Dal Piemonte alle Ande: storia di quattro generazioni di emigranti cominciata nel 1885

In cantina il “Vino amaro” di Maria Josefina Cerutti

Da sinistra: Roberto Cerutti, Cesara Travaglini e Maria Josefina Cerutti

GATTINARA (Vercelli) – Un libro nella cantina Travaglini di Gattinara.  Del resto, un volume che si intitola “Vino amaro” dove presentarlo se non tra botti e bottiglie?L’autrice è una giornalista argentina, Maria Josefina Cerutti, firma di due blog – Techint e Techint News – e collaboratrice per le recensioni culturali del quotidiano El Pais.
Ha fondato il portale Italianos.it, diffuso dall’agenzia Ansa e, ultimo impegno professionale, collabora con il quotidiano Clarin nel settore gastronomico e vitivinicolo.
Il volume racconta la storia di una famiglia – la sua – rincorrendo un filo della memoria che tiene insieme quattro generazioni.
Il libro è stato pubblicato dall’editrice Sudamericana di Buenos Aires, è scritto in spagnolo e vien presentato con il titolo “Castita robada”. In Italia è proposto da Interlinea di Novara. Il volume è stato tradotto da Valentina Marzilli, il titolo da noi è diventato “Vino amaro” con sottotitolo “Una storia di emigrazione e dittatura” (196 pagine, 15 euro).
Maria Josefina Cerutti è nata a Mendosa, ai piedi delle Ande, ma, senza equivoco, il cognome testimonia la sua origine italiana. Infatti le radici della sua famiglia affondano a Santa Croce, una frazione, nemmeno tanto grande, di Borgomanero dove la provincia di Novara incontra il territorio del Cusio- Verbano Ossola.
Da lì, nel 1885, partì Emanuele Cerutti per cercare fortuna altrove. La drastica decisione di emigrare si spiegava con la mancanza di lavoro. La fame aumentava giorno dopo giorno e i problemi anche. Al momento di andarsene, non avevano niente se non quattro barbatelle di vigna, forse per sentirsi a casa anche in terra lontana.
Ha avuto fortuna, Emanuele Cerutti. È riuscito ad acquistare Chacras de Coria fino a raggiungere una posizione, se non benestante, almeno agiata.
Commenta Maria Josefina Cerutti: «Sono stati gli italiani a portare il vino nel Sud America». Ogni bottiglia è carica di storia, di significato e di cultura.
«Io – ricorda – sono cresciuta fra i grappoli da vendemmiare e il vino da imbottigliare».
Per due generazioni l’azienda vitivinicola è cresciuta giorno dopo giorno. I guadagni aumentavano. La tragedia all’improvviso. Fra il 1976-1983, gli argentini hanno vissuto sotto dittatura e i soldati del regime facevano il bello e il cattivo tempo.
Un commando di uomini hanno fatto irruzione, il 12 gennaio 1977, poco prima dell’alba, nella tenuta di Victorio Cerutti, figlio del primo emigrante Emanuele e nonno di Josefina.
Lo hanno portato via insieme al genero Oscar Masera Pincolini. I due prigionieri sono stati torturati e infine uccisi: sono stati gettati da un aereo in volo nelle acque del Rio de la Plata.
I soldati si sono impadroniti della casa, di tutti i vigneti, dell’uva e delle bottiglie e hanno obbligato la famiglia a firmare i documenti di vendita ad una società illegale.
Ancora Maria Josefina Cerutti: «Sono ritornata nei luoghi della mia infanzia». Dove si coltivava la vite, ci sono le piante di ulivi.
«Il paesaggio è sempre bello – commenta – ma non è più il mio. Questa cosa mi ha fatto riflettere e ho cominciato a studiare le vicende dell’emigrazione per rivivere il passato della mia famiglia. Certe cose, è necessario che si sappiano». (giornalistitalia.it)

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