Lo strazio del padre di Gioele non è che l’ennesima spettacolarizzazione della notizia

Il sensazionalismo che uccide il giornalismo

ROMA – È una storia atroce e, prima che si arrivasse al suo scioglimento, ha sicuramente calamitato attenzione (anche perché, soprattutto nei primi giorni, si poteva persino ritenere che il bambino fosse ancora vivo). Ed è sicuramente vero che la censura e l’autocensura sono due mali.

Giuseppe Mazzarino

Quello che però mi chiedo, da tempo – perlomeno a partire dalla spettacolarizzazione della tragedia, con la morte in diretta a Vermicino (per quanto sia anzianotto, il caso Montesi non l’ho potuto vivere da giornalista, e nemmeno da lettore…) – è “perché” il sistema dei media (non del giornalismo, perché spesso quest’orgia di sensazionalismo, di macabro compiacimento viene gestita e realizzata da non giornalisti) continui, per un pugno di clic, per un punto di share, per un centinaio di copie, a speculare sul dolore, la sofferenza, la morte ed il dopomorte di chi resta.
Non si tratta di un film o di un romanzo, dove tutti gli effettacci sono consentiti (e ci mancherebbe), ma nella cronaca, e nella riflessione sulla cronaca, quand’anche affidate a non giornalisti e fuori dalle testate giornalistiche, non si potrebbe, non si dovrebbe avere almeno un poco, solo un poco, di rispetto, invece di grufolare nello strazio?
Non invoco la censura né l’autocensura, ripeto. Non chiedo sanzioni disciplinari (ad occhio e croce, non mi pare che certi servizi, per quanto disgustosi, costituiscano gravi violazioni delle nostre, troppe, carte etiche). Chiedo dignità: intanto ai colleghi; poi ai “padroni del vapore”, che spesso e volentieri giornalisti non sono, ed a non giornalisti affidano per monetizzarla la speculazione sul delitto, la morte, lo strazio, e che comunque impartiscono direttive ai loro volenterosi attorucoli, conduttori o “esperti”; e, per il tramite di direttori compiacenti, imbelli o incompetenti, anche ai giornalisti. Che dovrebbero essere meglio difesi e più tutelati da queste ingerenze. Perché, se un direttore o condirettore ti chiama e ti dice di caricare di effettacci, magari suggerendoli lui stesso perché poi deve fare una ospitata tv, il delitto di Avetrana, per esempio, tu puoi anche dirgli di no: se sei, come minimo, un redattore regolarmente assunto a tempo indeterminato (anche se dopo il renzismo anche questo tipo di assunzioni è a rischio); ma, se sei un part time, un precario, un giornalista retribuito con sei euro e trenta centesimi a pezzo pubblicato (se te lo commissionano e poi non lo pubblicano non te lo pagano neanche quella miseria…), che fai?
E allora, torniamo a ripeterlo: un giornalista in condizioni di precarietà, un giornalista ricattabile non è libero. E, se il giornalismo è affidato ormai quasi in prevalenza a giornalisti non liberi (liberi dal bisogno, dalla fame…), diviene non libero anch’esso; e senza giornalismo libero non c’è nemmeno democrazia.
La questione è molto più grave della già grave speculazione orrorifica sulla cronaca nera. A proposito della quale, intanto, almeno noi giornalisti dovremmo ricordare che, se vogliamo fare i romanzieri o gli sceneggiatori di un film horror, non dobbiamo farlo sui giornali, di carta o elettronici, e nei telegiornali. Almeno noi. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

Un commento

  1. Alberto Cafarelli

    Bella riflessione. Concordo.

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