Comparto sanità all’art. 13 ha istituito «nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione, stabilendo che nel quadro dei processi di innovazione del lavoro pubblico, al fine di valorizzare e migliorare le attività di informazione e di comunicazione svolte dalle pubbliche amministrazioni, sono previsti profili professionali idonei a garantire l’ottimale attuazione dei compiti e funzioni connessi alle suddette attività. Sono previsti due settori.
Il primo: “Comunicazione”, presenta i seguenti contenuti professionali: Gestione e coordinamento dei processi di comunicazione esterna ed interna in relazione ai fabbisogni utenza ed agli obiettivi dell’Azienda o Ente, definizione di procedure interne per la comunicazione istituzionale, raccordo i processi di gestione dei siti internet, nell’ottica dell’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza e della comunicazione esterna dei servizi erogati dall’Azienda o Ente e del loro funzionamento.
Il secondo: “Informazione”, presenta i seguenti contenuti professionali: Gestione e coordinamento dei processi di informazione sviluppati in stretta connessione con gli obiettivi istituzionali dell’Azienda o Ente; promozione e cura dei collegamenti con gli organi di informazione; individuazione e/o implementazione di soluzioni innovative e di strumenti che possano garantire la costante e aggiornata informazione sull’attività istituzionale dell’Azienda o Ente; gestione degli eventi, dell’accesso civico e delle consultazioni pubbliche.
15. La suddetta disciplina contrattuale si fonda sull’art. 40, comma 2. primo periodo, del d.lgs. n. l 65 del 2001, che affida la contrattazione per la disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato ad appositi accordi tra l’Aran e le Confederazioni rappresentative, nei quattro Comparti di contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito dei quali, peraltro (comma 2, secondo periodo), possono essere istituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità. Nel 2016 l’Aran e le Organizzazioni sindacati hanno firmato l’accordo quadro nazionale che ha ridefinito i nuovi comparti di contrattazione del pubblico impiego. passati da 11 a 4 (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità), e le aree autonome di contrattazione della dirigenza. L’accordo ha inteso semplificare il sistema previgente, salvaguardando talune differenze che caratterizzano il sistema dell’Amministrazione italiana. In tale ottica, è stata mantenuta la distinzione tra pubblica amministrazione centrale e pubblica amministrazione regionale e locale. Il richiamato Ccnl Comparto sanità non è stato negoziato dalle 00.SS. giornalisti, nè sottoscritto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana.
16. Di particolare interesse, in relazione alla disciplina sino ad ora richiamata, è la già citata sentenza della Corte cost. n. 112 del 2020. Occorre premettere che la questione veniva rimessa dalla Corte dei conti, che nel censurare una norma della Regione Basilicata secondo cui al personale assunto negli uffici stampa regionali veniva applicato il contratto collettivo nazionale dei giornalisti, in luogo di quello per il comparto delle funzioni locali regionale, rilevava che il contratto giornalistico prevedeva un trattamento economico, previdenziale ed assistenziale diverso da quello del comparto delle funzioni locali e aveva comportato maggiori oneri e spese, determinando l’incremento dei costi riscontrato in sede di giudizio di parifica. Nel ritenere fondata la questione il Giudice delle Leggi ha, altresì, affermato che la definizione di un trattamento economico attraverso legge regionale, operato mediante la tecnica del rinvio ad un contratto collettivo nazionale del settore privato, quale quello dei giornalisti, non solo integra una fonte di disciplina diversa dalla contrattazione collettiva del pubblico impiego regolata dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 2, ma, nella prospettiva propria dello specifico giudizio a quo, comporta un aumento illegittimo della spesa. Tale aumento esorbita dalle risorse entro cui si muove la stessa contrattazione collettiva pubblica, risorse che sono assegnate dal legislatore statale tenendo conto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e che vedono nei limiti alla spesa per il personale un importante strumento di contenimento per assicurare l’equilibrio di bilancio di tutto il settore pubblico allargato.
17. La giurisprudenza di legittimità è già intervenuta in ordine alle condizioni in presenza della quali sussiste l’obbligo della contribuzione all’Inpgi. L’obbligo di iscrizione è stato ricondotto alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, la cui prova compete all’Istituto (Cass. n. 15028 del 2018), allo svolgimento dell’attività giornalistica che ricomprende ogni attività di informazione in qualunque forma svolta ed attraverso qualunque mezzo di comunicazione diretto ad un numero indistinto di persone (Cass., n. 16691 del 2018). Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 1867 del 2020, hanno affermato che la legge n. 63 del 1969, nella parte in cui include il giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e doveri disciplinari. mostra di considerare unitariamente la «professione di giornalista», da intendersi come quell’attività «di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione (le S.U., richiamano, per tutte, Cass. n. 1853 del 2016, n. 17723 del 2011; Cass., n. 2166 del 1992). Tale arresto esamina la funzione dell’Ordine professionale e dell’iscrizione all’albo, e ricorda che Corte cost. n. 98 del 1968, ha affermato che la funzione dell’Ordine dei giornalisti è quella di garantire il rispetto della personalità e della libertà dei giornalisti e di assicurare «la vigilanza sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla», vigilanza che può esplicarsi in ragione dell’iscrizione all’Albo. In precedenza questa Corte ha affermato (Cass. n. 16147 del 2007) che l’obbligo di iscrizione Inpgi – cui si collega quello del versamento dei relativi contributi previdenziali – insorge per il solo fatto di aver instaurato un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto che sia giornalista professionista o praticante giornalista, a nulla rilevando la natura del datore di lavoro, sia esso un ente pubblico territoriale o un imprenditore che, pur operando in settori diversi dall’editoria, assuma alle sue dipendenze uno dei soggetti sopra indicati, assegnandogli mansioni di carattere giornalistico. Va ricordata anche Cass. n. 11944 del 2004, che ha affermato che l’obbligo del dipendente giornalista professionista di iscriversi all’Istituto di previdenza giornalistica e di versare i contributi assicurativi è subordinato in via esclusiva all’iscrizione all’Albo professionale e alla soggezione del rapporto di lavoro al Contratto collettivo nazionale.
18. Le sentenze Cass. n. 24140 del 2020, n. 11543 del 2020 e n. 12444 del 2020, hanno esaminato la natura dell’attività professionale svolta da chi è addetto all’ufficio stampa, con riguardo a fattispecie relative agli uffici stampa degli Assessorati o Strutture della Regione siciliana. Le pronunce da ultimo richiamate hanno affermato, in particolare con riguardo all’art. 9 della legge n. 150 del 2000, che gli uffici stampa presso la pubblica amministrazione si riferiscono ad una specifica articolazione organizzativa degli enti pubblici, da istituire in pianta organica; vi deve essere destinato personale con una pregressa professionalità (iscrizione all’albo dei giornalisti) e l’attività va riferita a profili professionali specifici, propri dell’attività richiesta ed ora da definirsi in sede di contrattazione collettiva secondo le regole del pubblico impiego; l’attività è articolata in una linea gerarchica interna agli enti. Affermano le pronunce da ultimo richiamate (si v., punto 5 delle Ragioni della decisione – Cass., n. 11543 del 2020), che l’inserimento organico nell’ambito della pubblica amministrazione, e la espressa sottoposizione a direttive, esprimono caratteristiche autonome rispetto alla figura del giornalista, di cui alla legge n. 69 del 1963, rilevando che la necessaria iscrizione all’albo esprime soltanto un requisito fondante di professionalità.
19. Già in precedenza, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di esaminare questioni relative agli uffici stampa regionali, in particolare con riguardo all’assetto normativo della Regione siciliana, affermando: la sottoposizione del personale dell’ufficio stampa regionale al Ccnl dei dipendenti degli enti locali, in ragione della sentenza n. 189 del 2007 Corte cost. (Cass., n. 13248 del 2009), l’impossibilità di costituire rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato per gli uffici stampa in mancanza di pubblico concorso (Cass., n. 2370 del 2015, e n. 22485 del 2016), l’inapplicabilità dell’accordo collettivo regionale siciliano del 24 ottobre 2007 per la mancata stipulazione del contratto integrativo (Cass., n. 488 del 2017).
20. La disciplina normativa e contrattuale, e la giurisprudenza richiamata, evidenziano, al fine di stabilire rispetto a quale soggetto previdenziale (Inpgi oppure Inps) vada adempiuto l’obbligo contributivo del datore di lavoro pubblico, l’esigenza di una interpretazione sistemica della disciplina della professione giornalistica, che trova il suo fulcro nell’iscrizione all’albo professionale, a cui si collega l’applicazione del contratto collettivo giornalisti e il versamento della contribuzione previdenziale all’Inpgi; l’insieme delle fonti legali, in particolare l’art. 9 della n. 150 del 2000, che ha istituito gli uffici stampa e ha rimesso l’individuazione e regolamentazione dei profili professionali degli addetti — dipendenti pubblici iscritti all’albo dei giornalisti – ad una specifica area di contrattazione da negoziare con l’intervento delle 00.SS. giornalisti; le fonti contrattuali (nella specie il Ccnl Comparto sanità 2016-2018) che hanno previsto, ex art, 40, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, in sede diversa da tale negoziazione, profili professionali per le attività di comunicazione e informazione svolte dalle pubbliche amministrazioni.
21. Poiché il ricorso solleva al riguardo una questione di massima di particolare importanza quanto ai profili sistematici, nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico che derivano dalla scelta di ritenere per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, iscritti all’albo dei giornalisti, addetti ad attività di informazione e comunicazione, anche costituite in ufficio stampa, l’Inpgi oppure l’Inps come destinatari dei versamenti contributivi previdenziali da parte del datore di lavoro pubblico, questione che investe anche l’esame del rilievo, a tale specifico fine, della contrattualizzazione dei profili professionali relativi a informazione e comunicazione rispetto alle caratteristiche della professione del giornalista, come delineata dalla legge n. 63 del 1969 – (in realtà si tratta della legge n. 69 del 1963 – ndr), ritiene il Collegio che occorra rimettere il ricorso al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite.

PQM

La Corte ritenuto che la controversia verte su questione di massima di particolare rilevanza rimette la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

 

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