Cgil, Cisl e Uil: “Daremo battaglia”. Parisi (Fnsi): “Si viola la segretezza delle fonti”

Il Governo vara il Grande Fratello sui lavoratori

Grande fratello

Carlo Parisi

Carlo Parisi

ROMA – È polemica attorno al decreto attuativo del Jobs Act, approvato lo scorso 11 giugno, con cui il governo intende regolare il controllo da parte delle aziende di telefoni cellulari, tablet e computer dei lavoratori, senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del ministero.
Duri i sindacati: “È spionaggio contro i lavoratori”, attacca il leader della Cgil Susanna Camusso, che definisce la norma sul controllo a distanza un vero e proprio “Grande Fratello”.
“Sono molto preoccupata – sottolinea la Camusso – perché siamo di fronte a un’idea della vita della persone sconvolgente, che impedisce al lavoratore di essere libero”.
Il numero uno della Cgil spiega che il sindacato “non si aspettava una misura di questo tipo: è evidente che ci sia un abuso rispetto alle norme sulla privacy delle persone. La Cgil è pronta ad intervenire e valuterà tutto quello che è possibile fare, inizieremo dalle commissioni, sentiremo le authority, valuteremo ricorsi giudiziari, continueremo la mobilitazione e soprattutto la contrattazione”.
Se la Cgil parla di “colpo di mano” e promette “battaglia”, Cisl e Uil sono concordi nell’affermare che la norma “deve cambiare”: “Non solo daremo battaglia in Parlamento”, dicono sostanzialmente all’unisono, ma “verificheremo con il garante della privacy se ciò si può consentire”,
Dal canto suo, il Ministero del Lavoro respinge gli attacchi e minimizza: “La norma sui controlli a distanza contenuta nel decreto attuativo del Jobs act non prevede alcuna liberalizzazione ed è in linea con le indicazioni del Garante della Privacy”. Anzi, per il Ministero “adegua la normativa contenuta nello Statuto dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche”.
I dati raccolti potranno, quindi, essere utilizzati “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che – spiega la nota ministeriale – sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, sempre “nel rispetto” del Codice sulla privacy.
“Il problema non riguarda soltanto il rispetto o meno della privacy – interviene Carlo Parisi, della Giunta esecutiva della Fnsi – perché qui stiamo assistendo ad un altro colpo di spugna, non solo di mano, del governo sullo statuto dei lavoratori: viene cancellato l’articolo 4 che disciplina, appunto, il controllo a distanza sui lavoratori, lasciando in pratica carta bianca alle aziende che potranno istallare impianti audio e video per spiare, di fatto, i propri dipendenti”.
Nel mondo dell’informazione, poi, gli effetti del decreto attuativo del Jobs Act potrebbero essere davvero devastanti perché “controllare telefoni e computer dei giornalisti – incalza Parisi – significherebbe violare non solo la privacy dei professionisti, al pari degli altri lavoratori, ma violare anche la segretezza delle fonti, un diritto-dovere fondamentale per chi fa informazione e, in particolare, cronaca”.
A tal proposito, Parisi ricorda che la tutela della riservatezza delle fonti “non è un semplice privilegio concesso al cronista, – come ha testualmente ribadito la Cassazione – ma caso mai un diritto indispensabile alla libertà di stampa affinché la collettività sia informata su questioni importanti con precisi limiti per le autorità inquirenti, le quali non possono intervenire con mezzi invasivi utili a scoprire l’autore di fughe di notizie”.

Un commento

  1. Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti (direttore e portavoce di Articolo 21)

    Da più parti e con motivazioni fondate sono stati avanzati dubbi e perplessità sulle norme del jobs act relative alle modalità di controllo dei dipendenti; queste norme e sopratutto le loro applicazioni potrebbero dar luogo a violazioni della privacy e a indebite intrusioni nella vita privata dei singoli. Tale rischio diventa ancora più pericoloso se applicato al mestiere del cronista che ha la necessità di tutelare in modo integrale le fonti e di non essere sottoposto a forma alcuna di interferenza. Per queste ragioni sarà il caso di precisare le norme da definire, il campo e le modalità di applicazione e aprire un confronto con le organizzazioni degli editori e dei giornalisti.

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