La Cassazione dà ragione alla Rai con un’ordinanza destinata a suscitare polemiche

I programmisti registi non sono giornalisti

ROMA – Con una decisione destinata a suscitare discussione nella categoria, la Corte di Cassazione ha affermato che l’Inpgi non potrà ottenere il pagamento dei contributi previdenziali dovuti da un gruppo di dipendenti Rai, che erano stati assunti con rapporti di lavoro a tempo indeterminato e con mansioni di programmista regista. Motivo: non svolgono lavoro giornalistico.
La sezione lavoro della Suprema Corte, presieduta da Umberto Berrino, con ordinanza n. 572 dell’11 gennaio 2022, ha infatti accolto le tesi dei legali dell’ente radiotelevisivo, respingendo definitivamente un ricorso dell’Inpgi contro la precedente decisione emessa sei anni fa dalla Corte d’appello di Roma che aveva convalidato quella del tribunale del lavoro della capitale.
I giudici di appello avevano, tra l’altro, sostenuto che la qualifica di giornalista andrebbe attribuita soltanto ai quei lavoratori che fanno parte di testate giornalistiche, o che, comunque, sono inseriti in programmi al cui prodotto giornalistico partecipano.
La Cassazione ha tenuto a ribadire che «in tema di lavoro giornalistico, ai fini della sussistenza dell’obbligo di iscrizione all’Inpgi è necessario che ricorrano due requisiti, tra loro concorrenti e non alternativi, quali l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti) e lo svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica presso il datore di lavoro chiamato a versare i contributi».
Oltre a perdere la causa l’ente di via Nizza dovrà anche rimborsare 8 mila euro per le spese legali sostenute dalla Rai. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

L’ordinanza della Corte di Cassazione Sezione lavoro
n. 572 dell’11 gennaio 2022 (Presidente Umberto Berrino, relatore Alfonsina De Felice)

ORDINANZA

sul ricorso 3666-2016 proposto da:
INPGI – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cola di Rienzo 69, presso lo studio dell’avvocato Bruno Del Vecchio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

RAI – Radiotelevisione Italiana spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po 25-B, presso lo studio degli avvocati Roberto Pessi, Maurizio Santori, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonchè contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi, Ester Ada Sciplino, Carla D’Aloisio, Giuseppe Matano, Emanuele De Rose, Lelio Maritato;
– resistente con mandato –
nonché contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale Gestione ex Enpals – Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i lavoratori dello spettacolo;
– intimato –
avverso la sentenza n. 936/2015 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 9 febbraio 2015 R.G.N. 1154/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal Consigliere dott. Alfonsina De Felice.

RILEVATO CHE:

la Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia del Tribunale di Roma, ha rigettato il ricorso dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (d’ora in avanti Inpgi) avverso l’accoglimento dell’opposizione proposta dalla Rai a decreto ingiuntivo per l’omesso versamento dei contributi assicurativi relativi ai rapporti di lavoro giornalistico intercorsi tra l’azienda ed alcuni programmisti registi;
il tema concerne non già la natura subordinata dei rapporti, pacifica in causa, ma la natura giornalistica dell’attività svolta dai dipendenti; in proposito la Corte territoriale ha ritenuto che nella figura del programmista regista non sia rinvenibile quell’attività di mediazione diretta fra chi acquisisce la conoscenza del fatto e chi tale fatto diffonde tra i destinatari, tipica della professione giornalistica;
la sentenza gravata procede ad un accertamento in fatto, elencando le attività alle quali, secondo gli esiti della prova testimoniale, i lavoratori erano addetti, per giungere alla conclusione che non emergevano elementi utili a far ritenere i programmi comparabili ad una testata giornalistica;
la cassazione della sentenza è domandata dall’Inpgi sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;
la Rai ha depositato tempestivo controricorso;
l’Inps ha depositato procura speciale in calce al ricorso.

CONSIDERATO CHE:

col primo motivo, formulato a sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce «Violazione degli artt. 1 e 32 della legge 3 febbraio 1963 n. 69 anche in relazione all’art. 2575 cod. civ. e all’art. 1 della legge 22 aprile 1941 n. 633»;
denuncia che, nel verificare la natura dell’attività svolta dai dipendenti Rai, la Corte d’appello si sarebbe basata sul solo contratto collettivo, disattendendo la nozione di lavoro giornalistico desumibile dalle leggi richiamate in epigrafe; che avrebbe, inoltre, erroneamente affermato che, ai fini della qualificazione del programmista regista quale giornalista, sarebbe stata necessaria la concorrenza dell’elemento ulteriore concernente la creatività della mansione svolta;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., denuncia «Violazione degli artt. 1 e 11 del Contratto Nazionale di lavoro giornalistico, articolo 1 e seguenti legge 3 febbraio 1963, n. 69. Violazione e falsa applicazione dell’art. 34 della legge 3 febbraio 1963 n. 69»;
contesta la valutazione dell’attività svolta dalla Corte d’appello, secondo cui la qualifica di giornalista andrebbe attribuita soltanto ai lavoratori che sono parte di testate giornalistiche, o che, comunque, sono inseriti in programmi al cui prodotto giornalistico partecipano;
i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati;
pur volendo riqualificare come vizio di motivazione i motivi, dedotti impropriamente dalla difesa di parte ricorrente quale violazione di legge, va rilevato che la conclusione cui giunge il giudice del merito è fondata su un accertamento in fatto da cui risulta che i dipendenti Rai con mansioni di programmista regista non svolgono lavoro giornalistico;
la giurisprudenza di legittimità afferma in proposito che «In tema di lavoro giornalistico, ai fini della sussistenza dell’obbligo di iscrizione all’Inpgi è necessario che ricorrano due requisiti, tra loro concorrenti e non alternativi, quali l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti) e lo svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica presso il datore di lavoro chiamato a versare i contributi» (così, per tutte, Cass. n. 14391 del 2021);
pertanto, avendo la Corte d’appello accertato, con un giudizio insindacabile in questa sede, l’assenza, in capo ai lavoratori Rai oggetto del recupero contributivo, della qualifica di giornalista, è corretta, alla luce dell’orientamento consolidatosi presso questa Corte, la conclusione cui giunge il provvedimento impugnato, che ha giudicato la pretesa dell’Inpgi priva di fondamento;
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita; non si provvede sulle spese nei confronti dell’Inps che non ha svolto attività difensiva;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Rai, che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r.. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, alla Camera di Consiglio del 18 novembre 2021

I commenti sono chiusi.